Capita spesso che Daisaku Ikeda all’interno dei suoi scritti citi i grandi della letteratura e della cultura. Andersen e Kierkegaard, entrambi di Copenaghen, sono due rappresentanti della cultura ottocentesca che divenne cassa di risonanza dei sentimenti dell’essere umano
Hans Christian Andersen (1805-1875)
L’autore è universalmente noto per le sue fiabe – le cui fonti sono molteplici: dai racconti per bambini alle tradizioni popolari – fra le quali Il brutto anatroccolo, La principessa sul pisello, La piccola fiammiferaia. Nella stessa epoca in cui i fratelli Grimm componevano la raccolta di fiabe popolari tedesche Andersen scriveva fiabe ascoltate da bambino, ma per lo più frutto della sua fantasia e della sua esperienza. Molti racconti, infatti, originano da episodi di vita vissuta.
Ma Andersen non è solo sinonimo di favole per bambini, è stato anche autore teatrale grazie ai contatti con il Teatro Reale di Danimarca, anche se le sue opere non sempre furono apprezzate nella fase iniziale della sua carriera.
I rapporti di Andersen con figure culturali di spicco dell’epoca, cui spesso Daisaku Ikeda fa riferimento nei suoi scritti, furono stretti: Dumas, padre e figlio, Victor Hugo, Charles Dickens, i fratelli Grimm, il filosofo Søren Kierkegaard, i musicisti Franz Liszt, Felix Mendelssohn-Bartholdy e Robert Schumann. Ikeda ne parla in L’essenza del Buddismo (NR, 410, 6).
Søren Aabye Kierkegaard (1813-1855)
Pensatore, poeta e moralista, una delle personalità più rappresentative che influenzò gran parte della vita spirituale del Nord da Ibsen a Strindberg. Malaticcio, sensibile, crebbe in una famiglia numerosa, i cui fratelli e sorelle morirono precocemente uno dopo l’altro prima che compisse vent’anni, con un padre oppresso da preoccupazioni religiose e perennemente assorto nel sentimento di una propria grave colpa da espiare. Kierkegaard divenne l’interprete dell’inquietudine romantico-cristiana che agitò le coscienze della sua epoca. Non tardò a trovare nelle letture e meditazioni romantiche della sua giovinezza gli stimoli a una reazione contro il hegelismo in cui si era formato. La “verità” che egli cercava, non era la “verità assoluta”, ma la sua personale verità: “l’idea per cui egli potesse vivere e morire”; e quell’idea gli poteva venire solo direttamente dall’esperienza individuale, la quale è la sola “sorgente di verità viva”, perché è la sola “reale concretezza dell’esistenza”.
Daisaku Ikeda ne parla ampiamente nel discorso Un’oasi per la gente (NR, 408, 5).