Vivo a Morano sul Po, un paesino in provincia di Alessandria.
Fin da bambino sono stato accompagnato da un profondo senso di inadeguatezza e paura della vita. I miei genitori mi chiamavano “buca larga” che in dialetto piemontese significa bocca larga, cioè “piagnone”, perché davanti al minimo ostacolo scoppiavo a piangere.
Crescendo la passione per la musica mi portò a suonare la batteria in un gruppo rock, a farmi crescere i capelli e a vivere seguendo la filosofia hippy. Era un mondo in cui potevo esprimere la mia sensibilità e i miei sentimenti di amore verso il prossimo, ma nella realtà di tutti i giorni venivo rifiutato per via di quei capelli lunghi che risultavano “insopportabili”, come mi disse il mio datore di lavoro chiedendomi di licenziarmi perché non tollerava il mio aspetto.
Nel 1994, a 30 anni, io e mia moglie partecipammo al nostro primo zadankai, e fu la svolta. Il suono di Nam-myoho-renge-kyo mi scosse profondamente e sentii di poter prendere in mano la mia vita. Un anno dopo siamo diventati entrambi membri della Soka Gakkai e il Gohonzon è entrato nella nostra casa. Mentre affrontavamo insieme varie difficoltà e crescevamo nostro figlio, iniziai a dare una nuova direzione al mio lavoro.
Da quindici anni ero impiegato in un’azienda dove subivo un forte mobbing, confinato dietro a un tecnigrafo nell’angolo di un ufficio nascosto in fondo a un capannone. Il mio principale e i suoi figli, infatti, non sopportavano di vedermi in giro.
Per tanto tempo mi era andata bene così, pensavo solo alla musica e a divertirmi, ma dentro di me soffrivo perché sentivo che la vita mi scorreva intorno e io non riuscivo ad afferrarla.
Uno dei princìpi del Buddismo che più mi colpì fu che la vita e il suo ambiente sono uniti, e così iniziai a domandarmi come far sì che le persone mi considerassero per ciò che ero veramente.
Nichiren Daishonin afferma:
«Una mente annebbiata dalle illusioni derivate dall’oscurità innata è come uno specchio appannato che, però, una volta lucidato, sicuramente diverrà limpido e rifletterà la natura essenziale dei fenomeni e il vero aspetto della realtà. Risveglia in te una profonda fede e lucida con cura il tuo specchio notte e giorno. Come dovresti lucidarlo? Solo recitando Nam-myoho-renge-kyo»
(Il conseguimento della Buddità in questa esistenza, RSND, 1, 4)
Decisi di avere fiducia in quelle parole e iniziai a lucidare il mio specchio. Recitando Daimoku, facendo attività e riflettendo su me stesso, arrivai alla conclusione che ero io a dover cambiare.
Decisi di tagliarmi i capelli e mi ripromisi di mostrare una prova concreta del valore del Buddismo.
Di lì a poco le cose iniziarono a muoversi. In quel periodo l’azienda aumentava la sua produzione e per rafforzare l’organico mi fu chiesto di affiancare un progettista che lavorava nell’ufficio tecnico, come suo aiutante. Ne fui entusiasta. Quel primo segnale mi diceva che stavo andando nella giusta direzione. Iniziai così la gavetta che, con la mia terza media, mi aprì la strada al mestiere di disegnatore meccanico.
Nel giro di qualche anno, continuando a fare attività come responsabile di gruppo e impegnandomi al massimo nell’apprendere il mestiere, riuscii a trasformare totalmente il rapporto con i miei datori di lavoro. Finalmente ottenni la loro fiducia, che mi dimostrarono facendomi entrare a pieno titolo nell’ufficio tecnico come disegnatore meccanico. Per me fu una grande soddisfazione.
Nel nuovo ufficio quasi tutti i colleghi disegnavano con il computer mentre io e pochi altri continuavamo a usare il tecnigrafo. In poco tempo mi appassionai a quel nuovo mondo e iniziai ad approfondire tutto ciò che riguardava l’informatica, comprando riviste e studiando programmazione. Nel frattempo le mie abilità come disegnatore miglioravano e il mio capufficio mi incoraggiava a fare sempre meglio, anche con qualche ramanzina se commettevo errori.
Cercando di dare prova delle mie capacità, mi misi l’obiettivo di occuparmi della progettazione delle macchine prodotte dall’azienda. Ma appena se ne presentò l’occasione, il progetto fu assegnato a un mio collega e io diventai il suo assistente. Per me fu uno smacco e ci rimasi male. Tuttavia iniziai a sforzarmi di entrare in empatia con alcuni colleghi che in quel momento come me non si sentivano valorizzati, creando nuovi legami di amicizia. Uno di loro decise di praticare e ricevette il Gohonzon. Per me fu una gioia immensa!
Naturalmente in seguito anche la mia preghiera al Gohonzon ottenne una risposta e iniziai come desideravo a progettare macchine in autonomia, al pari dei miei colleghi più esperti. Ma non è finita. Trascorso qualche anno arrivò il momento in cui un mio collega, responsabile informatico dell’ufficio, si licenziò. La direzione, consapevole delle mie abilità anche in campo informatico, volle che io prendessi il suo posto affidandomi tutta la responsabilità. Accettai con profonda gratitudine verso il mio maestro, che con il suo incoraggiamento ha sempre creduto in me ancor prima che ci credessi io stesso.
Un paio di anni dopo quella svolta, uno dei due figli del capo, che nel frattempo erano subentrati a dirigere l’azienda, mi chiamò per un colloquio. Disse che quando ci si sbaglia a giudicare una persona bisogna avere il coraggio di ammetterlo, e loro avevano sbagliato nel giudicarmi male! Quel giorno sentii una profonda gratitudine per il maestro Ikeda e percepii il valore infinito che esiste nella mia vita.
Affrontando tutte queste sfide ho costruito una solida base, la mia famiglia è felice e io e Nadia continuiamo ad avanzare guardando insieme con fiducia nella stessa direzione. Nostro figlio Gabriele si è laureato in Biotecnologia Molecolare, ha conseguito un master in Bioinformatica e sta concludendo un dottorato presso una prestigiosa università svedese. Voglio continuare su questa strada di felicità, dove ogni desiderio si costruisce dando valore a ogni singola persona.
Grazie Sensei, e grazie a tutti i compagni di fede!
