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Il coraggio dei discepoli - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:20

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Il coraggio dei discepoli

20. Dopo l’esilio a Sado, le persecuzioni si abbatterono su tutti i credenti. Un’opportunità per provare ciò che avevano imparato dal maestro

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20. Dopo l’esilio a Sado, le persecuzioni si abbatterono su tutti i credenti. Un’opportunità per provare ciò che avevano imparato dal maestro

IKEDA: Quest’inverno il Monte Fuji ammantato di neve era veramente spettacolare. Le vedute del suo aspetto maestoso e imponente che si godevano dal Makiguchi Memorial Hall di Hachioji erano assolutamente mozzafiato.

SAITO: Penso che il Monte Fuji simboleggi le virtù che tutti vorremmo possedere. Sono certo che ognuno desidererebbe vivere con dignità, coraggio e fiducia.

IKEDA: È per questo che pratichiamo il Buddismo. Che senso avrebbe una religione se non ci permettesse di vivere così? Lo scopo della religione è elevare le persone e renderle più forti. Possiamo misurare il vero valore di una religione guardando coloro che la praticano. Come afferma il Daishonin: «Niente vale più della prova concreta» (SND, 6, 212). Inoltre è nelle avversità che si vede il vero potere di una religione.

MORINAKA: Di tutti i fatti della vita del Daishonin, furono la persecuzione di Tatsunokuchi (1271) e l’esilio di Sado (1271-1274), prove che minacciarono la sua stessa sopravvivenza, a fornirgli l’occasione per dimostrare appieno la sua suprema nobiltà umana.

SAITO: È proprio vero che “gli ostacoli conducono all’Illuminazione” e le “persecuzioni conducono al raggiungimento della Buddità”. Grazie alla precedente analisi delle quattro grandi persecuzioni che colpirono il Daishonin, abbiamo potuto comprendere meglio il significato profondo di questi principi (vedi MDG, 1, 193-255).

IKEDA: Ora ci concentreremo sul significato che queste persecuzioni ebbero per i discepoli del Daishonin.
La persecuzione di Tatsunokuchi e il successivo esilio a Sado non toccarono soltanto il Daishonin ma anche l’intera comunità dei suoi credenti che divennero bersaglio di un’oppressione generalizzata. Per i discepoli sinceri fu un’opportunità di forgiare la propria fede e stabilire un legame di unicità con il proprio mèntore. L’esilio di Sado fu l’inizio di una nuova fase in cui i discepoli avrebbero dimostrato il loro autentico valore e coraggio. Vorrei analizzare l’esilio di Sado da questo punto di vista.

SAITO: Negli anni le persone hanno discusso l’esilio di Sado da varie angolature ma raramente hanno approfondito il significato che ebbe per lo sviluppo spiritule dei discepoli del Daishonin.

IKEDA: Sopportando con tenacia le avversità che sorsero in seguito all’esilio di Sado, i discepoli costruirono un’autentica relazione di unicità fra maestro e discepolo.
Lo stesso vale per la storia della Soka Gakkai. Quando il suo primo presidente Tsunesaburo Makiguchi, un direttore di scuola elementare, fu oggetto di ripetuti trasferimenti, che equivalevano in realtà a retrocessioni, a causa del suo rifiuto di prostrarsi davanti ai politici che pretendevano di imporre la propria autorità in ambito educativo, Josei Toda, maestro e suo collega, lo seguì e continuò a lavorare al suo fianco. Così il loro legame di maestro e discepolo si rafforzò. E dopo che furono imprigionati durante la Seconda guerra mondiale per essersi opposti ai dettami del regime militarista, Toda, rimasto solo, giurò di continuare il nobile lavoro di Makiguchi.
In seguito, quando gli affari di Toda versavano in cattive acque, anch’io mi dedicai a sostenerlo anima e corpo. Uno dopo l’altro coloro che si erano definiti discepoli abbandonarono la fede e il maestro. Alcuni giunsero a denunciare e diffamare sia Makiguchi che Toda. Coloro che in precedenza andavano dicendo in giro di essere discepoli di Makuguchi o di Toda fecero un improvviso voltafaccia.
Il cuore umano è veramente spaventoso. Le reazioni variano da persona a persona. C’è chi al momento cruciale crolla mentre altri rimangono fedeli alle proprie convinzioni con tenacia e sincerità.
Inoltre, nessun contrasto potrebbe essere più netto di quello fra le azioni meschine e prive di scrupoli dei detentori del potere e la posizione indomita dei grandi maestri di fede. Chi ha un cuore incostante e mutevole vede le cose con occhi distorti e velati dall’illusione. È come chi proclama che un enorme montagna si sta muovendo quando in realtà è solo un illusione prodotta dalla sua confusione mentale.

SAITO: Studiare questi modelli di comportamento in occasione dell’esilio di Sado ci può dare un’opportunità di approfondire la nostra comprensione della natura umana.

MORINAKA: La persecuzione di Tatsunokuchi e l’esilio di Sado furono le maggiori persecuzioni che il Daishonin dovette affrontare nella sua vita. Egli stesso afferma: «Sono già passati più di venti anni da quando cominciai a proclamare le mie dottrine. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno ho subito ripetute persecuzioni. Le persecuzioni minori sono troppo numerose per poterle enumerare, ma le persecuzioni maggiori sono quattro. Fra queste quattro, due volte ho subito persecuzioni da parte del governo. La più recente mi è quasi costata la vita. In più, i miei discepoli, i miei seguaci laici, e persino quelli che hanno soltanto ascoltato i miei insegnamenti sono stati severamente puniti e trattati come se fossero colpevoli di tradimento» (SND, 1, 109-110).
Secondo il Daishonin, delle sue quattro principali persecuzioni, due furono istigate da coloro che governavano il paese[ref]Si riferisce all’esilio di Izu e alla persecuzione di Tatsunokuchi seguita dall’esilio a Sado.[/ref]. In particolare nella quarta, che comprende Tatsunokuchi e Sado, si attentò alla sua stessa vita e anche i suoi discepoli furono duramente colpiti.

SAITO: Scrive che «persino quelli che hanno soltanto ascoltato i miei insegnamenti sono stati severamente puniti», vale a dire che venivano perseguitati anche coloro che avevano un legame remotissimo con lui. Le punizioni andavano dalla confisca delle terre alla rimozione dal servizio al proprio signore, dal disconoscimento alle multe.

IKEDA: Quando dice che venivano «trattati come se fossero colpevoli di tradimento» non sta certo esagerando. Niente è più temibile di una società in cui l’opinione pubblica si allinea con le autorità repressive e le voci degli uomini giusti vengono messe a tacere.
Chi è cresciuto dopo la Seconda guerra mondiale di solito non ne è consapevole, ma questa era anche la situazione nel Giappone del periodo bellico. Sebbene tutti sentissero in cuor loro che c’era qualcosa di profondamente sbagliato, erano stati privati della libertà di affermare la verità e chi osava parlare secondo ragione veniva perseguitato. Le persone che dicevano la verità venivano etichettate come antipatriottiche e a volte incarcerate.
Il potere dell’ideologia può cambiare le persone per il meglio o per il peggio.

SAITO: Nichiren Daishonin espone la ragione fondamentale dell’oscurità del suo tempo con tale acume da divenire il bersaglio di un’enorme repressione.

IKEDA: Avere il coraggio di continuare a dichiarare la verità e a difendere la giustizia è vitale. Che questa voce coraggiosa riesca a cambiare un’epoca dipende dal fatto che sia raccolta da tante altre persone.

MORINAKA: Quando tutta la società è avvolta dall’oscurità fondamentale, le persone illuminate e consapevoli vengono perseguitate. Gli scritti del Daishonin rivelano che i suoi discepoli furono soggetti a una feroce repressione:
«I miei discepoli, i seguaci laici e coloro che mi avevano dimostrato anche il minimo sostegno furono accusati di aver commesso un crimine e io stesso mi trovai in pericolo e rischiai di perdere la vita» (GZ, 1412).
«Anche a Kamakura novecentonovantanove persone su mille abbandonarono la fede» (SND, 5, 22).
«Non sono stato punito soltanto io, ma anche alcune persone a me legate. Sono state condannate dalle autorità, o private delle terre e licenziate dai propri signori, oppure sono state abbandonate dai genitori e dai fratelli» (SND, 9, 75).
«Quando Nichiren è stato esiliato ed era odiato da tutta la nazione giapponese […] Molti miei discepoli ebbero i beni confiscati dal governo, o furono licenziati e scacciati dalle terre dei loro signori» (SND, 4, 165-166).
«Tuo marito ha dato la vita per il Sutra del Loto. Il suo intero sostentamento dipendeva da un piccolo feudo che gli fu confiscato a causa della sua fede» (SND, 4, 209).

SAITO: Quando il Daishonin afferma che l’intera nazione lo odiava era davvero così. E dalla frase «novecentonovantanove persone su mille abbandonarono la fede» apprendiamo che la comunità dei suoi discepoli fu completamente distrutta.
Risulta che il governo avesse compilato una lista di duecentosessanta e più discepoli, quella che attualmente chiameremmo una lista nera[ref]«Gli ufficiali del governo […] fecero una lista di duecentosessanta miei seguaci da espellere da Kamakura» (SND, 4, 51).[/ref]. Quando il potere mostra i denti tende ad attaccare in maniera indiscriminata.

MORINAKA: Mi sono sempre chiesto come un gruppo che aveva subito un colpo così devastante fosse riuscito a ricostituirsi.
Non è esagerato affermare che la comunità dei discepoli del Daishonin era stata distrutta e dunque, ammesso che fosse possibile ricostruirla, sarebbe ipotizzabile che occorresse molto tempo.

IKEDA: Nella religione, i gravi ostacoli possono svolgere la funzione positiva di temprare la fede della gente. Sia nella storia dell’Occidente che dell’Oriente ci sono numerosi esempi di come la repressione in realtà stimoli la crescita dei movimenti religiosi.
Secondo il Daishonin non sono le autorità potenti – che incendiano templi o assassinano monaci e suore – che sono in grado di distruggere il Buddismo, ma i preti malvagi[ref]«Uomini malvagi come il re Mihirakula che bruciò tutti i santuari e monasteri buddisti delle cinque regioni dell’India e massacrò tutti i monaci e le monache dei sedici maggiori Stati, o come l’imperatore cinese Wu-tsung che distrusse più di 4600 fra templi e pagode nelle nove province della Cina e costrinse 260.500 preti e monache a riprendere la vita secolare, non avrebbero potuto distruggere la Legge predicata dal Budda Shakyamuni. Ma i preti, coloro che coprono i propri corpi con le tre tonache, che portano appesa al collo un’unica ciotola per l’elemosina, che conoscono a memoria gli ottantamila insegnamenti e con la bocca recitano le dodici sezioni dei sutra, saranno quelli che distruggeranno la Legge del Budda» (SND, 2, 93).[/ref]. È il clero buddista, cioè proprio le persone che avrebbero il dovere di preservare il corretto insegnamento, che può invece distruggerlo.
La distruzione degli edifici religiosi da parte del potere è una realtà visibile mentre la filosofia errata o gli errori dottrinali del clero malvagio sono invisibili. Ed è questa invisibile distorsione che può distruggere il Buddismo. Essa conduce ad azioni errate e quando col tempo appare chiaro che c’è qualcosa di sbagliato ormai è troppo tardi.
In sintesi è il cuore, lo spirito di chi pratica, che conta di più in ambito religioso. Una persona che perde la vita a causa delle persecuzioni subite per amore della Legge è un vincitore nello spirito. Il cuore è la cosa più importante. Perciò le persecuzioni che mirano a distruggere un determinato gruppo religioso, cercano di distruggere lo spirito e la fede dei suoi membri.
Nel brano citato sopra, il Daishonin porta l’esempio di una repressione religiosa in cui i templi vengono distrutti e monaci e monache vengono messi a morte. Ma i potenti, le cui vite sono dominate dalla natura demoniaca, non si aspettano che queste repressioni siano di per sé sufficienti a ottenere il risultato desiderato e, per distruggere la fede stessa delle persone, ricorrono alla tattica di creare divisioni o spaccature fra di loro. Complottano per recidere i legami che uniscono maestro e discepolo e per distruggere l’armoniosa unità dei credenti.

SAITO: Coloro che sono al potere sanno bene che creare divisioni è un mezzo efficacissimo per gettare i semi del dubbio nel cuore delle persone.
Da ciò si intuiscono le gravi implicazioni di una condanna all’esilio. Si esilia un capo religioso sulla base di false accuse senza dargli alcuna possibilità di provare la propria innocenza. Si fanno circolare false voci e si etichettano i sinceri credenti come criminali. Poi si cerca di minare alla base la fiducia goduta dalla figura religiosa esiliata e di distruggerne l’immagine pubblica. Questi sono gli stratagemmi a cui i leader autoritari, troppo vili per criticare un uomo retto guardandolo in faccia, ricorrono immancabilmente.

MORINAKA: Tutti i tentativi di diffondere false voci per cercare di danneggiare la Soka Gakkai hanno sempre seguito questo schema. Tutti miravano a creare una frattura fra lei, presidente Ikeda, e i membri.
L’operazione C[ref]Un complotto ordito da Nikken e altri per distruggere la Soka Gakkai e costringere i membri ad assoggettarsi ciecamente al clero. “C” deriva dall’inglese “cut” che significa tagliare, recidere.[/ref] di Nikken ne è un esempio lampante. Nel tentativo di distruggere l’unità dei membri e la reputazione della Soka Gakkai nella società, il clero utilizzò i mezzi di comunicazione per diffondere la falsa asserzione che la Soka Gakkai non era un’organizzazione lecita di fedeli di Nichiren Daishonin. Il clero, che non voleva affrontare un dialogo diretto con la Soka Gakkai, mise in atto vigliaccamente una serie di complotti per indebolirci. Non c’è comportamento più spregevole, né peggiore foma di tradimento.

SAITO: Gli intrighi di Ryokan, dei seguaci Nembutsu e di altri, all’epoca del Daishonin seguivano tutti lo stesso modello: cercare di reprimere i discepoli del Daishonin con la calunnia, diffondendo una falsa immagine di loro.

IKEDA: Ho già citato l’episodio in cui Ryokan del tempio Gokuraku-ji, sconfitto nella sfida con il Daishonin per le preghiere per la pioggia nel 1271, cospirò con i preti Nen’a, Doamidabutsu e altri per inoltrare una petizione scritta contro il Daishonin, usando come prestanome un loro subordinato, Gyobin[ref]Nen’a (1199-1287) noto anche come Ryochu. Terzo patriarca della scuola Nembutsu dopo Honen e Bencho. Doamidabutsu: prete Nembutsu dell’epoca del Daishonin. Gyobin: prete Nembutsu dell’epoca del Daishonin che lo sfidò a dibattito nel luglio 1271.[/ref]. La petizione accusava il Daishonin e i suoi discepoli di «gettare nel fuoco o nell’acqua immagini di Amida e Kannon e altri oggetti tradizionalmente considerati degni di rispetto» e di «radunare rivoltosi» (GZ, 181).
Il Daishonin confutò tutte queste imputazioni prive di fondamento. Prima le ritorse contro i suoi accusatori chiedendo che producessero testimonianze credibili. Se tali testimonianze non potevano essere esibite, dichiarò, allora devono essere stati Ryokan e i suoi accoliti a gettare questi oggetti sacri nel fuoco o nell’acqua e a cercare di far ricadere su di lui la colpa di atti che loro stessi avevano commesso[ref]«Se questo è vero, devono produrre un testimone. Se non ci sono prove, non sarà forse che Ryokan che si fa passare da santo e gli altri stanno cercando di attribuire a Nichiren la colpa delle loro stesse azioni di aver gettato oggetti sacri nel fuoco o nell’acqua? Se ci saranno indagini, sicuramente verrano alla luce i particolari. A meno che non siano in grado di fornire prove a sostegno delle loro accuse, questa grave offesa dovrebbe a buon diritto essere attribuita a Ryokan e agli altri» (GZ, 181).[/ref]. In breve avevano inventato una serie di fatti mai esistiti per creare un trambusto generale accusandone pubblicamente il Daishonin e i suoi discepoli. Questo era il piano di Ryokan e di coloro che cospiravano con lui.

MORINAKA: Al tempo stesso, Ryokan cercava di portare dalla sua parte le mogli degli alti funzionari governativi riempiendo loro la testa di calunnie contro il Daishonin. Quando il Daishonin fu arrestato all’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi, Ryokan e gli altri cercarono di dare a intendere che fosse colpevole di tradimento.

SAITO: Ma il tentativo di esecuzione di Tatsunokuchi fallì e il Daishonin fu custodito per qualche tempo nella residenza di Honma Rokuro Saemon[ref]Vassallo di Hojo Nobutoki, governatore di Musashi e di Sado all’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi. Il feudo di Honma si trovava a Echi (parte dell’attuale prefettura di Kanagawa), ma era anche amministratore di Niiho sull’isola di Sado e vice governatore dell’intera isola.[/ref] a Echi. Honma era vice governatore di Sado sotto il potente Hojo Nobutoki[ref](1238-1323) Detentore di importanti cariche nel governo di Kamakura fu governatore di Musashi e Sado all’epoca dell’esilio del Daishonin che perseguitò aspramente emanando anche per tre volte ordini governativi falsi che proibivano a chiunque di offrirgli protezione.[/ref] che oltre a essere governatore della provincia di Musashi era anche governatore di Sado.
Fino a quel punto non era stato deciso niente di definitivo riguardo alla sorte del Daishonin e sembrava perfino possibile che venisse perdonato[ref]Quando il Daishonin giunse a Echi, arrivò da Kamakura una lettera che diceva: «Questa persona non è colpevole. Sarà presto graziata. Se la giustiziate avrete di che pentirvene» (SND, 4, 49). Anche il giorno seguente il prete laico Juro riferì al Daishonin che c’erano esponenti del governo favorevoli alla grazia nei suoi confronti» (vedi SND, 4, 50-51).[/ref].

IKEDA: Pare che molti esponenti del governo avessero raccomandato di usare cautela nel decidere le sorti del Daishonin. Questo spiega l’irregolarità del tentativo di giustiziarlo furtivamente a Tatsunokuchi col favore della notte. Ma coloro che cospiravano contro il Daishonin stavano già progettando le loro prossime mosse.

MORINAKA: Prima misero in atto diversi incendi dolosi e omicidi e poi ne attribuirono la colpa ai seguaci del Daishonin. In conseguenza di ciò, le autorità stilarono una lista di più di duecentosessanta suoi seguaci che dovevano essere banditi da Kamakura[ref]«…a Kamakura scoppiarono sette o otto incendi dolosi e vi fu una lunga serie di delitti. Calunniatori misero in giro la voce che erano stati i miei discepoli ad appiccare il fuoco. Gli ufficiali del governo […] fecero una lista di duecentosessanta miei seguaci da espellere da Kamakura. Si sparse la voce che sarebbero stati tutti esiliati e che quelli che già si trovavano in prigione sarebbero stati decapitati. Comunque, risultò in seguito che gli incendi erano stati provocati da credenti Nembutsu e Ritsu per accusare i miei discepoli» (SND, 4, 51).[/ref]. Gli autori del complotto chiedevano a gran voce che i discepoli del Daishonin fossero puniti con l’esilio in isole lontante e che quelli già in carcere fossero giustiziati.

SAITO: Alla fine il loro piano ebbe successo e le autorità decisero di punire il Daishonin con l’esilio a Sado e di mettere in atto una feroce repressione nei confronti dei suoi discepoli.

IKEDA: Il Daishonin dichiarò esplicitamente che ciò fu causato dagli intrighi dei «credenti Nembutsu e Ritsu» (SND, 4, 51). Forse aveva ricevuto qualche notizia particolare in proposito.
In ogni caso è palese che gli intrighi andarono avanti anche durante i venti giorni circa in cui il Daishonin rimase a Echi dopo il fallimento dell’esecuzione e che in quel periodo la situazione mutò notevolmente.

MORINAKA: Dalla Lettera a cinque persone in prigione, datata 3 ottobre dello stesso anno, apprendiamo che fu a quel punto che venne infine decisa la condanna all’esilio a Sado e ne fu informato il Daishonin (vedi GZ, 1212). Nella Lettera al prete Nichiro in prigione, datata 9 ottobre, il Daishonin riferisce che sarebbe partito per Sado il giorno seguente (vedi SND, 4, 175).

IKEDA: I cospiratori probabilmente esultarono in quel momento vedendo che il loro piano aveva avuto successo. Ma i loro intrighi sotterranei in realtà servirono a dimostrare che il Daishonin era nel vero e nel giusto, mentre le iniquità di Ryokan saranno condannate per sempre nelle pagine della storia.
Naturalmente la verità è sopravvissuta solo perché il Daishonin ritornò vivo da Sado. Se il male avesse prevalso, sarebbero stati i farabutti a scrivere la loro versione della storia, fingendosi modelli di virtù. Perciò è così essenziale che la verità e la giustizia trionfino.

MORINAKA: Per un certo periodo sembrava che gli intrighi di quei preti scellerati avessero successo ma la riuscita era dovuta più che altro a un’abile operazione di manipolazione dell’opinione pubblica. I malvagi sono abilissimi nel manipolare l’opinione pubblica per i propri interessi personali.

IKEDA: Il Daishonin afferma: «Il Demone del sesto cielo[ref]È il re dei demoni che dimora nel sesto cielo, il più alto, del mondo del desiderio. Usa a suo piacimento i frutti degli sforzi altrui. Servito da innumerevoli accoliti, ostacola la pratica buddista e gode nell’indebolire la forza vitale altrui. I dieci eserciti sono le illusioni che affliggono gli esseri umani: 1) desiderio; 2) preoccupazione; 3) bramosia mentale e fisica; 4) amore del piacere; 5) vaghezza mentale e mancanza di comprensione; 6) paura; 7) dubbio o rimpianto; 8) collera; 9) ambizione di ricchezza e fama; 10) arroganza e disprezzo per gli altri.[/ref] spronò i suoi dieci eserciti e, in mezzo al mare della vita e della morte, si batté con il praticante del Sutra del Loto per il possesso di questo mondo impuro» (GZ, 1224).
Attualmente la battaglia per il possesso assume la forma di “guerra dell’informazione”. Se non continuiamo a dichiarare pubblicamente la verità e la giustizia, il Demone del sesto cielo schiererà i suoi dieci eserciti nel tentativo di manipolare il cuore delle persone.

SAITO: Sì, il Demone del sesto cielo, noto anche col nome di Colui che gode a suo piacimento delle illusioni create dagli altri, è indubbiamente un maestro nel manipolare l’informazione.

IKEDA: Le funzioni negative cercano di ingannare e corrompere il cuore e la mente delle persone, seminando incessantemente il caos attraverso dicerie e insinuazioni.

MORINAKA: Durante la Seconda guerra mondiale la propaganda e la manipolazione dell’informazione fu un’arma potente nelle mani dei nazisti. Anche in Giappone, durante il periodo bellico, il Quartier generale imperiale[ref]Composto da ufficiali e sotto il diretto comando dell’imperatore.[/ref], che allora era il supremo consiglio militare del paese, e altre autorità cercarono di manipolare l’opinione pubblica diffondendo notizie e informazioni false.

SAITO: Per combattere simili tattiche dobbiamo intraprendere una “guerra delle parole”. Da ciò si comprende il significato delle nostre pubblicazioni, come il quotidiano Seikyo Shimbun, e l’importanza del dialogo fra la gente.

IKEDA: Tornando alla corruzione del cuore e della mente delle persone, è chiaro che la manipolazione dell’informazione da parte di quei preti privi di scrupoli, all’epoca del Daishonin, indubbiamente trasformò l’opinione pubblica a Kamakura e fece cambiare opinione al governo, portando alla repressione del Daishonin e dei suoi seguaci.
In questa luce la persecuzione maggiore, che comprende la serie di eventi che vanno da Tatsunokuchi all’esilio di Sado, può essere interpretata come una battaglia fra un esercito offensivo e uno controffensivo. L’offensiva era guidata dalle forze demoniache che cercavano di fiaccare lo spirito dei discepoli del Daishonin e l’artefice della controffensiva era il Daishonin stesso che invece cercava di proteggerne la fede e sperava che essi sfruttassero questa persecuzione come un’occasione per costruire una fede uguale alla sua e inseparabile da essa.
Presumibilmente la controffensiva ebbe inizio il 12 settembre, giorno della persecuzione di Tatsunokuchi, quando il Daishonin, mentre veniva condotto al luogo dell’esecuzione, fece chiamare al suo fianco Shijo Kingo, probabilmente per potergli comunicare direttamente lo spirito che lo animava.
Inoltre sia durante il mese circa in cui soggiornò presso la residenza di Honma a Echi, dopo Tatsunokuchi, che per tutto il periodo dell’esilio a Sado, il Daishonin scambiò numerose lettere con i suoi seguaci e ricevette frequenti visite[ref]Mentre era a Echi, il Daishonin ricevette visite da Shijo Kingo e messaggeri dal prete laico Okuratonotsuji Juro, Toki Jonin, Ota Jomyo e altri. Shijo Kingo inviò un messaggero a Sado nel febbraio 1272 e vi si recò nell’aprile dello stesso anno, poi continuò a inviare messaggeri; lo stesso fece Toki Jonin. Anche la credente nota come la Saggia Nichimyo (probabilmente era la madre di Oto Gozen) gli fece visita. La suora laica Myoichi e altri inviarono i loro servi ad assisterlo. A Sado il Daishonin iscrisse numerosi Gohonzon per specifiche persone.[/ref]. Fu una lotta per rafforzare il legame fra maestro e discepolo di fronte alle forze che cercavano di spezzarlo.

MORINAKA: È davvero appropriato definirla “una battaglia per il possesso” (GZ, 1224).

SAITO: Fu mentre era a Sado che il Daishonin si lanciò sul serio in questa controffensiva.

IKEDA: Esatto. Ne La pratica dell’insegnamento del Budda che scrisse a Sado nel 1273, afferma: «Continuo a respingere i loro attacchi e a sconfiggerli, ma ci sono legioni di nemici che si oppongono all’unico re della Legge e a quel piccolo gruppo che lo segue. Così, la battaglia continua ancora oggi» (SND, 4, 11). E in un’altra lettera dello stesso anno: «Io, Nichiren ho guidato il potente esercito [del Budda] per vent’anni. [In tutto quel periodo] mai una volta ho pensato di ritirarmi» (GZ, 1224). Stava affermando di non aver mai cessato la sua controffensiva, che era ancora in corso.

MORINAKA: Il fatto che Ryokan e i suoi accoliti fossero riusciti nelle loro macchinazioni per far esiliare il Daishonin a Sado non significava che il Daishonin fosse sconfitto o disposto ad arrendersi.

IKEDA: Ovviamente, infatti egli parla del suo ritorno trionfante a Kamakura dopo il condono dell’esilio a Sado (vedi SND, 4, 61).

SAITO: Si, giunse nella capitale pieno di fiducia ed energia come se, mentre era a Sado, avesse accuratamente preparato con i suoi discepoli la fase successiva della controffensiva.

IKEDA: Il ritorno del Daishonin a Kamakura fu il punto di partenza del movimento per condurre tutte le persone dell’Ultimo giorno della Legge all’Illuminazione. Fu l’inizio del viaggio della trasmissione del Buddismo verso occidente e di kosen-rufu in tutto il mondo[ref]Il flusso verso occidente della dottrina di Nam-myoho-renge-kyo di Nichiren Daishonin delle Tre grandi leggi segrete, dal Giappone, alla Cina all’India – i paesi che il Buddismo aveva attraversato per giungere in Giappone – e la sua propagazione in tutto il mondo. In Sulla profezia del Budda si legge: «La luna appare a ovest e gradualmente risplende verso est, mentre il sole sorge a est e proietta i suoi raggi verso ovest. Lo stesso è vero per il Buddismo. Nel Primo e nel Medio giorno della Legge si diffuse verso est, ma nell’Ultimo giorno si propagherà da est verso ovest» (SND, 4, 28).[/ref].
Il punto focale fu l’“abbandono del transitorio e la rivelazione del vero” da parte del Daishonin a Tatsunokuchi. Durante l’esilio a Sado egli manifestò, nell’oggetto di culto (Gohonzon), la Legge attraverso la quale tutte le persone dell’Ultimo giorno potevano ottenere l’Illuminazione e ne sviluppò le basi dottrinali. Previde anche la trasmissione del Buddismo verso occidente.
Allo stesso tempo cominciò a insegnare ai suoi discepoli la fede basata sull’unicità di maestro e discepolo, spiegando che ciò significa praticare come il Daishonin stesso, cioè con devozione altruistica nel propagare la Legge senza risparmiare la propria vita.
Possiamo presumere che, nella fase iniziale dell’ampia propagazione del suo insegnamento nell’Ultimo giorno, il Daishonin cercasse di sviluppare nei suoi discepoli la fede necessaria per assumersi la responsabilità di kosen-rufu. Questo fu il primo passo della sua controffensiva.

SAITO: Il Daishonin cercava di aiutare i pochi discepoli rimasti, a stabilire nei loro cuori il suo stesso grande voto e la sua stessa devozione altruistica.

IKEDA: Esatto. È chiaro leggendo la lettera che inviò ai seguaci laici subito dopo la persecuzione di Tatsunokuchi. Ne La persecuzione di Tatsunokuchi, scritta il 21 settembre 1271, afferma che il luogo in cui si incontrano persecuzioni è la terra del Budda (vedi SND, 4, 135). E loda Shijo Kingo che aveva fatto voto di morire al suo fianco a Tatsunokuchi.

MORINAKA: Le sue parole di lode sono le seguenti: «Tu hai accompagnato Nichiren giurando di fare harakiri come devoto del Sutra del Loto. Il tuo gesto è infinitamente più grande di quello di Hung Yen, che si aprì il ventre per inserirvi il fegato del suo defunto signore Yi Kung. Quando raggiungerò il Picco dell’Aquila riferirò per prima cosa in che modo Shijo Kingo, come Nichiren, decise di morire per il Sutra del Loto» (SND, 4, 136).

IKEDA: Il Daishonin loda la fede altruistica di Kingo. Nei suoi scritti principali da Sado in poi, come Lettera da Sado e La pratica dell’insegnamento del Budda il Daishonin sottolinea con forza l’importanza di una fede basata sulla devozione altruistica.
Insegna che poiché niente è più prezioso della vita, dovremmo usare la nostra vita per il Buddismo. Ci esorta a propagare il Buddismo senza risparmiare la nostra vita, spiegando che questo è il sentiero diretto per ottenere la Buddità (vedi SND, 4, 73). Ciò non andrebbe confuso con una “volontà di martirio” o con un atteggiamento di disprezzo e noncuranza nei confronti del valore della vita. Il martirio non ha niente a che vedere con il Buddismo di Nichiren. Al contrario il Daishonin insegna che è fondamenteale vivere fino in fondo con forza e intensità.
Di conseguenza, se lesiniamo la nostra vita, non possiamo vivere bene nel vero senso della parola. Perché è solo quando ricerchiamo fino in fondo il Buddismo e apprezziamo la Legge con devozione altruistica che le nostre vite si fondono veramente con la Legge mistica e possiamo realizzare quel modo di vivere supremo che conduce alla Buddità.
Un leader di kosen-rufu deve essere disposto ad assumere su di sé difficoltà e ostacoli per il bene di tutti. Ma una religione che chiede alle persone di gettar via la propia vita non è un insegnamento per il bene degli esseri umani. Dobbiamo realizzare kosen-rufu senza permettere che vi sia nemmeno una vittima. È questa consapevolezza che fa di una persona un leader di kosen-rufu.

SAITO: Nella Lettera al Prete Nichiro in prigione che il Daishonin inviò a un suo discepolo imprigionato all’epoca della persecuzione di Tsunokuchi, egli esprime parole di lode nei confronti di una fede basata sulla dedizione agli altri: «Gli altri leggono il Sutra del Loto solo con la bocca, leggono solo le parole, ma non leggono con la mente. Anche se lo leggono con la mente, non lo leggono con il corpo. Veramente lodevole è leggerlo sia con il corpo che con la mente» (SND, 7, 175).

MORINAKA: Invece di consolare, come ci si aspetterebbe, coloro che stavano affrontando aspre persecuzioni, il Daishonin li incoraggia su un piano molto più profondo.

IKEDA: Egli rincuora i discepoli che erano perseguitati a causa del Sutra del Loto dicendo loro in pratica di dedicare ancor più sinceramente la propria vita a kosen-rufu. Insegna che, indipendentemente dalle difficoltà piccole o grandi che possiamo incontrare, se continuiamo a seguire la Via suprema potremo trionfare su qualsiasi cosa.
Al tempo stesso egli dimostra un’attenzione scrupolosa al dolore e alle dure prove che venivano inflitte ai suoi discepoli. Scrive: «Mi preoccupo più del dolore nel tuo cuore e di quanto starai soffrendo al freddo stanotte che dei miei [stessi problemi]» (GZ, 1212). E dice anche: «Nel freddo di questa notte ho pensato alla tua condizione e ho avuto pietà di te» (SND, 7, 175).

MORINAKA: Questa è profonda umanità. Per quanto nobile ed elevato possa essere un insegnamento, se trascura le sofferenze reali della gente comune non è che una teoria astratta.

IKEDA: La sofferenza è la sofferenza. Siamo persone comuni e quindi è normale provare dolore. Non occorre fingere di essere diversi da ciò che siamo. Ma non dobbiamo mai permettere che la nostra fede nella Legge mistica e nel raggiungimento della Buddità per noi e per gli altri venga offuscata dal dubbio. Finché manteniamo una fede così solida siamo dei Budda eternamente dotati dei tre corpi[ref]Il Budda che manifesta la condizione vitale di Buddità dotata dei tre corpi: il corpo del Dharma, il corpo di ricompensa e il corpo di manifestazione.[/ref], pur rimanendo persone comuni.
Una volta un giornalista chiese provocatoriamente al presidente Toda: «Così lei pensa di essere un dio?» Ed egli ripose con calma: «No, sono semplicemente un’onesta persona comune». Il suo cuore però era vasto come l’universo. Soleva dire che egli poteva comprendere con la sua vita stessa «l’insegnamento che il Gran Maestro T’ien-t’ai praticò nel proprio cuore»[ref]In questa frase Toda parafrasa le parole che il discepolo di T’ien-t’ai, Chang-an, scrisse nella sua prefazione al Maka Shikan.[/ref] (vedi SND, 1, 215).
Toda descrisse così come si sentiva dopo questo profondo risveglio conseguito in carcere: «È come giacere supini in un grande spazio aperto, con le braccia e le gambe distese, e guardare il cielo sovrastante. Tutto ciò che desideri immediatamente appare. Per quanto tu possa donarne agli altri, non si esaurisce mai. Prova a vedere se riesci a raggiungere questa condizione vitale. Se lo desideri veramente, ti suggerisco di passare un po’ di tempo in prigione, per il bene del Sutra del Loto, per il bene della propagazione del Buddismo di Nichiren Daishonin».

SAITO: Penso che lo spirito di Toda avesse molto in comune con quello dimostrato dal Daishonin che scriveva incessantemente lettere di incoraggiamento ai suoi discepoli anche mentre era egli stesso oggetto di persecuzioni.

MORINAKA: Alcuni dei discepoli del Daishonn furono fisicamente messi in carcere. Ma anche gli altri erano perseguitati dalle vessazioni delle autorità e dal disprezzo dell’opinione pubblica. Così era come se tutti fossero stati imprigionati.

IKEDA: Ovviamente oggi la situazione è diversa. Toda disse: «I tempi sono cambiati, non c’è bisogno di finire in galera per raggiungere l’Illuminazione. Ma devi combattere con ogni oncia della tua forza, affinché il Buddismo di Nichiren Daishonin possa diffondersi».
Ho ribadito già diverse volte in questi dialoghi che coloro che dedicano a propria vita a diffondere il Sutra del Loto (la Legge mistica, Nam-myoho-renge-kyo) – che è il grande desiderio del Budda – acquisiranno in maniera naturale lo stesso stato vitale di quest’ultimo, vale a dire che otterranno la Buddità. Perciò il Daishonin esorta con forza i suoi discepoli a dedicarsi alla realizzazione del grande desiderio di kosen-rufu senza lesinare la propria vita.
Il Daishonin indirizzò la sua prima lettera da Sado a Toki Jonin. In essa afferma: «La vita è limitata e non dobbiamo attaccarci troppo a essa. Ciò a cui dobbiamo aspirare, dopo tutto, è la terra del Budda» (SND, 7, 144). Era il ruggito di un leone, un’esortazione a dare la propria vita per relizzare questa grande e degna aspirazione. Da giovane impressi profondamente questo brano di Gosho nel mio cuore.
Il Daishonin si adoperò a far crescere persone capaci di dedicare la propria vita al grande ideale, allo scopo fondamentale di permettere a tutta l’umanità di ottenere la Buddità e di costruire una terra del Budda, un regno di pace duratura e felicità per tutti. Questo è il modo di vivere in sintonia con lo spirito del Daishonin.
Se il Daishonin insegna ai propri discepoli a non lesinare la propria vita è perché il suo immenso ideale si basa sulla profonda comprensione che tutte le persone posseggono la natura di Budda.

(continua)

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