Paolo, Donatella, Andreana, Francesca, Nanda, Rosalba, Monica, Stefania e Sara sono i protagonisti di una storia dai molteplici volti e un unico grande scopo
Un uomo e otto donne che lavorano, con differenti mansioni, nella medesima struttura ospedaliera nella città di Cagliari. Esperienze di vita diverse ma con un proposito comune: vivere l’insegnamento buddista per accrescere se stessi, sia nella professione, sia come esseri umani, contribuendo, attraverso la cura dei legami, al miglioramento di un intero ambiente sanitario.
Paolo, dal 2004 sei addetto alla gestione e distribuzione della biancheria dell’intero ospedale. In che modo sei riuscito a creare valore in un contesto che a volte è duro, faticoso e monotono?
Oggi posso dire di sì. Quando ho iniziato a lavorare per la lavanderia, la situazione non era rosea: avevo un rapporto pessimo con il mio datore di lavoro e con i colleghi. Ho iniziato a praticare proprio per andarmene, ma più facevo Daimoku e attività per gli altri, più sembrava impossibile liberarmi di quel posto! Ora mi rendo conto che la mia fortuna è stata proprio di avere lottato molto per poter apprezzare la mia vita per quella che era. Il beneficio più evidente è stato vivere quel luogo non più come condanna o prigione, ma come palestra per migliorarmi come essere umano. Ho utilizzato ogni cosa che facevo come se stessi recitando Nam-myoho-renge-kyo, convinto che quell’azione fatta in quel modo avrebbe prodotto un miglioramento anche nel lavoro.
Così il mio pensiero è cambiato, perché se pensi che quell’azione produrrà qualcosa di positivo nella tua vita, anche il lavoro più faticoso risulta più sopportabile. Si crea nel tuo cuore una prospettiva diversa, si sviluppa la speranza. In modo “naturale” i rapporti con i colleghi sono cambiati. Molti di loro si avvicinavano a me attirati dal mio comportamento che, pur in un ambiente così ostile, era gioioso, dandomi anche la possibilità di parlare di questo Buddismo e offrire loro uno strumento per cambiare. Anche il mio capo ha iniziato a stimarmi e a darmi maggiori responsabilità. Ho iniziato a fare quello che desideravo, ovvero lavorare nella fase di spedizione, non più come operaio in una catena di montaggio, ma come addetto allo smistamento della biancheria in uscita: non ero più solo braccia, ma anche una testa alla quale dare incarichi diversi.
Poco dopo sono stato trasferito nel posto attuale, dove le condizioni sono molto più leggere e dove ho stretto legami ancora più profondi con le persone intorno a me. La cosa più importante che ho imparato dalla mia esperienza è che il nostro comportamento da essere umano fa la differenza; le persone ci danno fiducia perché sentono che siamo affidabili e coerenti, non perché ricopriamo una mansione di “potere” o “prestigio”. Allo stesso tempo, come è successo a me, anche l’ambiente ha manifestato la propria potenzialità, rivelando la presenza di tanti praticanti che con impegno e umanità contribuiscono a renderlo ogni giorno migliore.
Donatella e Andreana, siete ostetriche e vi occupate di prevenzione. Come affrontate questo aspetto così importante per la cura delle patologie tumorali femminili?
Donatella: Grazie all’esperienza vissuta come ostetrica in ambito oncologico, dove mi rapportavo con pazienti in uno stato di malattia avanzato, ho potuto sviluppare una serie di qualità umane che mi stanno consentendo di trasmettere in maniera incisiva l’importanza della prevenzione. Per poter parlare sempre cuore a cuore mi preparo con il Daimoku, pregando a volte nell’intervallo tra una visita e l’altra per recuperare le energie e avere uno stato vitale alto per comunicare al meglio con la paziente che visiterò.
Andreana: Anche io provengo da una significativa esperienza nello stesso ambito, che mi ha insegnato quanto sia fondamentale educare le persone alla prevenzione. Sin dall’inizio della professione desideravo inserirmi in un contesto del genere seguendo diversi corsi di formazione, ma solo dopo dieci anni dall’ultimo corso ho potuto lavorare in questo centro. Grazie alla pratica buddista, iniziata nel 1989, ho compreso che tutti questi anni vissuti nel reparto di oncologia sono serviti innanzitutto per costruire quella speranza, che per prima non avevo, ma che ora so trasmettere alle donne parlando di prevenzione.
Nel rapporto con i pazienti è importante sviluppare grandi doti umane e instaurare un rapporto di fiducia. Francesca e Nanda, quale è la vostra esperienza?
Francesca: Lavoro al registro dei donatori di midollo dal 1997 e pratico dal 1992. È un lavoro che ho desiderato tanto perché oltre a racchiudere una mansione prettamente amministrativa che mi piace, mi coinvolge anche nel contatto con il paziente. Il rapporto con il donatore lo vivo con serenità e mi dà la dimensione di quanto sono cambiata nel mio lavoro dal punto di vista umano: prima ero un orso, non sopportavo neppure rispondere al telefono. Ora invece una telefonata è un’occasione per sfidarmi, per sviluppare ulteriormente la mia umanità nell’accompagnare il donatore nella lunga procedura della donazione.
Nanda: Sono infermiera professionale al centro di prevenzione tumori dal 2009 e ho iniziato a praticare nel 1992. Il percorso fatto con la pratica buddista mi ha consentito di sviluppare molte qualità come ad esempio l’accoglienza dell’altro e di mettere a frutto tutte le competenze acquisite in ambito professionale. Ho potuto constatare che le mie conoscenze come ostetrica, seppure non abbia mai rivestito questo ruolo, si sono rivelate una preziosa risorsa nel rapporto con le donne che si rivolgono a questo centro. Ho anche imparato ad avere cura del paziente informandolo correttamente sui suoi diritti nell’ambito di una struttura pubblica ospedaliera.
In questo lavoro, avere una condizione vitale alta è fondamentale perché ci consente di attingere alle nostre risorse più nascoste e a volte bisogna sapere impiegare anche una buona dose di creatività per interagire con l’altro. Rosalba, ti è mai capitato?
Dal 2000 sono assistente sanitaria, ovvero mi occupo di eseguire controlli sul personale in merito ai rischi lavorativi. Il mio ruolo mi pone a stretto contatto con il personale ospedaliero e, dovendo interfacciarmi con molteplici personalità nel trattare dati sensibili, ho dovuto migliorarmi dal punto di vista umano sviluppando anche creatività. Il mio sforzo è quello di trovare un canale di comunicazione in base alla persona che ho davanti; a volte è stato importante ricorrere all’ironia per far abbassare le difese e avviare un dialogo. Per questo affronto sempre la mia giornata lavorativa con un bel po’ di Daimoku mattutino.
Stefania e Monica, a voi invece chiediamo quanto è importante agire su se stessi per migliorare il rapporto con i colleghi e l’ambiente lavorativo?
Stefania: Per me è fondamentale. Sono medico radiologo al centro di prevenzione dal 2010 e pratico il Buddismo dal 2003. La pratica mi aiuta moltissimo a gestire e risolvere i conflitti con i colleghi e il personale dell’ospedale. Per un periodo ho lavorato con un tecnico di laboratorio che trattava male le pazienti, scatenandomi molta rabbia. Con il Daimoku ho capito che dovevo prima di tutto agire su di me per cambiare la situazione. Così facendo ho constatato che quel suo atteggiamento era lo stesso che riservavo a me stessa: nel momento in cui ho realizzato questa corrispondenza la rabbia è svanita e il comportamento di questa persona non ha più influito sul mio stato vitale. Recito unicamente per trasformare io per prima per poter stare bene in ogni situazione.
Monica: Posso dire altrettanto anche riguardo la mia esperienza. Presso il centro trapianti mi occupo della sterilizzazione delle camere sterili e grazie al Buddismo, che pratico dal gennaio 2013, ho sperimentato un nuovo atteggiamento anche in ambito lavorativo. Con la recitazione del Daimoku ho preso consapevolezza di un aspetto del mio carattere, ovvero la tendenza a sfogare la mia rabbia nei confronti degli altri, causa di diversi conflitti con alcuni colleghi. La pratica e lo studio mi hanno aiutata a capire che la rabbia e l’impulsività erano dettate dal fatto che mi tenevo tutto dentro, così ho iniziato a sviluppare maggiore riflessione e fiducia per affrontare la mia emotività. Questa maggiore chiarezza interiore ha prodotto un riscontro all’esterno ritrovando un ambiente lavorativo più sereno.
Praticare il Buddismo e partecipare alle attività della nostra organizzazione ci offrono la possibilità di sfidarci. Sara, quanto ha influito l’attività svolta nella Soka Gakkai nel tuo lavoro?
Nei momenti di difficoltà sfrutto sempre lo spirito che ho costruito attraverso l’attività nell’organizzazione, grazie alla quale ho maturato senso critico e trasformato la mia tendenza a essere accondiscendente. Il mio lavoro – sono biologa specializzata in genetica medica e mi occupo di immunogenetica – si svolge all’interno di un laboratorio il cui buon funzionamento richiede anche capacità organizzative e di coordinamento che ho saputo impiegare proprio perché a suo tempo sviluppate con l’attività. Anche nel rapporto con i colleghi ho realizzato una bella trasformazione. All’inizio mi rapportavo con loro in maniera molto distaccata senza relazionarmi da un punto di vista umano. Poi grazie al Daimoku e allo spirito di accogliere l’altro, coltivato con l’attività byakuren, ho iniziato ad aprirmi e a considerarli prima di tutto come persone alle quali potevo offrire qualcosa. In questo modo ho percepito sempre più il loro valore e ho potuto instaurare un legame forte basato sul sostegno reciproco.