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Il mio “viaggio a Kyoto” - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:14

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Il mio “viaggio a Kyoto”

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Nei miei diciassette anni di pratica ci sono stati vari eventi, personali e collettivi, gai o tristi, da cui è derivato un grande stato vitale, una maggiore stabilità emotiva e una gran gioia di vivere… che certo non avevo a quindici, venti, trent’anni. Oggi di anni ne ho quarantotto e mi sento al meglio della forza fisica e della capacità di utilizzarla. In questi diciassette anni ho affrontato varie prove, anche nel mondo buddista, e talvolta è stato difficile seguire scelte e atteggiamenti di altri responsabili, senza sentirsi profondamente in disaccordo; è stato arduo talvolta cercare di mantenere la stabilità della propria pratica e dell’armonia con gli altri compagni di fede, senza sentirsi “complici” di scelte che si consideravano “scivoloni” non condivisibili. Ma non sono state forse anche queste delle sfide? Dall’inizio della pratica ad oggi, due cose nella mia vita non hanno conosciuto ondeggiamenti: la regolarità del Daimoku e della lettura del Gosho, in quest’ordine. I primi tempi erano frasi come: «Credi in questo mandala con tutto il tuo cuore. Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone. Quale malattia può quindi essere un ostacolo?». E ancora: «Una spada sarà inutile nelle mani di un codardo. La potente spada del Sutra del Loto deve essere brandita da un coraggioso nella fede” (Risposta a Kyo’o, SND, 4, 149-150).
Poi – mentre incoraggiavo altri membri, appoggiandomi alle esperienze fatte grazie a queste frasi di Gosho – e mentre la mia vita personale si arricchiva di figli e famiglia, erano frasi più rasserenanti, spesso indirizzate a donne, come: «Soffri per quel che c’è da soffrire e gioisci per quello che c’è da gioire. Considera entrambe, sofferenza e gioia, come fatti della vita e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo qualunque cosa accada» (Felicità in questo mondo, SND, 4, 157) che mi spronavano a crescere. O ancora come: «Quelli che credono nel Sutra del Loto sono come l’inverno, che si trasforma sempre in primavera» (L’inverno si trasforma sempre in primavera, SND, 4, 209). Leggevo: «Spiega tutto questo a tua moglie e lavorate insieme come il sole e la luna, come i due occhi o le due ali di un uccello» (I desideri terreni sono Illuminazione, SND, 4, 147) e ancora: «Una donna che abbraccia il re leone del Sutra del Loto, non deve temere le belve dell’Inferno, dell’Avidità e dell’Animalità» (Il tamburo alla Porta del tuono, SND, 7, 218)… e via un bel colpo di spugna a sensi di colpa e retaggi culturali opprimenti!
Studiando Il vero aspetto del Gohonzon, in cui si approfondisce appunto la parte relativa alla struttura del nostro oggetto di culto, sono rimasta folgorata dalla frase: «Come una lanterna nell’oscurità, come un forte braccio che ti sostiene lungo un sentiero infido, il Gohonzon ti proteggerà, signora Nichinyo, dovunque tu vada» (SND, 4, 203); di essa ho fatto la mia guida personale nei primi anni della separazione coniugale in cui tutto, ma proprio tutto, sembrava andare gambe all’aria e doveva essere completamente ridefinito. Con questa frase ho spazzato via l’attaccamento a sofferenze antiche che sembravano attanagliare solo me e farmi sentire dipendente dagli altri, o dai ruoli. Un nuovo spiraglio su un approccio creativo-attivo alla vita mi si è aperto davanti: essa, Daimoku dopo Daimoku, si è ampliata e illuminata e ne è nata una nuova forza, tutta da condividere!
Ma è stato quando ho festeggiato i primi quindici anni di Gohonzon che ho realizzato quanto fossero stati importanti gli ultimi mesi, quante esperienze profonde stessero arricchendo non solo me, ma tutto il mio ambiente; e – incoraggiando una donna che aveva interrotto la pratica dopo nove anni – ho pensato a quanta strada avevo fatto, nella vita e nel mio cuore, quando già pensavo che i benefici maggiori si fossero manifestati in precedenza. Allora ho capito in profondità la frase di Gosho che mi accompagnerà sempre, qualunque cosa accada: «Il viaggio da Kamakura a Kyoto dura dodici giorni: se viaggi per undici giorni e ti fermi quando ne manca uno solo, come puoi ammirare la luna sopra la capitale?» (Lettera a Niike, SND, 4, 245).

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