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Il valore della pace - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:38

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    Il valore della pace

    Il presidente Ikeda, attraverso i suoi scritti e le sue riflessioni, ci esorta a credere che la pace tra i popoli è possibile. Attraverso il dialogo, il rispetto, il riconoscimento di una comune umanità. Ma ci raccomanda anche di costruire una cultura della pace nelle nostre rispettive comunità, cominciando sempre da dove siamo a superare piccole, grandi ostilità per realizzare relazioni armoniose e serene

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    Il presidente Ikeda, attraverso i suoi scritti e le sue riflessioni, ci esorta a credere che la pace tra i popoli è possibile. Attraverso il dialogo, il rispetto, il riconoscimento di una comune umanità. Ma ci raccomanda anche di costruire una cultura della pace nelle nostre rispettive comunità, cominciando sempre da dove siamo a superare piccole, grandi ostilità per realizzare relazioni armoniose e serene

    Davvero le guerre non si possono evitare? Davvero una pace duratura è pura utopia? Sì, è difficile dare opinioni ottimistiche a queste questioni. Sono troppi i luoghi del mondo in cui è in corso un conflitto, grande o piccolo, sotto i riflettori o dimenticato. Troppi i luoghi del mondo dove la guerra è una condizione di vita normale, una sorta di dolorosa abitudine. Cose di tutti i giorni. E troppi gli esempi di come la violenza possa scaturire quasi all’improvviso, voluta da stati o singoli gruppi, da governi o piccole organizzazioni. In un circolo che sembra continuo e irrefrenabile, dove si perde di vista il senso e le motivazioni e dove il perché è sempre troppo debole per giustificare le azioni che si compiono contro gli esseri umani. Perché è di questo che si parla. Ed è questo che si dimentica. Facile assuefarsi alle terribili ma sempre uguali immagini televisive. Facile sentire un senso di impotenza che sembra incolmabile. Facile infine biasimare quei governi e istituzioni internazionali che non riescono a favorire il dialogo e a portare una pace vera (fatta non solo di cessate il fuoco o dichiarazioni di un vincitore e vinto) tra le parti in guerra. Allora ci si domanda: cosa fare? Cosa posso fare io da qui, da questa città lontana, da questa piccola stanza tranquilla? Nulla, se continuiamo a pensare che la guerra sia una vicenda che, per quanto ci tocchi l’animo, è lontana da noi. Nulla, se pensiamo che le grandi decisioni vengono prese sulle nostre teste. Nulla se ci fermiamo alla considerazione che la guerra sia solo una questione di armi e armamenti pesanti. Ma possiamo fare tanto, davvero tanto se partiamo da questo semplice avvertimento: «La guerra [si verifica come] risultato della collera» (Re Rinda, RSND, 1, 880).

    Il conflitto nasce negli animi, solo dopo usa le armi

    La guerra delle armi, infatti, non è altro che il visibile risultato dell’arroganza, della mancanza di compassione per l’altro, della convinzione che esista una ragione e un torto. E naturalmente, chi riesce a spuntarla è quello che ha “sicuramente” la ragione dalla sua. Così, se capovolgiamo il discorso, pace non è assenza di conflitti tra popoli, ma concordia e serenità nei rapporti. A qualunque livello. A partire dalle nostre relazioni quotidiane. «Poiché le guerre nascono nell’animo degli uomini, è nell’animo degli uomini che devono essere costruite le difese della pace» si legge nel preambolo dell’Atto costitutivo dell’UNESCO. Che errore pensare: «Non posso fare nulla» e che pace e guerra, stabilità o disordine, siano questioni che devono affrontare i grandi della terra. Uno dei princìpi del Buddismo di Nichiren è la profonda relazione tra la singola parte e il tutto, in una continua e reciproca influenza. Sta agli individui scegliere da che parte stare, o meglio quale parte fare emergere. In che modo, dunque, influenzare il mondo circostante. A produrre risultati sono le azioni negative, ma anche quelle che mirano a creare valore e certamente un forte e sicuro cambiamento, anche in questo senso, si riverbera all’infinito, partendo da vicino e arrivando lontanissimo. Il cambiamento però esige attenzione, osservazione, anche modestia. La modestia di cominciare nella nostra piccola stanza. Sono tanti infatti i piccoli conflitti personali che ogni giorno affrontiamo. Nelle nostre famiglie, sul luogo di lavoro, nelle nostre riunioni qualche volta. Critichiamo con forza i tiranni della terra, ma quante volte ci comportiamo in modo arrogante nelle nostre famiglie, con i nostri colleghi e persino con gli amici o i membri. E se noi non riusciamo a trovare le modalità per risolvere piccoli problemi, antipatie, rancori, pensiamo davvero che i capi di stato siano più capaci di noi, pensiamo davvero di avere il diritto di criticare la mancanza di azione costruttiva per una pace duratura?

    Coltivare la cura per gli altri: una ricetta per l’armonia

    Dal 1983 il presidente Daisaku Ikeda invia l’annuale Proposta di pace alle Nazioni Unite. Un documento in cui traccia accuratamente la situazione mondiale e i punti critici da affrontare per costruire la pace tra i popoli. Allo stesso tempo, in tutte le proposte di pace, egli non ha mai tralasciato di puntare l’attenzione sulla dimensione individuale nel percorso verso la pace, quella dimensione che chiamiamo rivoluzione umana. In un passo della proposta del 2000 afferma: «La pace non è qualcosa che possiamo lasciare ad altri in luoghi distanti, ma qualcosa che dobbiamo creare giorno dopo giorno con i nostri sforzi di coltivare la cura e la considerazione per gli altri, forgiando legami di amicizia e fiducia nelle nostre rispettive comunità attraverso le nostre azioni e il nostro esempio. […] Instaurare relazioni personali basate sulla fiducia e sul rispetto significa precisamente mettere in pratica la cultura della pace [che], sono convinto, possa realmente essere realizzata su scala globale e stabilizzarsi quando la pace metterà radici nella mente di ogni singola persona» (La pace attraverso il dialogo, D. Ikeda, esperia edizioni, vol. 2, pag. 492). Nel legame invisibile, permanente e inevitabile che tiene insieme gli uni con gli altri, esiste la chiave per entrare nel mondo come persone capaci di dare un contributo positivo e a livello profondo. Non c’è divisione tra i fatti del mondo e l’io. Ed è questa consapevolezza che deve farci sentire importanti, essenziali, capaci di interferire negli affari del mondo, che sono anche affari nostri. E che ci fa essere capaci di creare valore.

    Usare l’arma della creatività per risolvere le tensioni

    La teoria della creazione di valore del fondatore della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi, sottolinea la necessità di dare spazio al potenziale creativo dei ragazzi. Creare valore, insomma, è fare emergere il potenziale di ognuno, parlare e far parlare e mai chiudersi nelle proprie limitate certezze. E usare l’arma della creatività può servire a superare qualsiasi conflitto, a dirimere le piccole, ma anche le grandi questioni. Presso il popolo Twa, che vive in una circoscritta area della foresta pluviale del Congo, c’è l’uso di risolvere i litigi facendo il tiro alla fune e quando si finisce per cadere da una parte o dall’altra del mucchio tutto si risolve con una gran risata. (Questo e altri esempi di come affrontare i conflitti, a livello internazionale e di piccoli gruppi, si trovano in Abolishing War, Dialogue with Peace Scholars, E. Boulding e R. Forsberg, Boston Research Center). Offre molto da pensare a questo proposito anche l’intervista rilasciata da Ishmael Beah all’SGI Quarterly (ottobre 2008). Ishmael è un ex bambino soldato obbligato a tredici anni a combattere nella guerra civile della Sierra Leone. È uno che dunque la guerra, quella delle armi e della violenza più brutale, la conosce bene. Ishmael racconta tuttavia che, quando era bambino, nella sua comunità chi faceva un torto a un altro veniva “punito” con l’obbligo di passare del tempo con la persona a cui aveva fatto del male e di aiutarla anche nel suo lavoro quotidiano. «Quando mangi nello stesso piatto, riposi con quella persona o vai al fiume con lui a prendere l’acqua, allora – dice Ishmael – la tua relazione con l’altro cambia e migliora». Una testimonianza del fatto che non c’è situazione, quindi, per quanto tesa, che non possa essere risolta parlando con l’altro, condividendo, guardandosi negli occhi.

    Siamo noi che scegliamo e influenziamo il mondo

    «Se i miei soldati cominciassero a pensare, nessuno rimarrebbe nelle mie file» pare affermasse Federico II, re di Prussia. Ed è così, per spezzare dei circoli viziosi e distruttivi bisogna impegnare la mente, bisogna decidere di cambiare. Non è strano o preoccupante incontrare situazioni di incomprensione e conflitti nel nostro ambiente, persino tra i nostri amici buddisti; quello che è importante è il modo in cui le situazioni si gestiscono: se acuendo rabbia e incomunicabilità o trovando un modo creativo per reagire. Un modo che magari rilassi gli animi, che sia incentrato sul dialogo e crei valore per il futuro. Se in presenza di un disaccordo reagiamo ad esempio con il silenzio o mettendo il broncio o, peggio, sparlando qua e là di coloro con cui è nata l’incomprensione, non faremo che creare divisione. Scegliere di aprire un canale comunicativo, invece, ci porterà a risultati a volte insperati. Parlare, esprimere quello che abbiamo dentro e lasciare all’altro il medesimo spazio di espressione è una maniera per creare un flusso costante di scambio basato sul dire ma anche sull’ascolto. Non è sempre facile aprirsi, fare il primo passo, o quella telefonata che romperà il ghiaccio, ma riuscirci vuol dire aver compiuto un atto di pacificazione prima di tutto con noi stessi.
    È nelle nostre case, nei luoghi di incontro che manifesteremo poi la pace che abbiamo dentro. Che non è assenza di pulsioni, ovviamente, ma profonda comprensione del valore di chi ci sta di fronte. «Prendiamoci cura di ogni incontro e della relazione con qualunque persona. Costruiamo e rafforziamo legami sinceri con ogni individuo. In questo modo, vorrei che agissimo sul palcoscenico di kosen-rufu» (D. Ikeda, Il Gosho e la missione di kosen-rufu, esperia edizioni, pag. 145). Dunque, che grande valore e che grande scopo abbiamo, ognuno a proprio modo ma ognuno con la stessa intensità. Che grande scopo abbiamo nel diffondere una cultura di pace, pensando all’umanità e al mondo non come se fossero entità confuse, inarrivabili e infinite, ma piuttosto vedendoci dentro i nostri familiari, i nostri amici membri, il nostro vicino. A questo proposito è meravigliosa la riflessione di Laura, dello staff autisti (che si occupa del trasporto dei membri durante le attività ufficiali): «Se pensate di avere un Budda in macchina, l’essere più prezioso al mondo, cercherete di evitare qualsiasi incidente, la capacità dei vostri sensi di percepire i possibili pericoli in anticipo si acuirà e, soprattutto, non litigherete mai per la strada. Perché quando trasportate un Budda non importa chi ha ragione. Se incontrate un prepotente per la strada, la vostra attenzione sarà concentrata per proteggere la persona che trasportate». Lasciarsi andare a sentimenti di collera, odio, risentimento non è inevitabile. Siamo noi che scegliamo da che parte andare, quale strada intraprendere e che mezzi usare per confrontarci con gli altri. E sensei continua instancabilmente a incoraggiarci in questo senso: «Non c’è nessuna ragione per cui non ci si possa risollevare dalle crisi che alimentano le divisioni che affliggono il nostro mondo contemporaneo. Il dialogo è la strada più sicura per la pace. È un sentiero aperto a tutti noi, che inizia proprio da dove ci troviamo, a partire da ora. […] È la sorgente di una ininterrotta e continua creazione di valore» (BS, 132, 5).

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    L’umanesimo di Makiguchi nella proposta di pace 2009
    Nel documento di quest’anno Daisaku Ikeda trova nella crisi economica globale una spinta verso un cambiamento positivo. Una sollecitazione, inoltre, a pensare e ad agire secondo valori che rispondano alle reali esigenze di ogni singola persona.

    “Verso una competizione umanitaria: una nuova corrente nella storia”, è questo il titolo della proposta di pace 2009 presentata il 26 gennaio scorso alle Nazioni Unite da Daisaku Ikeda. Analizzando la crisi economica globale il presidente della Soka Gakkai si interroga sui risultati e i fallimenti di un certo sistema economico-sociale e chiede attenzione ai reali bisogni della gente e al rafforzamento della rete di protezione sociale. Il contributo di Ikeda alla soluzione della crisi del capitalismo prende spunto dal concetto di “competizione umanitaria” espresso dal fondatore della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi in Geografia della vita umana del 1903. Ciò che occorre al cambiamento, esorta Ikeda, è riportare valori umani nelle azioni e ricordare costantemente che il fine ultimo è il benessere di ogni singolo individuo. Sensei mette in guardia contro il pericolo di generalizzazioni e concetti astratti, siano essi economici o politici. E porta l’esempio dei mercati finanziari, che basando le loro attività sull’uso di un elemento virtuale come la valuta, senza alcun riferimento ai bisogni degli individui, hanno allontanato di fatto l’economia dal mondo e dalle persone reali.
    Nel documento il presidente Ikeda esorta i leader mondiali a condividere le decisioni e a cooperare sulle scelte e le azioni necessarie ad affrontare i problemi globali: la crisi economica appunto, l’ambiente, gli sforzi per la pace. Invita a farlo senza però perdere di vista la più minuscola parte di realtà. Anzi cominciando da questa per essere certi di garantire risultati di vaste proporzioni.
    «Piuttosto che fare il grande salto ai “fenomeni vasti e complessi” della vita – scrive Ikeda – noi dovremmo partire dalle realtà concrete del “minuscolo pezzo di terra” dove siamo ora. È soltanto guardando da vicino e attentamente queste realtà che possiamo acquisire una significativa comprensione di fenomeni più vasti. Chi ha questo potere di immaginazione rivolto verso la realtà della vita quotidiana percepisce come “vicini” non solo gli amici intimi ma anche gli abitanti di terre lontane».
    Specifiche proposte contenute nel documento sono quella di creare una Agenzia delle Nazioni Unite responsabile per l’energia sostenibile; fondare una Banca mondiale del cibo che possa intervenire nelle emergenze e aiutare a stabilizzare i mercati nei casi di crisi più gravi; incrementare le azioni di solidarietà internazionale nel settore delle imposte; rafforzare la capacità delle Nazioni Unite a cooperare con esponenti e pensatori della società civile. Sensei torna inoltre sulla questione del disarmo nucleare, secondo quanto stabilito dall’articolo VI del Trattato di non proliferazione del 1968.

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