Esistono trame connettive tra la scienza e la filosofia buddista? William Woollward ne evidenzia alcune piuttosto curiose e stimolanti nel libro “Il buddista riluttante”, di cui riportiamo un breve estratto, che sarà prossimamente pubblicato in lingua italiana da Esperia
È diventato quasi di moda legare insieme i due termini Buddismo e scienza, come se, per certi versi, si riferissero allo stesso ambito, ma, a mio avviso, si tratta di una sovrapposizione del tutto fuorviante. Il Buddismo non pretende di essere nemmeno vagamente scientifico nel suo approccio, e infatti non lo è. Ma, dopotutto, non occorre affatto che lo sia. Il Buddismo non ha bisogno di giustificazioni scientifiche per le sue intuizioni filosofiche sulla natura della vita umana, e la scienza, d’altro canto, non ha gli strumenti adeguati per occuparsi di religione. Gli scienziati, in quanto individui, possono avere un proprio credo religioso, e molti di loro ovviamente lo hanno, ma questo sottolinea soltanto quanto sia potente l’anelito religioso. La scienza in sostanza non si occupa di religione; non ha i mezzi per farlo. Stephen Jay Gould, grande paleontologo e divulgatore scientifico, coniò un acronimo per descrivere questa posizione: NOMA, che significa “not overlapping magisteria” (magisteri non sovrapponibili), un modo elegante per dire che scienza e religione essenzialmente occupano aree della vita differenti.
Credo che questo sia un punto importante, soprattutto perché viviamo in un mondo che appare totalmente dominato dalla scienza e dalla tecnologia, anche se, a voler dire la verità, la scienza rappresenta solo una piccolissima parte, altamente specialistica, del nostro sapere complessivo. La maggior parte delle nostre conoscenze viene dall’esperienza diretta e basta riflettere un istante per rendersi conto che questo è l’unico modo in cui possiamo riuscire a cavarcela nella vita di tutti i giorni. Dalla nostra esperienza personale derivano una serie di assunti su noi stessi, sugli altri e sul mondo intorno a noi, che vengono costantemente aggiornati con l’accumulo di ulteriori esperienze. Si potrebbe dire che impariamo a vivere dalla vita. La verifica sperimentale delle varie teorie o ipotesi scientifiche non è che un’appendice specializzata di questo approccio elementare alla vita. Per le domande più difficili ed enigmatiche, come ad esempio: «Perché siamo qui?», «Qual è lo scopo o il significato della vita?» oppure «Cosa succede dopo la morte?», non ci rivolgiamo più alla scienza, ma a un ambito completamente diverso che abbiamo chiamato religione. […]
Per tornare all’argomento iniziale, ovvero alla relazione tra Buddismo e scienza, ciò che trovo estremamente affascinante è lo straordinario numero di casi in cui le intuizioni buddiste, frutto di molti secoli di meditazioni e riflessioni, sembrano anticipare molte delle conclusioni scientifiche moderne a cui si è giunti dopo duecento anni di rigorose osservazioni e sperimentazioni. Anche il Buddismo, come la scienza, è pieno di sorprese. Entrambi dimostrano quanto possiamo farci fuorviare dal buon senso comune e dalle nostre percezioni quotidiane.
La storia della scienza moderna è costellata di eventi inaspettati. Le cose raramente sono quelle che sembrano, e forse non lo sono mai. Ciò che sperimentiamo con i nostri sensi, la ferrea natura della realtà, così come la conosciamo, spesso si rivela ben diversa. È una cosa difficile da accettare, ma è la verità. Come ha detto il fisico teorico Brian Green in La trama del cosmo: «La lezione più importante emersa dalla ricerca scientifica nell’ultimo secolo è che l’esperienza umana spesso è una guida fuorviante per comprendere la vera essenza della realtà. Subito sotto la superficie del quotidiano, c’è un mondo che facciamo fatica a riconoscere».
Si potrebbe dire che questo divario tra percezione e realtà risalga addirittura a Copernico. Egli faticò non poco a convincere i suoi contemporanei che ciò che credevano di osservare con i loro occhi era semplicemente sbagliato: il sole non girava attorno alla Terra. Al tempo non si riusciva a immaginare, nemmeno nei sogni più folli, uno scenario in cui fosse la Terra a muoversi. Copernico ebbe bisogno di calcoli matematici molto accurati per dimostrare che quello che i suoi antagonisti vedevano, e che vediamo anche noi tutti i giorni, era solo un’illusione. Ovviamente oggi non abbiamo più bisogno di essere persuasi sull’argomento. Ci limitiamo a ignorare quello che ci dicono gli occhi e ci fidiamo di quello che dicono gli scienziati, ma nessuno di noi ha effettivamente visto la Terra girare attorno al Sole.
Da allora si è sempre andati avanti così e, nel corso degli anni, gli scienziati hanno via via smantellato i vari strati dell’ignoranza umana per rivelare sempre di più come realmente funziona il mondo. Gradualmente hanno svelato una realtà che, non solo è leggermente diversa dalla nostra percezione quotidiana, ma procede addirittura in direzione opposta a quello che il senso comune ci suggerirebbe. Per esempio, oggi sappiamo che il nostro udito può percepire solo una piccola frazione dell’intera gamma dei suoni che ci circondano, e lo stesso vale per i nostri occhi che, vedendo solo una piccola parte dell’intero spettro di onde elettromagnetiche, possono cogliere soltanto una frazione di quello che ci sarebbe da vedere intorno a noi. Il mondo degli oggetti, di cui noi stessi facciamo parte e che consideriamo certo e ben definito, si rivela composto principalmente da spazio vuoto e vibrazioni. Se poi ci avventuriamo nel campo delle particelle che formano tutto ciò che esiste, il mondo diventa ancora più strano e instabile. Non c’è nulla di immutabile, nulla rimane identico da un istante a quello successivo. Tutto è in continuo cambiamento, le particelle appaiono e scompaiono apparentemente a caso, a volte ci sono, altre volte no, a volte appaiono sotto forma di particella, altre volte sotto forma di energia. Imprevedibili, perfino irreali.
Einstein una volta disse che tutto questo è assurdo, ma si rivela tuttavia vero. A mio avviso è molto significativo che una delle leggi più importanti per descrivere il mondo su cui si basa la realtà che percepiamo sia stata chiamata dagli scienziati “principio di indeterminazione”, per indicare proprio che il mondo reale sembra cambiare sotto gli occhi degli scienziati, a seconda di come e di quando viene osservato.
Cosa c’entra tutto questo con il Buddismo? Parecchio, dal mio punto di vista. Quando iniziai a conoscere meglio il pensiero buddista, mi sembrò che ci fossero notevoli somiglianze tra le teorie scientifiche sul funzionamento del mondo e molti princìpi buddisti. Anche il Buddismo dice che il cambiamento è il ritmo continuo di tutte le cose sotto il sole, anzi, di tutte le cose “compreso il Sole”. Usa la parola “impermanenza” e parla di separazione, ma anche di non dualità fra mente e corpo, fra essere vivente e ambiente: li chiama, con un’espressione che rimane subito impressa, “due ma non due”. È qualcosa che non possiamo vedere, dobbiamo crederci sulla fiducia. La frase di Brian Greene a proposito della fisica si applica altrettanto bene al pensiero buddista: «L’esperienza è spesso fuorviante rispetto alla vera essenza della realtà».
Perciò la maggior parte degli insegnamenti buddisti ci esorta a riconsiderare alcuni degli assunti quotidiani, apparentemente dettati dal buon senso, che ci portiamo dietro, a togliere loro la patina di familiarità, a rimettere a fuoco le lenti con cui osserviamo il mondo, in modo da riuscire a vederlo con maggior chiarezza. È lo stesso mondo di sempre, ed è solo il modo in cui lo percepiamo che è mutato, ma questo cambiamento influisce profondamente sul modo in cui ci comportiamo, con noi stessi e con gli altri.
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Note sull’autore
William Woollward si è laureato a Oxford. Studioso di scienze sociali, specializzato nella responsabilità sociale delle aziende, ha lavorato con le maggiori organizzazioni internazionali europee e statunitensi. Presentatore e scrittore televisivo, è stato insignito di molti premi per la produzione di documentari realizzati per i principali network mondiali.
Nutre un grande interesse per la religione comparata. È membro della SGI-UK da molti anni. Egli stesso afferma: «Sono arrivato al Buddismo molto scettico riguardo alla sua possibile integrazione e rilevanza in un contesto occidentale moderno. Adesso sono convintissimo del grande valore che riveste nella vita di chiunque, in qualsiasi parte del mondo. Considero quell’iniziale scetticismo come il mio miglior requisito per la stesura di questo libro».