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Il veleno diventa medicina - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:58

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Il veleno diventa medicina

Apprezzamento e gratitudine sono elementi fondamentali affinché ciò che avvelena l’esistenza si trasformi in fortuna e medicina. La fede, poi, ha la forza di muovere anche le situazioni più negative

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Apprezzamento e gratitudine sono elementi fondamentali affinché ciò che avvelena l’esistenza si trasformi in fortuna e medicina. La fede, poi, ha la forza di muovere anche le situazioni più negative

C’era una volta un bravo medico, saggio ed esperto, – si narra nel sedicesimo capitolo del Sutra del Loto – che sapeva preparare le medicine per curare ogni tipo di malattia e che aveva una moltitudine di figli. Un giorno, mentre si trovava lontano da casa, i figli bevvero del veleno che li fece contorcere dal dolore e che li rese quasi agonizzanti. Quando il padre fece ritorno, essi lo scongiurarono di trovare la cura per farli guarire. Egli preparò la medicina e alcuni di loro la presero immediatamente e guarirono, ma gli altri, che avevano la mente annebbiata a causa del veleno penetrato più profondamente, si rifiutarono di prenderla. Il medico trovò allora un espediente che li convincesse a prendere la medicina: partì per un luogo lontano e da lì inviò un messaggero che informava i figli della sua morte. Saputa la notizia, quelli di loro che erano ancora sofferenti per l’effetto del veleno, si disperarono ma, ricordandosi della medicina, decisero di prenderla immediatamente e così guarirono. In quell’istante il padre riapparve dinanzi a loro.
In questa parabola il bravo medico rappresenta il Budda e i figli sono le persone comuni. La medicina è il Sutra del Loto e la Legge mistica, ovvero il Gohonzon. Nel dialogo La saggezza del Sutra del Loto Ikeda osserva: «I figli che rifiutano la medicina rappresentano le persone annebbiate e illuse. Vengono così chiamate perché, pur essendo malate e desiderando di essere curate, rifiutano di prendere la medicina pensando che sia amara». E Saito risponde: «Mi sembra che oggigiorno la maggior parte della gente sia annebbiata. Molti parlano dei mali della società e della necessità di porvi rimedio, discutono di formule astratte e propongono rimedi superficiali, ma non riescono a capire che l’unica vera cura per i problemi della società è la rivoluzione umana, il cambiamento interiore di ogni persona» (Saggezza, 3, 239-40).
In un senso più specifico i figli più “riottosi” a curarsi possono rappresentare anche le persone dei due veicoli – i cosiddetti ascoltatori della voce e i pratyekabuddha, cioè coloro che nella visione buddista tradizionale, vivendo rispettivamente nel mondo di Studio e di Illuminazione parziale e avvelenati dall’arroganza di sentirsi superiori agli altri, avevano distrutto il seme della Buddità nella loro vita. Per la prima volta il Sutra del Loto afferma che anche queste persone possono trasformare il veleno in medicina e raggiungere l’Illuminazione, cosa che era stata sempre esclusa dagli altri sutra.
Nichiren Daishonin fa riferimento a questo principio nel Gosho La cura delle malattie karmiche che afferma: «Nel Daichido ron [Trattato sulla grande perfezione della saggezza] il bodhisattva Nagarjuna scrive “[…] il Sutra del Loto è come un bravo medico in grado di trasformare il veleno in medicina”. T’ien-t’ai commenta così questo brano: “Come un bravo medico trasforma il veleno in medicina […] questo sutra, permettendo ai due veicoli di raggiungere l’Illuminazione, trasforma il veleno in medicina”» (SND, 5, 86).
Già Paracelso affermava che «è la dose che fa il veleno» ed è risaputo e accertato che alcuni veleni possano diventare da nocivi a curativi se usati in dosi e contesti differenti.
La medicina omeopatica funziona secondo un principio simile e anche il botulino, pur essendo un bacillo che produce una tossina così potente da poter uccidere in pochi secondi, può dare nuova vita a un’epidermide spenta che manifesta i segni del tempo.
Il Buddismo spiega che la nostra vita viene costantemente “avvelenata” dai tre veleni di Avidità, il desiderio di ottenere ciò che vogliamo, Collera, il desiderio di controllare o di schiacciare gli altri, e Ignoranza o stupidità, l’incapacità di comprendere la vera natura della vita.
Questi veleni, che si manifestano anche sotto forma di arroganza, di dubbio e in altre mille sfaccettature distruttive e oscurate, che possiamo chiamare genericamente “illusioni e desideri terreni” (giapp.: bonno), danno origine ad azioni della stessa natura oscurata e distruttiva, che a loro volta creano nella vita karma negativo, i cui effetti si manifestano come sofferenze di vario tipo. Le sofferenze vanno a incrementare i desideri terreni, che ci portano a ripetere azioni distorte che creano ancora karma negativo e sofferenza. Insomma, una persona incatenata nel circolo vizioso dei tre sentieri di desideri, karma e sofferenza, è destinata a soffrire vivendo costantemente negli stati inferiori dell’esistenza, chiamati i sei sentieri o i sei mondi bassi, e questa condizione le impedisce di raggiungere la Buddità.
Ogni volta che una nuova dose di veleno, in forma di sofferenza, malattia, difficoltà, pervade la nostra vita è difficile mantenere la lucidità e la fermezza di considerare che proprio ciò che ci sta annientando possa diventare la medicina che ci cura e ci guarisce. È naturale che la prima reazione sia di maledire ogni singola goccia di veleno che ci intossica e di pensare che se non ci fosse staremmo sicuramente meglio.
D’altra parte, finché continuiamo a sentirla soltanto come veleno significa che dentro di noi sta vincendo la nostra oscurità. Ma soprattutto, la nostra condizione infelice non cambia, anzi peggiora.
Per fare un esempio, lo stesso Shijo Kingo, uno dei discepoli vicini al Daishonin, uomo d’azione e dalla fede sincera, si trovò ad affrontare un “veleno” di alcuni anni che avrebbe annientato chiunque. Tutto iniziò nel 1274 quando egli cercò di convertire il suo signore, Ema agli insegnamenti del Daishonin. Ema riponeva una grande fiducia in Shijo Kingo, che aveva servito la sua famiglia fin dai tempi di suo padre ma, in seguito a trame e intrighi orditi dal prete Ryokan, acerrimo nemico del Daishonin, Kingo venne a perdere i favori del suo signore. Si ritrovò emarginato e insultato dagli altri samurai che, invidiosi, non perdevano occasione per calunniarlo. La situazione peggiorò al punto di mettere in pericolo la sua vita. Nel 1277 sembra che Ema avesse deciso di togliergli il feudo. A quell’epoca, per un samurai come Shijo Kingo, equivaleva alla morte, anzi era un disonore e una disgrazia a cui la morte era senz’altro preferibile. Tanti sono i Gosho in cui Nichiren lo incoraggia costantemente a essere prudente e ad agire con saggezza senza lasciarsi prendere dall’ira. Proprio nel bel mezzo di quella situazione che sembrava senza via d’uscita, Ema venne contagiato da un’epidemia e Kingo poté riconquistare la sua fiducia curandolo e portandolo alla guarigione. Nel 1278 Ema lo ricompensò con tre nuovi feudi. Sembra però che queste terre fossero lontane e Kingo non fosse poi così soddisfatto del regalo. Eppure, considerando che cosa aveva rischiato, i nuovi feudi erano la sua salvezza. Il Daishonin nel Gosho del feudo lo fa riflettere e lo incoraggia a considerare l’assegnazione delle nuove terre come un evento molto fortunato, quasi miracoloso, e a liberarsi il cuore da ogni lamentela e insoddisfazione. E aggiunge un insegnamento sottile ma profondo: «Anche se a te non piace, non devi dirlo agli altri né al tuo signore. Se dici “sono buone terre, ottime terre” potrai ottenerne altre, ma se ti lamenti che la zona non ti piace e che la terra non rende, sarai abbandonato dagli dèi e dagli uomini» (SND, 8, 76).
Anche a noi spesso accade la stessa cosa, ci è difficile apprezzare i benefici che riceviamo e siamo bravi a rivolgere l’attenzione sugli aspetti meno favorevoli della nostra condizione. Makiguchi diceva che «siamo portati ad apprezzare una candela in una notte buia, ma raramente apprezziamo il sole». Ma il veleno si trasforma in medicina solo quando impariamo a sviluppare apprezzamento e gratitudine per gli aspetti positivi di qualsiasi situazione della vita. Se orientiamo positivamente la nostra mente con la decisione ripetuta e costante di cambiare e migliorarci attraverso qualsiasi occasione – positiva o negativa – accumuleremo una immensa fortuna e attiveremo le funzioni positive della vita. E naturalmente la gioia e la gratitudine influenzeranno positivamente anche la nostra realtà esterna.
La fede, la nostra forza invisibile, ha l’enorme potere di trasformare il peggior veleno nella medicina più efficace e di indirizzare la vita verso la piena realizzazione di ogni singolo desiderio. L’aspetto fondamentale sta nel trasformare la sfiducia e il pessimismo in convinzione, speranza per il futuro e sincero apprezzamento delle occasioni e delle sofferenze che incontriamo.
La recitazione del Daimoku è uno strumento insostituibile per costruire una simile tendenza. Appena decidiamo di affidarci al potere di Nam-myoho-renge-kyo sentiremo che il veleno della sofferenza si trasforma nella medicina della convinzione e della gioia. E da questo momento avviene il cambiamento sostanziale nella nostra vita, ciò che consideravamo come impossibile inizia a prendere forma e diventa possibile, una situazione senza via d’uscita lascia scorgere quel varco tanto cercato, che era invisibile fino a un attimo prima.
Nichiren Daishonin approfondisce la questione in questo brano: «Il bodhisattva Nagarjuna, nell’interpretare il carattere myo di myoho (Legge mistica) dice che [il Sutra del Loto] è come un grande medico che può cambiare il veleno in medicina. Cambiare il veleno in medicina significa trasformare i tre sentieri di desideri terreni, karma e sofferenza nelle tre virtù del corpo del Dharma, della saggezza e dell’emancipazione» (GZ, 984).
Attingendo al potere rivitalizzante del carattere myo di Nam-myoho-renge-kyo, l’agente ca­talizzatore che innesca la trasformazione, i tre sentieri possono trasformare la loro natura e manifestarsi come le tre virtù del Budda: 1) il corpo del Dharma, che è la verità che il Budda ha compreso o il vero aspetto di tutti i fenomeni; 2) la saggezza, che è la capacità di comprendere questa verità; 3) l’emancipazione, che è la condizione di libertà dalle sofferenze di nascita e morte. Quindi da un punto di vista più profondo dove non c’è veleno non ci potrà mai essere alcuna medicina. Così come dove non c’è il fango non può nascere il fiore di loto. Appena impareremo a riconoscere nel veleno quel suo lato benefico saremo in grado di non rifiutarlo, di non arrabbiarci o di disperarci più, ma riusciremo ad accettarlo per quello che è davvero, una sostanza nociva e dolorosa che può essere trasformata istantaneamente nella cosa migliore che ci sia mai accaduta nella vita.
A volte, può accadere che il veleno stenti a trasformarsi in medicina, anzi diventi sempre più velenoso, quando i tempi si allungano e la nostra dose di pazienza sta per esaurirsi è utile ricordare che quel famoso agente catalizzatore che trasforma il veleno nella medicina lo possiamo innescare soltanto noi con il potere della fede, con quella forza invisibile che trasforma davvero la natura profonda della vita.
È possibile accelerare il processo di trasformazione ampliando la visuale: è il momento di sviluppare la componente altruistica del proprio cuore. Tamotsu Nakajima ci ricorda che «noi recitiamo Nam-myoho-renge-kyo con l’intenzione di rendere felici tutti gli esseri viventi. Una persona che pensa alla propria vita è normale. Ma appena comincia a studiare il Gosho dovrebbe comprendere che non si recita Daimoku solo per se stessi e che la sua felicità è inseparabile da quella degli altri» (Il Nuovo Rinascimento, n. 298, pag. 10).
Preoccuparsi sinceramente della felicità altrui significa fare proprio l’intento e il pensiero del Budda originale. A quel punto sentiremo che i veleni che ci imprigionavano si sono tramutati nelle tre virtù del Budda. L’Avidità diventa compassione, il desiderio di una vita migliore per tutte le persone. La Collera diventa coraggio, il desiderio di correggere le ingiustizie per sé e per gli altri e l’ignoranza diventa saggezza, la capacità di vedere lucidamente la vita. In questo modo possiamo usare ogni aspetto della nostra vita, anche il più velenoso, per creare infinito valore sia per noi che per gli altri. E come afferma Daisaku Ikeda: «Nel Buddismo di Nichiren lo scopo non è meramente ripagare il nostro debito karmico in modo che il bilancio torni in pari; piuttosto è convertire il bilancio negativo in positivo. Ciò è possibile grazie alla natura di Budda che esiste nella vita di ogni persona. L’idea di cambiamento del karma è saldamente sostenuta dalla fede nella nostra natura di Budda. Le grandi difficoltà ci danno l’opportunità di forgiare e temprare la nostra vita. I momenti di maggior sofferenza sono quelli in cui possiamo maggiormente arricchire la nostra umanità» (MDG, 2, 4).

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