«Arrivò il giorno in cui decisi che Jonathan diventasse discepolo di sensei. Capii che, io per prima, dovevo vedere la sua Buddità»
La mia esperienza di shakubuku ai giovani è strettamente legata a quella personale. La mia infanzia è stata infelice, non ho conosciuto mio padre e vedevo mia mamma una volta l’anno. Vivevo da mia nonna. L’adolescenza è stata burrascosa, mi sentivo sempre fuori posto. Il percorso scolastico è stato più che difficile, ero dislessica e i professori mi consideravano intelligente ma con la testa tra le nuvole, una ribelle.
A diciotto anni sono scappata da casa, a venticinque ero in Sardegna, sposata e con un figlio di nove mesi, Jonathan. Poco dopo mi parlarono del Buddismo, e finalmente la mia vita iniziò a cambiare.
Nel 1988 sono riuscita a trasformare il dolore di non avere un padre, incontrando il cuore di sensei e riconoscendolo come il mio maestro. Ero decisa a seguirlo portando avanti la mia rivoluzione umana. Poco dopo ho cominciato a fare teatro e a insegnare nei licei come lettrice di francese.
Utilizzai la mia esperienza teatrale per animare i laboratori con i miei studenti e partecipare con loro a festival di teatro europei e mondiali. Erano come me da giovane, disorientati, arrabbiati e con grossi problemi in famiglia.
I miei colleghi provarono a scoraggiarmi dicendo che erano ragazzi inaffidabili, superficiali. Ma questa era la mia sfida e pregavo per vedere in loro il potenziale che al momento era invisibile, per essere quel faro di coraggio e speranza che avrei voluto avere io quando ero ragazza. Ovunque andassimo vincevamo il primo premio, anche in Canada, dove siamo stati i primi studenti italiani a livello mondiale. Ciò che più contava per me era che stavano superando i loro limiti credendo sempre di più in se stessi e negli altri.
Abbiamo messo in scena uno spettacolo sui diritti umani in quattro lingue, citando la frase di sensei: «La rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione e condurrà infine a un cambiamento nel destino di tutta l’umanità» (RU, prefazione).
Ogni volta che entro in classe penso che vado a incontrare dei Budda e desidero con tutto il cuore che diventino persone che faranno la differenza nel loro ambiente.
Nonostante il tasso altissimo di dispersione scolastica, hanno tutti continuato a frequentare la scuola e si sono diplomati. Oggi sono quasi tutti laureati. Non ho mai fatto shakubuku con le parole, ma con il comportamento. Finite le superiori, molti di loro venivano a casa mia e insegnavo loro Gongyo e Daimoku. Come disse una ragazza: «Avevo due possibilità quel giorno, buttarmi dal bastione o andare da Pascale!».
In tutti questi anni non c’è stato un 16 marzo in cui non abbia portato almeno due giovani alla riunione, e credo di aver parlato di Buddismo ad almeno cento giovani.
Molti di loro oggi sono membri e responsabili della Soka Gakkai. Ma nonostante queste esperienze con i giovani, avevo grandi difficoltà con Jonathan, mio figlio, loro coetaneo. Era tormentato, alla ricerca di se stesso e sfogava su di me la rabbia di non essere sostenuto dal padre, che non vedeva quasi mai.
C’erano tante liti e incomprensioni tra noi. Si era iscritto all’università, ma passava le notti a giocare a poker. Io passavo gran parte della notte a recitare Daimoku e così arrivò il giorno in cui decisi che Jonathan diventasse discepolo di sensei. Capii che, io per prima, dovevo vedere la sua Buddità!
Sei anni fa l’ho incoraggiato a partire per la Francia alla ricerca di un lavoro. Ha così cominciato a praticare in modo sempre più costante. Da lavapiatti è diventato chef a Parigi. Ogni anno determinavo che ricevesse il Gohonzon e il 17 dicembre scorso sono stata a Parigi alla consegna del suo Gohonzon!
Due settimane dopo, suo nonno paterno si è ammalato gravemente. Il padre di Jonathan non aveva mai dato segni di vita né al figlio né alla sua famiglia. Facendo Daimoku Jonathan ha sentito che il nonno non poteva morire perché stava aspettando di rivedere suo figlio, e in quel momento ha deciso di cambiare il karma familiare. Mi ha detto: «Questo è l’Anno di brillanti realizzazioni, non c’è tempo da perdere».
Con grande coraggio ha chiamato il padre, che è andato a trovare suo padre! Poche ore dopo aver rivisto il figlio, il nonno è morto.
Jonathan era felice che suo padre avesse trovato il coraggio di andare dal nonno, gli ha detto che gli vuole bene e che ha ricevuto il Gohonzon. «Sono fiero di te!», gli ha risposto il padre. Jonathan mi ha detto di aver provato una grande compassione e di aver sentito il cuore del maestro. Che gioia! Ma come si può non fare shakubuku ai giovani?
Per questo voglio creare una forte unità nel mio capitolo per contribuire alla realizzazione di 20.000 membri giovani in Italia!
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Riunioni del gruppo donne
Dopo la bella esperienza fatta negli ultimi tre anni con La saggezza del Sutra del Loto, iniziamo ad aprile con il Gosho e La nuova rivoluzione umana, volume 30, dove il presidente Ikeda racconta la sua attività a partire dal 1979, dopo le dimissioni da presidente della Soka Gakkai.
Perciò, a partire da questo numero, iniziamo a pubblicare, nello spazio per l’attività donne, una puntata de La nuova rivoluzione umana, a partire dal primo capitolo “La grande montagna” (vedi pag. 28). L’intento è quello di prendere spunto dal tema contenuto in una puntata de La nuova rivoluzione umana e dal brano di Gosho in essa contenuta, per condividere le nostre esperienze e incoraggiarci l’un l’altra.
(Ricordiamo che le puntate de La nuova rivoluzione umana si possono leggere on line accedendo al sito de Il Nuovo Rinascimento: www.sgi-italia.org/riviste/nr/)
Corso nazionale donne