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Il peso leggero degli altri - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:41

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Il peso leggero degli altri

Finché ha cercato di risolvere razionalmente i problemi di tutti, Letizia ha portato sulle spalle una responsabilità schiacciante. Ma anche dopo quasi trent’anni di pratica buddista si può decidere di ricominciare da capo cercando la risposta migliore alle difficoltà della vita: quella che emerge da una preghiera forte e sincera

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Finché ha cercato di risolvere razionalmente i problemi di tutti, Letizia ha portato sulle spalle una responsabilità schiacciante. Ma anche dopo quasi trent’anni di pratica buddista si può decidere di ricominciare da capo cercando la risposta migliore alle difficoltà della vita: quella che emerge da una preghiera forte e sincera

Redazione: Letizia, hai incontrato il Buddismo quasi trent’anni fa, vero?

LETIZIA LIVI: Sì, e insieme ai compagni di fede di allora abbiamo fatto tante esperienze. Devo tutto al Gohonzon: quando ho iniziato a praticare il Buddismo di Nichiren Daishonin avevo vent’anni e tutto da costruire. A volte è bene ricordare il passato perché quando trascorre tanto tempo si rischia di diventare un po’ sbiaditi, come delle vecchie fotografie… Oggi sono molto diversa da come ero all’inizio della pratica, anche perché sono alla soglia dei cinquant’anni.

Redazione: Nichiren Daishonin parla della difficoltà di mantenere una fede come l’acqua che scorre. Cosa fai per rinnovarti?

LETIZIA: Due anni e mezzo fa durante un corso di approfondimento sul Buddismo, ho deciso di ricevere un consiglio sulla fede dalla responsabile delle Divisioni donne e giovani donne europee Sakae Takahashi. Stavo vivendo un momento molto impegnativo e stressante. Mia madre aveva avuto la seconda metastasi ossea di un tumore che l’accompagna da circa diciassette anni – anche se non mi è mai mancato il suo prezioso sostegno – mio padre iniziava a manifestare la sua malattia (demenza senile) facendo numerose stranezze sia in casa che fuori, mio marito aveva una responsabilità nazionale e tutti i fine settimana era in viaggio, mio figlio di dieci anni, anche se aveva un carattere tranquillo, andava seguito e io, per finire, oltre a lavorare come medico dalle sei alle dieci ore al giorno, alcuni fine settimana dovevo assentarmi da Firenze perché seguivo dei corsi di specializzazione per il mio lavoro.
Sinceramente non le chiesi un consiglio sulla fede per queste situazioni specifiche, perché bene o male riuscivo a gestirle con vari aiuti (badanti, baby sitter, cure mediche ecc.). E poi vedevo come parte della vita il fatto che i genitori invecchino e che noi figli siamo sempre più indaffarati. Volevo invece un consiglio sull’atteggiamento che mi rendevo conto di avere in certi momenti, e cercavo una risposta al perché nel vivere provassi una grande pesantezza.

Redazione: Quanto è importante, secondo te, nei momenti critici, parlare con persone che hanno più esperienza nella fede?

LETIZIA: È fondamentale aprire il nostro cuore. Spiegai alla signora Takahashi che c’erano momenti in cui mi annullavo del tutto in questa situazione familiare che mi tirava fuori molta sofferenza, e smettevo totalmente di fare attività per gli altri: stavo con loro, li curavo, cercavo di convincere mio padre a non andare in motorino, mia madre e io cercavamo strategie per impedire che scappasse, come ogni tanto succedeva. E siccome a forza di stare insieme qualche volta litigavamo, seguivano momenti in cui li trattavo con molto nervosismo e poi sparivo per qualche giorno… Ma naturalmente in questo modo non risolvevo il problema e mi sentivo molto poco buddista; era questo il quesito più importante che mi tormentava.
La signora Takahashi mi incoraggiò moltissimo ad accettarmi così come sono. «Siamo esseri umani – mi disse – è normale che a volte escano dalla nostra bocca parole che non vorremmo». Mi consigliò di cominciare a “illuminare” la mia vita con Nam-myoho-renge-kyo.
Mi disse di recitare un Daimoku “mirato” verso ogni singola persona che mi creava un problema o che per mancanza di tempo mi sembrava di non riuscire a “raggiungere”. Mi incitò a recitare Nam-myoho-renge-kyo mentre cucinavo, mentre camminavo, in qualsiasi momento possibile della giornata, e questo mi ha fatto rivivere lo spirito e la freschezza di quando ho cominciato a praticare. Concluse dicendomi che «la cosa più importante è il tuo ichinen, la tua volontà profonda di abbracciare tutte queste persone e pregare per la loro felicità. Non concentrarti troppo sulle strategie, o sul fatto che ti senti troppe responsabilità sulle spalle. Parti da questa decisione di volere la felicità di ogni singola persona e lascia fare al Gohonzon. Recita Daimoku anche per tuo marito, perché è la tua preghiera che protegge la sua vita e la sua attività buddista; e recita anche per la crescita della Divisione giovani. Anche con tuo figlio potrebbe diventare difficile comunicare con le parole, perché sta entrando nella fase critica dell’adolescenza. Ma – e qui mi disse una cosa che oggi mi serve davvero – qualsiasi comportamento abbia tuo figlio, una cosa è certa: ti ama veramente, e tu ami lui. Non basarti sulle apparenze di quello che succede, sui suoi comportamenti. La tua preghiera abbraccia la sua strada, nella tua convinzione c’è anche la protezione che gli permetterà di realizzare la sua missione. Questa è la preghiera delle donne. Se pregherai così, il peso non sarà più tanto grande da schiacciarti e il beneficio sarà che tu, nel sostenere tutti, invece di appesantirti aprirai la tua vita a tantissime altre persone».

Redazione: Sei riuscita a mettere in pratica tutti questi consigli?

LETIZIA: Uscii molto commossa da questo dialogo. Ho trascritto, studiato e riletto varie volte le sue parole e ho impiegato quasi due anni per “digerirle” e renderle parte della mia giornata perché è chiaro che quando riceviamo un incoraggiamento sulla fede la cosa fondamentale è trovare il nostro modo di attuarlo.
Ma sempre in quel periodo è successo qualcosa che ha funzionato da acceleratore per il mio desiderio di mettere in pratica i consigli ricevuti, e per la mia trasformazione: come ho detto era un momento di grande stanchezza, e una mattina mi sono svegliata con le mani estremamente gonfie e doloranti. Alcuni colleghi mi parlarono di artrite reumatoide, invece il docente che teneva il mio corso di specializzazione in psichiatria lo interpretò come una somatizzazione: mi disse che sembrava che “volessi strozzare qualcuno”.
In effetti uscivo da dieci anni di lotte dovute a grossi problemi giudiziari che mio padre aveva avuto e che avevano coinvolto tutta la famiglia, in particolare me come amministratore unico della sua ex azienda.

Redazione: Cosa era successo, e come hai affrontato negli anni tutte queste difficoltà?

LETIZIA: In passato mio padre era benestante e questo mi aveva sempre dato una certa tranquillità, anche se per fortuna avevo scelto la mia strada e avevo imparato, come insegna il Buddismo, che l’unico tesoro sicuro è quello del cuore. Un giorno, diversi anni fa, mio padre venne inquisito e arrestato finendo su tutti i giornali, e il suo patrimonio aggredito e confiscato. In famiglia eravamo totalmente all’oscuro delle sue attività e dei suoi problemi. I successivi dieci anni sono stati durissimi, prima di tutto per la delusione, la vergogna e la rabbia: ero coinvolta senza entrarci niente perché mi ero fidata, in modo superficiale e poco saggio, avevo dato molte deleghe e messo firme.
Crollava così un grosso pilastro della mia vita. Devo dire che non avrei potuto affrontare quel periodo così difficile senza l’aiuto del Daimoku. In quel momento ho sentito anche l’importanza di aver sostenuto per tanti anni l’attività buddista molto impegnativa di mio marito Andrea: era come se tutto l’impegno messo negli anni, in quel momento difficile ci tornasse indietro sotto forma di buona fortuna. Siamo usciti dai guai giudiziari bene da un punto di vista finanziario, ma io con le ossa doloranti, e mio padre con una forma di demenza, come se avesse voluto dimenticare l’accaduto.

Redazione: E qui torniamo alle tue mani gonfie e doloranti…

LETIZIA: Per qualche mese mi trasformai in paziente, ingurgitando e iniettandomi di tutto, consultai numerosi colleghi, ma non risolsi nulla. Facevo molta fatica a lavorare e quando i pazienti mi stringevano la mano sentivo un dolore atroce.
A questo punto decisi di essere un po’ più buddista e ricordarmi tutto quello che personalmente consiglio durante l’attività del gruppo Sanità – formato da medici e paramedici di cui sono coordinatrice nazionale da venti anni – quando parliamo di affrontare i problemi di salute non teoricamente ma con la nostra vita.
Con i miei compagni di fede avevamo fatto molta attività per gli altri, dando consigli personali sulla malattia e, negli ultimi dieci anni, varie conferenze dal titolo “Buddismo e medicina” in giro per i Centri culturali italiani. Tale attività mi ha “tenuta in vita” negli anni bui che ho passato, permettendomi di rimanere ancorata alla realtà, perché mi ha offerto l’occasione di recitare Daimoku per le persone che soffrono, ridimensionando la mia situazione.
Adesso era venuto il momento di passare dalla teoria alla pratica e ripensare a quanto studiato e approfondito per questo gruppo.

Redazione: Quindi hai rinnovato il desiderio di mettere in pratica quello che Nichiren ci insegna e cioè che “la fede non è separata dalla vita quotidiana”.

LETIZIA: Esatto. Ho iniziato a chiedermi cosa voleva dirmi il mio corpo con quella malattia, ho iniziato a considerarla come un’occasione per cambiare il mio atteggiamento nella vita. Forse negli ultimi anni usavo molto le strategie e poco il Gohonzon; ero esaurita, e le mie ossa non ce la facevano più a far fronte a tutte le responsabilità, a portare tutti quei pesi: era arrivato il momento di fermarmi a riflettere.
Cominciai a correre meno e a recitare più Daimoku, pensando che dove non arrivavo io arrivava il Gohonzon, ad alleggerirmi dai sensi di colpa e a scoprire con grande gioia che c’è una via meno ufficiale e più nascosta che il Gohonzon ci indica di volta in volta: è proprio quella che fa per noi, ma si apre solo dopo che abbiamo aperto il nostro cuore, e può essere ogni giorno diversa.
Piano piano le mie mani sono guarite, e io sono diventata più umana, sia come persona che come medico. Ho imparato tante cose, anche a non dare nulla per scontato e a non trattare frettolosamente le persone. Ormai la macchina si era rimessa in moto e avevo capito come fare!
Mia madre la scorsa estate è peggiorata, la sua malattia progrediva. Intanto gli ormoni di mio figlio si facevano sentire forti, nelle sue contestazioni e nei suoi “no”: eravamo arrivati alla fatidica adolescenza; anche i miei ormoni si facevano sentire, visto che è… arrivata la menopausa!
In quella occasione ho deciso di mirare a una migliore qualità di vita di mia madre, quindi farla riposare di più e rimandare un’operazione invalidante. Ho scelto di non accanirmi con le terapie, affidandomi invece al potere della preghiera, perché nel tipo di situazione che viveva mia madre anche la scienza non dà comunque garanzie di guarigione.

Redazione: Fin qui abbiamo parlato della tua vita privata, ma sicuramente anche nell’attività per gli altri ci saranno stati dei cambiamenti.

LETIZIA: Alla fine dello scorso anno, nel 2006, ho deciso di mettere una marcia in più e cioè di recitare costantemente due ore di Daimoku al giorno, e la mattina andare a fare Gongyo dalle donne che fanno parte del mio territorio. Ho sentito il desiderio di conoscere più persone possibile, e di instaurare con loro una relazione personale. Anche con le mie corresponsabili della Divisione donne, con le quali non riuscivamo mai a trovarci, “misticamente” è saltato fuori che il mercoledì mattina eravamo tutte libere e abbiamo cominciato a fare Gongyo insieme. Si è creato nel territorio un grande fermento di Daimoku, abbiamo cominciato a vederci tra noi una volta al mese per recitare insieme, incoraggiate dalle parole del presidente Ikeda, il quale molto spesso ci insegna che è sempre stato il Daimoku delle donne a cambiare le cose.
Nel territorio infatti abbiamo un grande scopo di presenza alle riunioni, stanno arrivando tanti nuovi ospiti, sono state fatte molte nuove esperienze, c’è un entusiasmo rinnovato e contagioso che ci attacchiamo l’un l’altro come… carta moschicida! Ho fatto shakubuku e hanno cominciato a praticare le madri di due compagni di scuola di mio figlio, che spero ricevano presto il Gohonzon.
All’inizio di quest’anno sono riuscita a portare a termine la specializzazione che mi ha tenuta per cinque anni fuori Firenze durante vari fine settimana. Mio figlio lo vedo più responsabilizzato, perché invece di rimproverarlo costantemente o prendermela se non fa i compiti e non è come lo vorrei io, lo rispetto di più come Budda. Cerco di ripartire da me, di non essere troppo ansiosa nei suoi confronti e credere in lui – come mi ha detto la signora Takahashi – ricordando che il momento attuale serve per determinare, e non per criticare.
Non posso fare altro che ringraziare il Gohonzon con tutta me stessa attraverso le mie azioni quotidiane. Sto sperimentando nuovamente la grande gioia che provavo i primi tempi della pratica, quella gioia che deriva dalla recitazione del Daimoku, e voglio trasmetterla a tutte le persone che incontro ogni giorno.

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