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I tre moschettieri - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:29

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I tre moschettieri

Walter Brollo, Pordenone

Volevo concentrarmi esclusivamente sulle strategie processuali, oppure aprire il più possibile il mio cuore e fare sgorgare dalla mia vita pensieri, parole e azioni importanti per kosen-rufu?

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Volevo concentrarmi esclusivamente sulle strategie processuali, oppure aprire il più possibile il mio cuore e fare sgorgare dalla mia vita pensieri, parole e azioni importanti per kosen-rufu?

Abito a Pordenone, nel nordico Friuli-Venezia Giulia, e ho conosciuto Nam-myoho-renge-kyo nel 2010. In quell’anno, mentre ero alla ricerca di “qualcosa” che potesse dare una scossa alla mia vita, un’amica, Margherita, mi raccontò di essere buddista e m’invitò a una riunione di discussione. Seguii il suo consiglio; a maggio dell’anno successivo divenni membro e a ottobre mi venne affidata la corresponsabilità di gruppo. Nell’estate 2012 partecipai a un corso regionale tenutosi a Lignano durante il quale, riuniti in piccoli gruppi, parlammo di quanto spesso la relazione tra figli e genitori non sia sempre così facile e bella. Raccontai di come, grazie alla pratica, ero riuscito a spegnere quasi del tutto quell’atteggiamento di rancore e sofferenza che provavo nel relazionarmi con mia madre e mio padre, tuttavia mi fecero riflettere sul fatto che così non era sufficiente: per la mia vita sarebbe stato fondamentale giungere a una profonda gratitudine nei loro confronti.
Un anno dopo mi venne recapitata una missiva in busta verde, quella degli atti giudiziari, con la quale venivo informato che, dopo cinque anni di separazione, la mia ex moglie aveva chiesto il divorzio. Tutto sommato, pensai, era arrivato il momento di concludere un percorso importante della nostra vita. In realtà stavo palesando una grande superficialità: non stavo valutando attentamente il significato di quella busta e davo per scontata l’attuale serenità dei miei due figli. Ricco della mia immotivata sicurezza, il giorno dell’udienza e in quelli successivi capii che, in realtà, mi stavo giocando il mio futuro e quello dei miei figli. Stavo rischiando di vedere molto più raramente Andrea e Serena, di diventare una figura marginale nelle decisioni prese per il loro avvenire e di dover sopportare obblighi economici che non ero in grado di sostenere. Infatti il giudice, ascoltati i nostri avvocati, lette le memorie depositate e trovandosi di fronte a due versioni fortemente incompatibili della medesima storia, stabilì di far intervenire i servizi sociali per capire cosa era meglio per i due minori. In quel momento percepii la gravità di quanto stava accadendo: un giudice, una psicologa e un’assistente sociale persone totalmente estranee alla nostra vita avrebbero deciso inderogabilmente sul futuro dei miei figli. La devastazione interiore che comportava una situazione di questo genere era insostenibile. È stato in questo frangente che ho capito le parole di Ikeda, quando dice che «l’essenza sta nel vincere o perdere» (NR, 450, 3). Io non volevo assolutamente perdere la possibilità di stare con i miei figli e, pertanto, dovevo vincere. E dovevo farlo velocemente.
Leggere e approfondire gli scritti dei miei maestri Nichiren, Toda e Ikeda mi ha sempre aiutato nel valutare attentamente la reale natura degli accadimenti. Uno dei personaggi a cui sono diretti gli scritti del Daishonin è Shijo Kingo, un samurai dal carattere impetuoso e con una forte fede. Egli si trovò a dover affrontare una complessa vicenda d’ingiustizia promossa dal suo signore, Ema. Nel Gosho La difficoltà di mantenere la fede Nichiren scrive: «Molti vengono a conoscenza di questo sutra e lo accettano ma, quando sorgono grandi ostacoli, proprio come gli era stato annunciato che sarebbe accaduto, pochi lo ricordano e lo tengono bene in mente. Accettare è facile, continuare è difficile. Ma la Buddità si trova nel mantenere la fede. Colui che abbraccia questo sutra dovrebbe essere pronto a incontrare difficoltà» (RSND, 1, 417). Mi sembrava che queste parole fossero riferite a me, che le grosse difficoltà che stavo incontrando confermassero la mia forte fede, che la vera sfida non era in tribunale, ma stava nel mantenere la fede. Dovevo trovare il modo migliore per esprimere questa mia forte determinazione ripartendo da me. Come volevo vivere il periodo durante il quale sarebbe durata la causa giudiziaria? Volevo concentrarmi esclusivamente sulle strategie processuali, oppure aprire il più possibile il mio cuore e fare sgorgare dalla mia vita pensieri, parole e azioni importanti per kosen-rufu? Cosa volevo fare con i miei figli, soprattutto con Andrea che si apprestava a sostenere gli esami di terza media e iniziare le scuole superiori? Cosa volevo fare al lavoro, dove mi venivano proposte sfide interessanti che esigevano solidità e concentrazione? Cosa dovevo fare con le persone che mi capitava di incontrare le quali, raccontandomi la loro storia e le loro preoccupazioni, era come se mi invitassero a parlare loro di Buddismo? Da questa nuvola di pensieri iniziai a delineare alcuni punti fermi. Il primo fu quello di non adottare azioni o strategie che potessero mettere in difficoltà la mia ex moglie. È la madre dei miei figli e se proteggo lei proteggo anche loro, pensai. Il secondo fu quello di non caricare Andrea e Serena dello stress derivante dalla situazione, almeno di provarci, e trascorrere una felice estate assieme, spensierata, fatta di abbracci e ascolto: “Tutti per uno, uno per tutti”, proprio come i tre moschettieri. Il terzo fu quello di sfidarmi ancora di più come responsabile di gruppo con la mia corresponsabile Raffaella, riuscendo a raggiungere l’obiettivo di due nuovi membri nel gruppo entro la fine dell’anno. Il quarto, impegnarmi al massimo nel parlare agli altri di Buddismo. Il quinto: essere felice. Quei dodici mesi sono effettivamente trascorsi così. Non sono mancati i momenti difficili, però gli sbandamenti sono stati sempre circoscritti grazie anche al sostegno, a volte silenzioso e dietro le quinte, di tanti compagni di fede che qui voglio ringraziare. Sono riuscito a parlare con il mio gruppo del difficile momento che stavo attraversando, senza nascondere nulla, perché desideravo trasmettere loro la mia determinazione e utilizzare ogni oncia di veleno per creare valore e mostrare, con la mia vita, in cosa consiste il legame tra maestro e discepolo.
Ho reso partecipe di tutto anche i miei genitori, informandoli sempre di ogni sviluppo. Ho chiesto a mia madre e a mio padre di non fare assolutamente nulla perché il loro aiuto più grande sarebbe stato quello di rimanere sereni e di dedicarsi ai nipoti. Ho detto anche loro di non preoccuparsi se magari davo l’impressione di essere poco concentrato su quanto stava accadendo: in realtà mi stavo impegnando con tutte le mie forze ed ero determinato a far sì che questa vicenda giudiziaria non incidesse sulla qualità della nostra vita. Stavo trasformando il grigio inverno in una formidabile primavera e iniziavo a provare sinceramente gratitudine verso i miei genitori. Anche loro, in questo anno, mi hanno sostenuto moltissimo pur non facendomi grossi discorsi: il loro atteggiamento nei miei confronti è decisamente migliorato.
E poi, com’è andata a finire? Il consultorio familiare, dopo più di venti ore di incontri, si è espresso favorevolmente in merito alla situazione genitoriale. Con l’assistente sociale è nato un legame epistolare via email che sta continuando tuttora. Il Tribunale di Pordenone ha accolto la tesi e i suggerimenti avanzati dalla psicologa e dall’assistente sociale, stabilendo una “sostanziale e perfetta ripartizione dei tempi di permanenza dei minori presso ciascun genitore”. È sparito il termine “genitore prevalente” e ora io e la mia ex moglie siamo diventati parimenti “gli obbligati”, che devono provvedere di comune accordo alle scelte, all’accudimento e al benessere dei nostri figli. Economicamente il tribunale ha deciso di intervenire a mio favore, pur non avendo io avanzato alcuna richiesta in questo senso.
Nella Mappa della felicità alla data del 2 dicembre il presidente Ikeda scrive: «Non sarà “Un giorno, forse”. Adesso è il momento. Soltanto vivendo fino in fondo in ogni istante, senza risparmiarci, potremo realizzare una vita autentica».

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«Non permettere mai che le avversità della vita ti preoccupino, nemmeno i santi o i saggi possono evitarle. […] Quando c’è da soffrire, soffri; quando c’è da gioire, gioisci. Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo. Come potrebbe non essere questa la gioia senza limiti della Legge? Rafforza il potere della tua fede più che mai» (RSND, 1, 585)

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