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Il tempo della felicità - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 18:57

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Il tempo della felicità

Una panoramica sulla visione buddista del tempo: il suo posto all’interno del patrimonio filosofico dell’umanità, le analogie con i risultati della scienza ma, prima e soprattutto, il valore che riveste nel quotidiano

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Una panoramica sulla visione buddista del tempo: il suo posto all’interno del patrimonio filosofico dell’umanità, le analogie con i risultati della scienza ma, prima e soprattutto, il valore che riveste nel quotidiano

Dicono che il tempo sia denaro. Il che sarà anche vero, per certe professioni e per certi individui ossessionati dall’opulenza del proprio conto in banca. Ma è una definizione assai curiosa e discutibile, per il bene più prezioso che c’è. Col denaro non si compra il tempo. Non solo perché il tempo è il grande mistero che ha appassionato filosofi e scienziati nei secoli dei secoli o, se volete, è la quarta dimensione di un universo dove lo scorrere dei minuti e degli anni è un fatto relativo. Ma soprattutto perché il tempo – visto con gli occhi terreni e mortali di ognuno di noi – in definitiva non è nient’altro che la vita. E dire che la vita sia denaro, è una bella assurdità.
Per il Buddismo, non soltanto la vita e il tempo non hanno prezzo. Ma il pensiero buddista ha qualcosa di importante da aggiungere alla storia della filosofia, alla storia della scienza e – soprattutto – alla storia di ogni possibile, singolo essere umano che ogni giorno “spende” un po’ di questo tesoro inestimabile chiamato vita.
Il tempo è una cosa strana: lo ammettono i filosofi e gli scienziati, anche se per motivi diversi. Ma lo dice anche la moltitudine degli esseri umani. Sei sei felice, il tempo vola. Se sei triste, non passa mai. Da giovani, le giornate scorrono lente e lasciano la dolce impressione di una vita lunga davanti a sé. Poi, con l’arrivo dell’età adulta, i giorni e i mesi si mettono a correre e s’impone l’amara – e più realistica – impressione che la vita sia un lampo.
«La realtà che percepiamo, sia in termini spaziali sia temporali – dice Daisaku Ikeda, nei dialoghi sulla Saggezza del Sutra del Loto – cambia radicalmente a seconda dello stato vitale in cui ci troviamo al momento». In altre parole, il tempo può essere gioia o essere dolore. «Al Buddismo – prosegue – non interessa la razza, la nazionalità, il livello di istruzione o la posizione sociale, ma soltanto lo stato vitale degli esseri umani». Nel mondo di Inferno (la prima e la più bassa delle dieci possibili condizioni vitali descritte dal Buddismo) il tempo scorre così lentamente da sembrare una gabbia. In quello di Estasi corre al galoppo. In tutti e due i casi, è fuori dal controllo dell’individuo.
Il fatto che al Buddismo «interessi solo lo stato vitale degli esseri umani», vuol dire che la cosa più importante è l’ottenimento della condizione di Budda, una condizione dove le donne e gli uomini sono liberi dalle catene del karma e il tempo soggettivo diventa esso stesso libertà, la dimensione di una nuova forza creatrice di felicità.

La filosofia
La cultura occidentale è rimasta influenzata dal pensiero giudaico-cristiano, che ha introdotto l’idea del tempo lineare (ovvero con un inizio, una durata e una fine) e irreversibile. Gran parte delle culture precedenti invece, immaginavano il tempo come una struttura circolare, forse ispirate dal ritmo costante delle stagioni o dalla rotazione delle stelle nel firmamento. «Le vicende umane sono un circolo – osservava Aristotele nella sua Fisica – e ciò vale anche per le cose che abbiano un movimento naturale e siano soggette al nascere e al perire». Ma le popolazioni Maya (che oltre mille anni fa disponevano di un calendario più accurato del nostro calendario gregoriano) si spingevano oltre: credevano che la storia si ripetesse, sempre uguale a se stessa, ogni 260 anni.
Già nei primi insegnamenti del Budda, quest’idea di circolarità è data per scontata. Ma non nel senso della ripetizione degli eventi, che darebbe adito a una visione disillusa e fatalista della vita. La circolarità non sta a significare una specie di continuo ritorno della storia, quanto l’eternità della storia stessa. In geometria, per definizione, il cerchio è fatto da un numero infinito di punti equidistanti dal centro. E così anche la vita, che va avanti all’infinito in una serie infinita di puntini: le nascite che si alternano alle morti, incessantemente.
Ora, dato che la Legge universale è basata sul principio di causa e di effetto, la filosofia buddista offre una visione attiva del tempo che fluisce: non c’è niente di predeterminato nella vita, e neppure niente di casuale. Tutto dipende da ognuno di noi.
Non solo. Il Buddismo introduce il concetto delle Tre Esistenze – passato, presente e futuro – solo per mettere l’accento sul presente. «L’eternità del tempo – dice Ikeda nel libro Buddhism and the Cosmos – è fusa nel momento presente. Le divisioni di passato, presente e futuro sono create dalla nostra coscienza ma, fondamentalmente, non ci sono distinzioni». Questo istante racchiude tutte e tre. Dato che la causa e l’effetto sono comprese in un istante – secondo il principio della “simultaneità della causa e dell’effetto” – «è il presente che assume la massima importanza».
Che cambiare il presente sia il modo per cambiare il futuro, è abbastanza semplice da comprendere. Ma, per il Buddismo, il futuro cambia anche il passato. Pensiamoci bene: un atteggiamento positivo, attivo e creativo nei confronti dell’istante presente produce l’effetto di cambiare il domani. Dopodiché, un domani diverso produrrà – una volta che osserviamo “dall’alto” l’intera vita di una persona – anche un diverso ieri. Potremmo dire che non è vero che il tempo sia irreversibile.

La scienza
Negli ultimi tre secoli, la visione delle cose del mondo si è trasformata radicalmente. Prima la meccanica di Isaac Newton, poi la relatività di Albert Einstein e la meccanica quantistica hanno costruito il grande edificio della scienza moderna. «Queste tre teorie – scrivono Peter Coveney e Roger Highfield in La Freccia del Tempo – funzionerebbero altrettanto bene se il tempo scorresse all’indietro. Gli eventi registrati su una pellicola cinematografica sarebbero perfettamente plausibili indipendentemente dal fatto che, nel proiettore, il film venisse fatto scorrere in avanti o all’indietro». L’unidirezionalità del tempo insomma, sembra presentarsi come un’illusione mentale. I libri di fantascienza, ad esempio, ci hanno abituati a mille possibili paradossi temporali, certamente incoraggiati dalla relatività einsteniana, la quale dimostra che – se uno potesse viaggiare nello spazio a velocità prossime a quella della luce – al suo ritorno scoprirebbe di essere invecchiato assai meno di coloro che sono rimasti sulla Terra.
Tuttavia, il cammino della scienza non è concluso. Le tre citate teorie, che costituiscono i mattoni del cosiddetto “modello standard” della fisica, zoppicano un po’: basti pensare che la gravità è una tessera che non s’incastra nel mosaico del modello standard. Eppure, nei libri di scienza, le forze fondamentali dell’universo stanno convergendo. Prima si è scoperto che elettricità è magnetismo sono aspetti di una forza sola, quella elettromagnetica. E poi che, ad alte energie, anche elettromagnetismo e interazione debole sono aspetti di una sola forza, chiamata elettrodebole. E se fosse così anche per interazione forte e gravità? Se ci fosse una sola forza, una sola legge, che governa l’universo? Quella che gli scienziati chiamano la Teoria della grande unificazione – un’idea ancora da dimostrare – è in realtà il punto di vista del Buddismo: c’è una sola legge, Myoho-renge-kyo, che regola l’intero universo.
Tuttavia, la fisica ragiona con un punto di partenza: il big bang, la gigantesca esplosione che si calcola essere avvenuta 15 miliardi di anni fa, dalla quale origina il nostro sconfinato universo. E prima di quell’istante? Sant’Agostino risolse il dilemma dicendo che Dio, prima di creare il cielo e la terra – e quindi anche il tempo – esisteva, ma non aveva fatto nulla. Una risposta che, ai fini scientifici, non ha ovviamente valore.
Nella letteratura buddista, una delle più grandi sorprese arriva con il capitolo Durata della vita del Tathagata (Juryo), il sedicesimo del Sutra del Loto, quando il Budda sbalordisce i propri discepoli annunciando di aver conseguito la Buddità non in questa vita, ma in un passato remoto chiamato gohyaku jintengo. È forse inutile stare qui a fare il calcolo matematico su quanto sia lontano quel tempo descritto da Shakyamuni: basti dire che è molto, molto più remoto di 15 miliardi di anni fa. Fantasie? Non necessariamente. La scienza non può scandagliare nulla che sia avvenuto prima di quell’esplosione apocalittica. Ma le teorie abbondano. C’è quella dell’universo oscillante che immagina un big crunch, con la materia che, dopo miliardi di anni di espansione, ripiega su se stessa e torna a concentrarsi in un solo punto, prima di un altro big bang. È una teoria non dimostrata e messa sovente in discussione. Ma che, se fosse provata, confermerebbe il punto di vista espresso da Shakyamuni nel Sutra del Loto: la vita è eterna. E quindi anche l’universo. E il tempo.

La vita in pratica
Nonostante il loro diverso approccio, filosofia e scienza sono nate per lo stesso motivo: conoscere. E, sottosotto, la sete di conoscenza ha molto a che fare con la ricerca della felicità, la quale, come dicevamo prima, è l’esplicito punto di partenza del Buddismo: come fare a “guarire” le sofferenze di nascita, vecchiaia, malattia e morte?
A ben pensarci, le Quattro sofferenze hanno molto a che fare con il passare del tempo. Anzi, è proprio il tempo a marcarle come pietre miliari di ogni esistenza.
Al giorno d’oggi – sono in tanti a sostenerlo, senza che però nulla cambi – la nostra società fa di tutto per nasconderle. L’immagine collettiva della vecchiaia, della malattia e della morte (la nascita è un caso a parte), è alterata dalla pubblicità, dai mass media e anche dai costumi di chi ci circonda. È ovvio che le cose belle sono più belle… ma è saggio negare o sminuire il tempo e la vita? «Questo nostro corpo – scrive Nichiren Daishonin ne Le quattordici offese – comunque non diventerà nulla più del terreno delle colline e dei campi; è inutile attaccarsi alla vita perché, per quanto lo desideri, non puoi trattenerla per sempre. Anche un uomo che vive a lungo, non vive oltre i cento anni e tutti gli eventi di una vita non sono che il sogno di un breve sonno». Una saggia ricerca della felicità, prevede non solo di conoscere cosa dicevano Einstein o Sant’Agostino. Ma anche di conoscere la realtà immutabile del tempo che passa. E usare il tempo per prendere in mano gli istanti che passano.
«Non dobbiamo essere prigionieri del presente», sintetizza ancora Ikeda nella Saggezza del Sutra. «Dobbiamo vivere con lo sguardo fisso all’eternità e all’universo, senza farci condizionare dalle preoccupazioni immediate. Questa esistenza è breve, rispetto all’eternità non è che un istante, ma nella presente esistenza possiamo stabilire fermamente la condizione di Budda. Per questo è tanto importante praticare bene il Buddismo adesso».
Gli esseri umani possono muoversi a piacere nelle tre dimensioni spaziali. Ma, nella quarta dimensione, sono confinati dentro l’istante presente. E quanto dura l’istante presente? In teoria, non c’è una risposta: da un lato, perché il tempo è soggettivo; dall’altro, perché se il tempo è un circolo di infiniti punti, minuti o nanosecondi sono infiniti anche loro. Però di sicuro è lecito pensare che l’istante presente duri molto poco: un sessantesimo di schiocco di dita, suggeriva il maestro cinese T’ien-t’ai nell’esporre la dottrina di ichinen sanzen (tremila possibili condizioni di vita in un istante vitale).
Ogni ichinen, ogni sessantesimo di schiocco di dita, noi prendiamo delle decisioni. Ci muoviamo nello spazio cavalcando il presente e interagiamo col mondo per mezzo di pensieri, parole e azioni: le tre cose che contribuiscono a creare il karma per via della legge di causa ed effetto.
Dunque, quanto valore diamo a quell’ichinen, a quell’istante vitale? Proviamo a pensarci: dieci euro, cento, mille? C’è qualcuno che accetterebbe del denaro in cambio della vita? Beh, forse sì: coloro che soffrono molto e si trovano ingabbiati in un presente che detestano. Dato che il Buddismo proclama il valore inestimabile della vita, esclude l’individualismo. La felicità stessa sgorga celebrando il valore della Legge universale della quale siamo parte integrante: ovvero la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo. Ma questo valore non è confinato al nostro corpo. «Comprendere teoricamente il Sutra del Loto non ci gioverà – commenta il presidente Ikeda – a meno che non ci impegniamo nella sua propagazione. Anzi, chi non si impegna attivamente per kosen-rufu dimostra di non aver capito. L’eterna Buddità si manifesta nella vita di coloro che si impegnano attivamente per la diffusione della mistica Legge e per la felicità degli altri. Da questa attività nascono immensa gioia e vitalità, coraggio, saggezza e fortuna».
Il tempo può scivolare fra le nostre dita, consapevoli o inconsapevoli. Oppure può essere dominato, quando si dà il massimo valore a ogni istante presente. Sarà quello, il tempo della felicità.

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