Josei Toda spesso diceva:
«Il Gohonzon rappresenta la più potente concentrazione della forza vitale universale. Quando nella vita stabiliamo una relazione con il Gohonzon, anche la nostra forza vitale avrà quella stessa potenza». Quando ci impegniamo per kosen-rufu e per la felicità degli altri, ci pervade una grande forza vitale (NRU, 25, pag 113)
Era il marzo del 1977, quando Shin’ichi Yamamoto (pseudonimo di Daisaku Ikeda nel romanzo) si reca in visita nella prefettura di Yamaguchi e porta avanti attività mirate agli incontri personali e all’inaugurazione di nuovi centri culturali. Nonostante gli impegni che aveva nei pochi giorni di visita a disposizione, ogni momento si rivela una splendida occasione per incontrare vecchi e nuovi amici. Nell’incontrare una signora che si stava avvicinando alla pratica le dice:
«La cosa più importante da fare per superare la malattia è recitare daimoku davanti al Gohonzon e accrescere la propria forza vitale. Perché non prova a praticare questo Buddismo?» Toshiko guardò Shin’ichi e, in tono sarcastico, gli rivolse questa domanda: «Mi scusi se mi permetto, ma mi sembra che il Gohonzon sia solo un pezzo di carta. Come possono avere un tale potere dei semplici segni disegnati su carta?»Shin’ichi rispose con sincerità: «La carta può avere un grande potere, non crede? Butterebbe via un assegno da cinquantamila o centomila yen solo perché è un “pezzo di carta”? Se ricevesse un telegramma in cui c’è scritto “Tua madre è in gravi condizioni”, non si dispiacerebbe, nonostante si tratti di semplici parole su carta? «Anche una mappa è un banale pezzo di carta. Ma senza di essa non arriveremmo a destinazione. Il Gohonzon è l’oggetto di devozione che serve a far emergere un supremo stato vitale, che ci permette di raggiungere la felicità autentica» (Ibidem, pag 161)
Shin’ichi poi saluta calorosamente tutti i compagni di fede che vent’anni prima avevano portato avanti con lui la prima campagna di shakubuku della regione: grazie a quegli sforzi condivisi avevano stretto un legame potentissimo, uniti dal medesimo obiettivo di realizzare kosen-rufu basandosi sull’autentico legame di maestro e discepolo.
Incontrando persone di diverse età, Shin’ichi affronta spesso il tema del ricambio generazionale, del passaggio di testimone, la fiducia verso i giovani, ma soprattutto l’importanza di identificare in maniera appropriata le modalità con cui portare avanti le attività, rispecchiando e rispettando adeguatamente i tempi in cui viviamo.
La grande filosofia di vita buddista e lo spirito Soka non cambieranno mai. I tempi, invece, cambiano radicalmente e rendono necessario un costante rinnovamento delle modalità in cui gestire incontri, sessioni di formazione e tutte le attività da svolgere, per poter impiegare metodi efficaci e proficui che siano al passo con i tempi. Le generazioni a venire hanno la missione di assumersi questa responsabilità con saggezza, apportando tutte le modifiche necessarie per fare sì che i corretti insegnamenti buddisti fioriscano eternamente (Ibidem, pag 93)
Come spiega Shin’ichi, la chiave vincente di tutto questo risiede nella lotta assidua dei giovani per diventare persone capaci, in grado di crescere successori, di coltivare spirito di gratitudine e di rinnovare sempre la propria fede. Inoltre, incitandoli a pregare sinceramente per la realizzazione di kosen-rufu, Shin’ichi incoraggia i membri di Yamaguchi a vincere nella loro vita e a creare un’organizzazione forte e incentrata sull’unità di itai doshin, a partire dai più giovani fino ad arrivare ai membri anziani o pionieri, affinché tutti possano sostenersi a vicenda nel rinnovare sempre il proprio voto di Bodhisattva.
I giovani devono lottare assiduamente e diventare persone capaci. La negatività costituisce il più acerrimo dei nemici. Essi non dovrebbero mai abbattersi, neanche per il fatto di essere poveri o per non avere potuto frequentare le scuole migliori. I giovani Soka, che dedicano la loro vita a kosen-rufu, il più nobile degli ideali, dovrebbero essere sempre positivi e disposti ad assumersi una sfida dopo l’altra (Ibidem, pag 169)