Ikeda ripercorre alcuni momenti dei suoi viaggi nella ex Unione Sovietica. E riconferma la sua decisione di recarsi dovunque ci siano esseri umani da incontrare
Oltre il boschetto, il fiume Moscova scorreva placidamente; il belvedere in cima alla collina di Lenin offriva una vista panoramica della città. Volgendo lo sguardo verso il basso, vidi un gruppo di persone discendere la collina. «Ah! Una coppia di sposini!» disse mia moglie sorridendo. La sposa era vestita di bianco mentre lo sposo indossava un completo. Li accompagnavano diverse persone, senza dubbio familiari e amici. Arrivati a circa metà del pendio, si diressero a destra.
Dalla parte opposta del sentiero arrivava una coppia a braccetto, reggendo un bouquet, ugualmente accompagnata da amici e parenti. È consuetudine che dopo la cerimonia nuziale, gli sposi russi visitino i luoghi famosi della loro città. A Mosca, i posti tradizionali per queste passeggiate sono la collina di Lenin e la Tomba del milite ignoto alla base delle mura del Cremlino.
Il 28 luglio 1990 era un sabato e sulla terrazza panoramica c’erano molti moscoviti e parecchi turisti che si sporgevano dalla ringhiera e conversavano. Ci fermammo lì dopo la visita alla vicina Università Statale di Mosca. Era circa mezzogiorno e il cielo estivo di questa terra nordica era punteggiato di soffici nuvole bianche.
Si trovava lì per caso anche una troupe televisiva americana, uno di loro si rivolse a me sorridendo e chiese: «Arriverà anche il presidente Gorbaciov?». I giornali avevano parlato del mio incontro con Gorbaciov avvenuto il giorno prima. Rispondendo al tono spiritoso del reporter replicai: «Sono spiacente, aveva un altro appuntamento oggi!». Ci allontanammo ridendo e mi restò l’impressione che, cinque anni dopo l’inizio della perestroika – la riforma economica e governativa lanciata da Gorbaciov – lo stato d’animo nei confronti dell’Unione Sovietica si fosse notevolmente rasserenato.
Durante la mia precedente visita all’Unione Sovietica di sedici anni prima, il panorama gelido della guerra fredda si estendeva a perdita d’occhio e pareva una landa impervia. In Giappone a quel tempo molti consideravano i sovietici come una minaccia incombente. Andai in Unione Sovietica per la prima volta nel settembre del 1974. Sette mesi prima, il premio Nobel Alexander Solzhenitsyn era stato arrestato ed esiliato e questo aveva suscitato disapprovazione nei confronti dell’Unione Sovietica in tutto il mondo.
Quello era il paese che mi proponevo di visitare.
La mia decisione venne largamente criticata. Le persone chiedevano perché un leader religioso volesse visitare una nazione atea; qualcuno insinuava che il mio viaggio sarebbe stato sfruttato dai sovietici a fini propagandistici e che i motivi che adducevo di costruire legami di amicizia fossero ingenui e per nulla realistici.
All’epoca, le relazioni tra Cina e Unione Sovietica erano molto tese e i miei amici in Cina, che avevo da poco incontrato per la prima volta, mi fecero domande sulle ragioni della mia visita.
Ma avevo le mie idee su questa questione. Ero molto preoccupato per gli effetti che queste relazioni tese tra Stati Uniti e Unione Sovietica potevano avere sulle persone comuni del mondo, così come lo ero per la mutua ostilità tra Cina e Unione Sovietica. Non c’era nulla di più increscioso, secondo il mio modo di vedere, che le generazioni future fossero costrette a vivere nel sospetto reciproco e nella paura costante della terza guerra mondiale.
Al Cremlino presi immediatamente posizione e chiesi al premier Aleksey N. Kosygin (1904-1980): «Le intenzioni dell’Unione Sovietica preoccupano la Cina. L’Unione Sovietica ha intenzione di attaccarla?».
«L’Unione Sovietica non ha alcuna intenzione di attaccare o isolare la Cina», mi rassicurò Kosygin.
«Posso comunicarlo ai leader cinesi?», chiesi.
«La prego di farlo», disse con un tono risoluto.
Durante la seconda guerra mondiale il premier Kosygin sperimentò di persona l’inferno della guerra che in Unione Sovietica fece venti milioni di vittime. Tutti ne furono toccati. Anche l’inserviente russa che lavorava presso il mio alloggio a Mosca mi disse di avere perso il marito in guerra. Ovunque andassi in Unione Sovietica, il sincero desiderio di pace della gente era palpabile. Ero contendo di essere lì. La gente diceva che l’Unione Sovietica era un posto spaventoso, ma nulla è più spaventoso della reciproca ignoranza.
Verso la fine della mia visita di dieci giorni, ci fu una riunione con i funzionari che avevano curato il nostro viaggio. Un’importante esponente del Partito comunista, mi chiese: «È stato tutto di suo gradimento durante il soggiorno? Ha qualche reclamo da fare?».
«Sì – risposi – a dire il vero avrei un grosso reclamo da fare».
Quando l’interprete finì di tradurre la mia osservazione, l’espressione del funzionario di partito – senza dubbio preso alla sprovvista dalla mia affermazione – si irrigidì. Nella stanza calò un silenzio carico di tensione.
«Sono soddisfatto al 99,9% della mia visita, ma mi devo lamentare per il restante 0,1%. Devo dire che i vostri connazionali sono un po’ troppo corpulenti per me. Quando cerco di abbracciarli in segno d’amicizia, non riesco a circondarli con le mie braccia!».
Quando le mie parole furono tradotte, i sovietici scoppiarono a ridere e la nostra conversazione proseguì in modo gioviale. All’epoca l’autorità dei funzionari di partito era assoluta e metteva così a disagio che al passaggio di uno di loro la tensione era palpabile e i cittadini comuni si irrigidivano. Si diceva che nessun popolo fosse più caloroso e cordiale dei russi, ma quando questi impersonavano il ruolo di funzionari sovietici, immediatamente perdevano la loro umanità per diventare insensibili burocrati. Volevo trovare i russi nei cittadini sovietici, perché ero convinto che nel profondo fossero persone come noi. E quel giorno, ridendo assieme, una calorosa umanità fece capolino, come i verdi germogli che a primavera sbucano dalla terra ghiacciata dell’inverno.
Ero deciso a trasformare l’inverno in primavera.
Dissi ai giovani che mi accompagnavano: «Il mondo è in costante fluire. Non posso credere che l’Unione Sovietica sarà sempre com’è ora. Cambierà di certo, forse tra venti anni; forse le prime avvisaglie di cambiamento si vedranno anche prima».
E undici anni dopo ebbe inizio la perestroika.
La collina di Lenin un tempo si chiamava Collina dei passeri. Napoleone, che venne in Russia alla testa di un esercito invasore, si dice che vi abbia sostato in cima. Dopo il collasso dell’Unione Sovietica è ritornata a essere la Collina dei passeri.
Nel secolo scorso la Russia è stata percorsa da uno sconvolgimento violento dopo l’altro – la rivoluzione, la guerra civile, la dittatura, le purghe, i conflitti, la guerra fredda – e ora, dopo aver superato il caos seguito al collasso dello stato sovietico, i russi stanno ancora lottando. Stanno cercando una strada che li conduca verso la stabilità, la pace, la felicità. Che persone forti e indomite sono!
Dal sentiero verdeggiante visibile dalla sommità della collina, le due coppie piano piano si avvicinarono, si superarono andando ognuna incontro al proprio futuro, seguendo ognuna la propria strada. In cuor mio dissi loro: «Qualunque strada prendiate, possa il vostro futuro essere felice!». Credo in un brillante futuro per la Russia. Ogni volta che mi chiedono perché, rispondo con le stesse parole che ho usato per rispondere alla domanda: «Perché va in Unione Sovietica?». «Perché là ci sono delle persone».
• • •
Le sei visite di Daisaku Ikeda nella ex Unione Sovietica
8-17 settembre 1974 Il presidente della SGI incontra il premier sovietico Aleksey Kosygin e Mikhail Sholokhov, premio Nobel per la letteratura e firma, in quanto fondatore dell’Università Soka, uno scambio accademico tra l’Università Soka e l’Università Statale di Mosca.
22-29 maggio 1975 Incontro con il premier sovietico Aleksey Kosygin, la presidentessa del Comitato Sovietico delle Donne Valentina Tereshkova, la prima donna cosmonauta a volare in una missione spaziale. Ikeda riceve un dottorato onorario dall’Università Statale di Mosca e tiene una lezione dal titolo Una nuova strada verso gli scambi culturali tra oriente e occidente.
9-16 maggio 1981 Incontro con il premier sovietico Nikolai Tikhonov, la presidentessa del Teatro Statale Musicale per Bambini di Mosca Natalia Sats, il rettore dell’Università Statale di Mosca Anatoli Logunov.
24-28 maggio 1987 Incontro con il premier sovietico Nicolai Ryzhkov, la presidentessa del Presidum dell’Unione delle Società Sovietiche per l’Amicizia e le Relazioni Culturali con i Paesi Stranieri Valentina Tereshkova, il rettore dell’Università Statale di Mosca Anatoli Lugunov. Si tiene a Mosca la mostra organizzata dalla SGI Armi nucleari: una minaccia per il mondo.
25-30 luglio 1990 Incontro con il presidente sovietico Mikhail Gorbaciov, Chingiz Aitmatov, scrittore e membro del Consiglio presidenziale, la presidentessa del Teatro Statale Musicale per Bambini di Mosca Natalia Sats; il rettore dell’Università Statale di Mosca Anatoli Logunov.
15-21 maggio 1994 Incontro con il presidente sovietico Mikhail Gorbaciov e il presidente del Club Leonardo Aleksandr Yakovlev, ex consigliere anziano del presidente Gorbaciov. Tiene una lezione all’Università Statale di Mosca dal titolo Il magnifico universo dell’essere umano.
Il presidente Ikeda ha pubblicato dei dialoghi con l’ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov, l’ex rettore dell’Università Statale di Mosca Anatoli Logunov, il rettore dell’Università Statale di Mosca Victor Sadovnichy, lo scrittore Chingiz Aitmatov, e con il presidente dell’Associazione Internazionale del Fondo per l’Infanzia Albert Likhanov. L’Associazione Concertistica Min-On e l’Università Soka hanno promosso vari scambi culturali ed educativi con l’ex Unione Sovietica.