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In continuo movimento - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:22

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    In continuo movimento

    Tutto è soggetto al cambiamento, e quando qualcosa scompare, qualcosa di nuovo si manifesta. Il Buddismo abbraccia l’idea di una vita eterna che si esprime in un ciclo infinito di morti e rinascite. Come scrive il Daishonin: «Gli esseri viventi che attraversano le due fasi di vita e morte sono le entità dei dieci mondi, o le entità di Nam-myoho-renge-kyo»

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    Tutto è soggetto al cambiamento, e quando qualcosa scompare, qualcosa di nuovo si manifesta. Il Buddismo abbraccia l’idea di una vita eterna che si esprime in un ciclo infinito di morti e rinascite. Come scrive il Daishonin: «Gli esseri viventi che attraversano le due fasi di vita e morte sono le entità dei dieci mondi, o le entità di Nam-myoho-renge-kyo»

    «Ieri diventa oggi, l’anno scorso diventa quest’anno: quanto tempo possiamo aspettarci di continuare a vivere così? Guardando indietro al passato, possiamo contare quanti anni abbiamo vissuto, ma, se guardiamo al futuro, chi può sapere se rientrerà nel numero dei vivi per un altro giorno o anche solo per un’altra ora? Ma, benché uno sappia che il momento della morte si sta avvicinando, si aggrappa alla sua arroganza e ai suoi pregiudizi, alla fama e al profitto, e non si dedica alla recitazione della Legge mistica. Tale atteggiamento è assolutamente futile» (Domande e risposte riguardo all’abbracciare il Sutra del Loto, RSND, 1, 55)

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    Tutti cerchiamo delle risposte. Come esseri umani le cerchiamo dalla notte dei tempi. Da quando non riuscivamo a spiegarci perché esistessero il giorno e la notte o perché tutti fossimo soggetti a nascita e morte. E non trovando le risposte, queste risposte ce le siamo date da soli, le abbiamo costruite attraverso credenze che sono poi diventate religioni e che spiegavano il funzionamento del mondo e delle cose attribuendo via via un ruolo fondamentale a un principio, un’essenza, una divinità. E per coloro che non si accontentavano di queste spiegazioni, per quelli che non volevano sapere solo il risultato dell’equazione ma desideravano conoscere tutta l’equazione, è sorto il pensiero filosofico che nel corso del tempo ha tentato di placare le istanze della ragione.
    Negli ultimi secoli poi, si è andata affermando con sempre maggiore autorità la scienza. Scienza che si è trovata a sfidare suo malgrado la religione.
    Lo sviluppo scientifico e tecnologico che ha avuto luogo nell’ultimo secolo è qualcosa di straordinario e solo la nostra vicinanza a questi cambiamenti ci impedisce di comprenderne la portata epocale. Allo stesso tempo però, sembra quasi che più la scienza prosegue nella sua ricerca, più le domande aumentino. O per meglio dire, sembra quasi che le scoperte scientifiche non facciano altro che aprire nuovi scenari mettendo a nudo la nostra inconsapevolezza nei confronti dei meccanismi che regolano l’universo.
    Nel suo libro The 4% universe, Richard Panek fa il punto su una scoperta astronomica che si è venuta palesando negli ultimi trenta anni, ovvero che quello che vediamo con i nostri occhi rappresenta in realtà soltanto il 4% dell’universo. Il resto è composto da materia ed energia oscure sulle quali al momento la scienza può solo formulare ipotesi. In più, alcune moderne teorie della fisica, come quella delle superstringhe, postulano l’esistenza di numerosi universi paralleli.
    È tutta fantascienza? Certo. Ma solo per ora. Così come centocinquanta anni fa era fantascientifica l’idea che nell’aria si potessero propagare delle onde invisibili, mentre oggi nessuno si stupisce se accendendo la radio escono dei suoni.
    La verità è che nel corso del tempo siamo riusciti a spiegare molti dei fenomeni che accadono intorno a noi, ma il grande mistero della vita ci è ancora precluso.
    La realtà è che spesso cerchiamo una risposta razionale per soddisfare quesiti che sono invece viscerali, come la morte e vogliamo capire con la mente qualcosa che si può comprendere soltanto attraverso la vita.

    La persistenza della vita

    Nel suo percorso di ricerca Shakyamuni arrivò alla comprensione che la vita è eterna e ramificata in molteplici connessioni, che tutto è parte di un unicum in cui non esiste distinzione tra gli esseri viventi, l’energia (compassionevole) che li sostiene e il cosmo. E che la vita si manifesta in varie forme che decadono e rinascono, ma è una forza persistente, che si manifesta in luoghi e forme che non avremmo mai pensato possibili e proprio per questo è sempre esistita e sempre esisterà perché è la base di tutto, è l’energia fondante che si manifesta nel piccolo e nel grande, negli imprevedibili movimenti delle particelle subatomiche e nei grandi fenomeni che investono galassie e pianeti.
    Il Buddismo abbraccia l’idea di una vita eterna che attraversa un ciclo infinito di morti e rinascite.
    Ogni cosa nell’universo è soggetta al mutamento e il mutamento contiene in sé nascita e morte – qualcosa scompare, qualcosa di nuovo si manifesta – come nel metabolismo corporeo, dove le cellule nascono e muoiono continuamente.
    Come scrive Nichiren Daishonin ne L’eredità della Legge fondamentale della vita: «Myo significa morte, ho vita. Gli esseri viventi che attraversano le due fasi di vita e morte sono le entità dei Dieci mondi, o le entità di Myoho-renge-kyo. T’ien-t’ai disse: “Sappiate che tutte le cause e gli effetti degli esseri viventi e dei loro ambienti manifestano la legge del Loto (renge)”» (RSND, 1, 189).
    Il Sutra del Loto ha due significati simbolici in relazione alla pianta da cui prende il nome: da una parte il bianco fiore di loto sboccia dallo stagno melmoso – in riferimento alla possibilità che ogni essere umano ha di manifestare l’Illuminazione nella propria vita – dall’altra si tratta di una pianta in cui fiore e frutto si sviluppano nello stesso momento senza seguire la normale successione temporale, fenomeno che rappresenta la simultaneità tra causa ed effetto.
    Nascita e morte sono quindi il ritmo stesso dell’universo in quanto funzioni della Legge mistica, della legge della vita che è governata dalla causa ed effetto, principio di concatenazione secondo il quale ogni azione provoca una reazione corrispondente e lascia un’impronta nella nostra vita contribuendo alla creazione del karma.

    L’interazione con l’ambiente

    Entrando nello specifico, secondo il Buddismo gli esseri umani sono “aggregati temporanei delle cinque componenti”: forma, percezione, concezione, volizione e coscienza. Questo significa che nel momento in cui esistiamo come esseri viventi, presentiamo una forma fisica e spirituale attraverso la quale interagiamo con la realtà circostante.
    La percezione di questa realtà tuttavia, è basata sia sulla nostra vera e profonda identità – potremmo dire “individualità” o “personalità” – sia sul nostro stato vitale. Non esiste quindi una realtà oggettiva uguale per tutti, perché siamo persone diverse e perché persino all’interno della nostra stessa vita sono via via diversi gli stati vitali che influenzano la percezione di questa realtà.
    Le cinque componenti si manifestano secondo questa successione: i nostri sensi catturano la realtà fisica costituita da suoni, colori, odori (forma); in seguito questi dati vengono messi in relazione tra loro e assimilati (percezione) e danno luogo a una idea (concezione), per cui ad esempio mettendo insieme il colore rosso, una forma conica e un odore dolce posso arrivare alla conclusione che davanti a me ho una fragola; in base a questo si manifesta una volontà decisionale (volizione) – per cui decido di mangiare la fragola – e il risultato di tutto questo diventa l’idea (coscienza) che rimane di questa esperienza: buona questa fragola, ne mangerei un’altra.
    All’interno della nostra vita esistono però diversi livelli di coscienza, ed è qui che il principio delle cinque componenti, che potremmo dire si svolge in forma orizzontale, si interseca con quello delle nove coscienze, il cui sviluppo è invece verticale, tutto interno alla nostra vita.
    Le prime cinque coscienze corrispondono ai cinque sensi, mentre la sesta coordina le percezioni sensoriali. La settima coscienza è quella che si avvicina di più al significato del termine in italiano: si tratta della nostra mente riflessiva, in parte conscia, in parte inconscia. A questo livello si formano pensieri filosofici, sentimenti religiosi, giudizi di tipo morale.
    Queste prime sette coscienze sono legate alla nostra persona in quanto “aggregato delle cinque componenti”, ovvero sono coscienze legate alla nostra identità temporanea. Al momento della morte infatti le cinque componenti si disgregano e queste sette coscienze si dissolvono all’interno dell’ottava, andando a formare il cosiddetto “bagaglio karmico”. Venendo meno la possiblità di interagire con l’ambiente, la nostra vita diventa una sorta di fermo immagine e si fissa sullo stato vitale che abbiamo stabilito come tendenza di base.
    L’ottava coscienza, chiamata alaya, contiene i semi karmici che costituiscono l’essenza della nostra identità e al momento opportuno, nel futuro, riprodurrà le altre sette coscienze dando vita a una nuova identità. La nona coscienza invece, detta amala, è quella immutabile e originaria e corrisponde alla natura di Budda. Quindi, nel processo di percezione della realtà portato avanti dalle cinque componenti, le nove coscienze possono intervenire in maniera maggiore o minore. Ad esempio la mia concezione può basarsi sulla settima coscienza ed essere quindi razionale ma la mia volizione essere influenzata dall’ottava, il karma, e quindi per quanto possa rendermi conto di una determinata situazione non sono poi capace di affrontarla come so che dovrei.
    Tutta questa teoria, ovviamente, non basta a placare la nostra sete di risposte perché – come abbiamo appena visto – la mente si trova a un livello più superficiale rispetto alla coscienza alaya, l’inconscio che manifesta fra le altre cose l’atavica paura della morte. L’unica soluzione quindi, è quella di arrivare a una comprensione più profonda manifestando la nona coscienza, la natura di Budda. Perché solo in quella dimensione possiamo trovare tutte le risposte che cerchiamo.
    Spesso di fronte all’affermazione che “tutto è impermanente” siamo portati a pensare che “tutto finisce”, ma non è così, perché impermanenza non significa fine ma semplicemente “non permanenza”. Nulla rimane sempre uguale a se stesso. Neppure noi stessi. Neppure la nostra vita. Che non inizia con la nascita e termina con la morte, ma si manifesta via via in modi e forme differenti a seconda del nostro karma, del percorso che abbiamo deciso di seguire e di cui l’attuale esistenza costituisce soltanto un tassello. Dobbiamo afferrare questa verità con la nostra comprensione più profonda, con la nostra vita ancestrale che è sempre stata e sempre sarà. Perché come diceva lo scienziato francese Lavoisier: «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma».

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