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I semi della speranza - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 17:35

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    I semi della speranza

    Da sempre il presidente Ikeda ci incoraggia a vedere nei giovani ciò in cui loro stessi stentano ancora a credere: un’immensa potenzialità. Credere sinceramente in questa potenzialità significa di fatto aiutarla a emergere e implica da parte degli adulti delle azioni precise. Credere nella capacità dei giovani di aprire strade nuove, diverse e anche migliori di quelle già battute. Questi sono i semi che possiamo piantare oggi. Semi che diventeranno la foresta del futuro

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    Da sempre il presidente Ikeda ci incoraggia a vedere nei giovani ciò in cui loro stessi stentano ancora a credere: un’immensa potenzialità. Credere sinceramente in questa potenzialità significa di fatto aiutarla a emergere e implica da parte degli adulti delle azioni precise. Credere nella capacità dei giovani di aprire strade nuove, diverse e anche migliori di quelle già battute. Questi sono i semi che possiamo piantare oggi. Semi che diventeranno la foresta del futuro

    Il passato

    «Normalmente occorrono vent’anni perché una persona diventi un individuo eccellente che ha raggiunto il massimo sviluppo come membro della società. La stessa cosa si applica alla trasformazione di un alberello in un albero gigante. Il Buddismo è ragione. Perciò desidero che miriate prima di tutto a raggiungere la pietra miliare dei vent’anni di pratica mantenendo una fede costante. Vedo che i membri anziani più degni di rispetto sono coloro che hanno continuato a praticare per venti e più anni. I benefici del Buddismo nell’Ultimo giorno della Legge sono spesso intangibili. I giovani non devono cercare soltanto i benefici visibili. Se permettete ai fenomeni momentanei di sviarvi, alla fine perderete di vista la vostra integrità. Per favore siate sempre coscienti che la fede è qualcosa che dovete mantenere con costanza, senza interruzioni» (Ai miei cari amici italiani, 2003, Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, pag. 15). Daisaku Ikeda rivolse questo discorso pieno di aspettative e di consigli preziosi il 4 giugno 1981 a una platea dove l’età media non superava i venticinque anni. Probabilmente non fu così facile per i responsabili della Soka Gakkai giapponese di allora accettare che le redini del movimento di kosen-rufu in Italia fossero in mano a un gruppo di giovani dal passato per lo più irrequieto. È vero che erano già presenti nel nostro paese anche i futuri direttori Kaneda, Nakajima e Kanzaki, affiancati dalla saggia quanto ironica Dadina, ma anche la media delle loro età non oltrepassava i quarant’anni circa. A quel tempo il vero “anziano” era il dottor Yamazaki, che viveva a Parigi e che periodicamente scendeva in Italia per lasciare dietro di sé, al suo rientro, una scia di Daimoku e di incoraggiamenti. Eppure il presidente Ikeda, mentre guardava negli occhi quei giovani italiani, quel pomeriggio del 4 giugno 1981, rivolgeva loro parole di grande rispetto e attesa; sensei vedeva in loro quello che forse loro stessi per primi ancora stentavano a credere: un’immensa potenzialità.
    Per lo più sognatori che si erano intestarditi di diffondere nella società ventate di speranza e di assunzione di responsabilità, agli occhi di un attento osservatore esterno quei giovani verosimilmente non costituivano sempre un modello di attendibilità, ma questo non ha impedito alla filosofia del Daishonin di diffondersi nel nostro paese. Chissà, per esempio, quanti fra quei giovani avrebbero scommesso che trent’anni dopo l’associazione che li riuniva si sarebbe chiamata Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai e che avrebbe avuto numerose sedi in tutta Italia? Che ogni due mesi si sarebbero riuniti i rappresentanti di tutte le regioni italiane per costituire un collegamento fra gli organi direttivi e i membri? E, men che meno, avrebbero immaginato che Milano sarebbe stata la sede per un incontro di cinquemila giovani buddisti giunti da tutta Europa. Eppure questa è la realtà dei giorni nostri.

    Il presente

    «Tutti abbiamo opportunità, in famiglia e nel nostro ambiente, di interagire con i giovani. Spero che gli adulti impieghino tempo e impegno nell’ascoltare attentamente la voce dei giovani. Questi piccoli atti di attenzione possono colmare e ravvivare un giovane cuore. Ciascuno di noi dovrebbe sforzarsi di essere una costante fonte di calore e di nutrimento spirituale. Anche se possono sembrare laboriosi e impegnativi, sono convinto che da tali sforzi – che fanno sorgere risonanza e fiducia tra una vita e l’altra – possano emergere persone in grado di sentire la sofferenza degli altri, capaci di azioni empatiche verso gli altri. Questo è il primo passo verso la costruzione dei valori capaci di sostenere una società veramente sana. Questi sono i semi della speranza futura che possiamo piantare oggi» (D. Ikeda, BS, 118, 31).
    Poi è venuto il momento del cambiamento, perché una volta che questi giovani sono cresciuti e altri non avevano preso il loro posto, ci si è accorti che, anche se c’erano, i protagonisti non erano più i giovani. I luoghi delle decisioni erano altrove, e i più giovani potevano al massimo contribuire alla buona riuscita degli eventi. L’esigenza di restituire voce ai giovani ha focalizzato l’attenzione sui germogli di oggi, partendo proprio dai figli dei primi praticanti. Questa volta è stata un’azione voluta, uno “sforzo laborioso e impegnativo” come lo definisce Ikeda, affinché le tante parole spese sul credere nei giovani non rimanessero parole vuote, ma acquisissero la forza della sostanza. E così è stato. Sembrava che non aspettassero altro. In poco tempo il gruppo dei giovani si è sviluppato e ogni mese si ha notizia di nuovi gruppi di giovanissimi che si sono dati appuntamento: dai bambini (di anni differenti con le esigenze tipiche di ogni fascia di età), agli adolescenti, agli studenti universitari, e a tutti gli altri che continuano a far parte della Divisione giovani fino alla soglia dei trentacinque anni.

    Il futuro

    «Un appezzamento di terreno, se viene seminato, alla fine si può trasformare in una lussureggiante foresta verde. I giovani che lavorano insieme sono come una roccaforte che protegge il futuro della pace. Questo è il motivo per cui è fondamentale sostenere con tutto il cuore i giovani. Incoraggiare i giovani significa incoraggiare la pace» (D. Ikeda, NR, 446, 18).
    Credere in questa frase implica delle azioni precise. Credere nell’assoluta attitudine dei giovani di trovare strade nuove e differenti da quelle conosciute e che queste possano essere migliori di quelle conosciute e percorse finora richiede, per esempio, un’effettiva capacità di credere in quello che ancora non si vede. Che non è poi così diverso dall’imparare a credere nell’innata possibilità di essere Budda, tassello fondamentale del percorso formativo della rivoluzione umana.
    Il disegno che Cecco Mariniello preparò per il numero 13 di DuemilaUno (l’antesignano di Buddismo e società), che pubblichiamo in questa stessa pagina, illustra perfettamente quale può essere il ruolo degli adulti. I bambini, i giovani, gli esseri umani in genere, sono “perfettamente dotati”; a volte è solo difficile riconoscere quelle minuscole ali che spuntano sulle loro spalle. E ancor di più, può essere difficile spingerli con ferma delicatezza fin sull’orlo dello strapiombo, quello che toglie il fiato, un secondo prima che stendano le ali e spicchino il volo. È qui che si riconosce chi crede davvero nella capacità dei giovani: non ha paura che possano cadere e farsi male perché sa che questo è l’unico modo per crescere e svilupparsi.
    In un’intervista rilasciata a Buddismo e Società, qualche anno fa una sedicenne diceva: «A parte sensei, che ci incoraggia sempre, trovo che nella nostra organizzazione sia gli adulti che i giovani più grandi di noi ci trascurano un po’. Noi siamo il futuro, ce lo dite sempre, però come facciamo a crescere da soli?». Crediamoci di più tutti, ma soprattutto ricordiamoci che “incoraggiare i giovani significa incoraggiare la pace”.

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