33. La comparsa di veri discepoli decisi a diffondere la Legge mistica era l’obiettivo del Daishonin che egli continuò a perseguire anche dopo il ritiro sul monte Minobu
SAITO: Presidente Ikeda, in una nuova serie di saggi, I miei indimenticabili compagni, lei scrive di Hiroshi Noma (ex vicepresidente della Soka Gakkai e responsabile generale del Chugoku), morto nel 2001. Mi hanno colpito le parole del secondo presidente della Soka Gakkai, Josei Toda, che lei cita alla fine: «La massima felicità per un maestro è avere un onorevole discepolo».
IKEDA: Per un maestro che dedica tutto se stesso alla realizzazione di kosen-rufu non c’è gioia più grande della comparsa di sinceri discepoli capaci di portare avanti quella nobile impresa. Questo era il sentimento che esprimeva il presidente Toda. Essere un «onorevole discepolo» non ha niente a che fare con l’esteriorità. Significa avere lo stesso spirito del maestro in termini di fede e di impegno e perseverare nella sua stessa pratica altruista. Allo stesso modo, attendo l’apparizione di un flusso interminabile di onorevoli discepoli. Questa è la mia gioia più grande.
SAITO: Vorrei tornare su un argomento che abbiamo già affrontato in questi dialoghi: dopo la persecuzione di Tatsunokuchi e il successivo esilio a Sado, Nichiren Daishonin spostò il fulcro della sua attività verso la ricostruzione della comunità dei credenti facendo crescere discepoli sinceri che, come lui, fossero in grado di fronteggiare grandi persecuzioni. Questa sua opera ebbe inizio a Sado e s’intensificò dopo il trasferimento sul monte Minobu.
IKEDA: Il Daishonin attendeva l’apparizione di veri discepoli. In un certo senso il suo aver abbandonato il transitorio e rivelato il vero all’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi portò alla stessa trasformazione nella comunità dei credenti.
Naturalmente c’erano già alcuni discepoli che s’impegnavano diligentemente a diffondere la Legge mistica. Ma l’apparizione di un numero sempre crescente di seguaci disposti ad alzarsi con lo stesso spirito del Daishonin era qualcosa di nuovo. Ciò significava che l’intera comunità dei credenti aveva abbandonato il transitorio e rivelato il vero.
MORINAKA: Qual era la differenza?
IKEDA: Essenzialmente era la fioritura della condizione vitale di Bodhisattva della Terra[ref]Bodhisattva della Terra: bodhisattva che sono stati discepoli del Budda sin dal remoto passato. Nel quindicesimo capitolo del Sutra del Loto, Emergere dalla terra, Shakyamuni li chiama e affida loro la propagazione della Legge mistica dopo la sua morte. Il loro leader è il bodhisattva Pratiche Superiori.[/ref]. Quando le persone comprendono di avere la missione, come Bodhisattva della Terra, di propagare la Legge mistica nella malvagia epoca dell’Ultimo giorno della Legge, la loro forza cresce senza limiti. Possono svolgere l’opera del Budda come suoi inviati. Quando una simile consapevolezza si diffonde fra i discepoli è il segno che la comunità dei credenti di Nichiren ha abbandonato il transitorio e rivelato il vero. A quel tempo tuttavia è probabile che quasi nessuno dei singoli discepoli del Daishonin fosse conscio di essere un Bodhisattva della Terra.
MORINAKA: Sembra estremamente improbabile che persino i cinque preti anziani[ref]Cinque preti anziani: cinque dei sei preti anziani, designati da Nichiren Daishonin come suoi principali discepoli.[/ref] ne fossero consapevoli e lo insegnassero ai fedeli.
IKEDA: Quello che possiamo affermare con certezza è che i veri discepoli del Daishonin giunsero a comprendere che occorreva sforzarsi nella fede con lo stesso spirito del maestro. Nel suo comportamento esteriore il Daishonin agiva come il bodhisattva Pratiche Superiori. Perciò coloro che si sforzavano nella propagazione con la stessa dedizione agli altri e lo stesso impegno senza riserve, anche se non erano consapevoli di essere Bodhisattva della Terra, di fatto nel profondo di se stessi avevano deciso di svolgere questa nobile missione.
Dall’esilio di Sado in poi, il Daishonin continuò a spronare i discepoli a seguire il suo esempio e queste esortazioni avranno di certo risvegliato in loro un vivo senso di missione e di responsabilità. Diceva loro ripetutamente: «praticare come me» (SND, 5, 62) e «devi denunciare, come faccio io, le offese alla Legge» (SND, 9, 160) e «pratica l’insegnamento corretto come faccio io» (GZ, 1367). Il punto fondamentale è «praticare come il Budda insegna» (SDL, 18, 327 – vedi anche SDL, 21, 365-6).
SAITO: Nella Pratica dell’insegnamento del Budda, composto a Sado, il Daishonin scrive: «Inoltre, una volta diventati seguaci del vero devoto del Sutra del Loto, la cui pratica si accorda con gli insegnamenti del Budda, si è destinati ad affrontare i tre potenti nemici» (SND, 4, 9). E sempre nello stesso scritto continua: «Comprendi allora che il devoto che pratica il Sutra del Loto esattamente come il Budda insegna sarà sicuramente attaccato dai tre potenti nemici. «Shakyamuni stesso, T’ien-t’ai e Dengyo sono state le uniche tre persone che realizzarono perfettamente gli insegnamenti del Budda in più di duemila anni dopo la morte di Shakyamuni. Adesso, nell’Ultimo giorno della Legge, tali devoti sono soltanto Nichiren e i suoi discepoli» (SND, 4, 16).
IKEDA: Il Daishonin non identifica con questi devoti solo se stesso, ma anche tutti i suoi discepoli. È un immenso onore. Secondo Nichiren tutti i credenti che lottano come lui sono devoti del Sutra del Loto che praticano in perfetto accordo con l’insegnamento del Budda. Queste parole devono aver ispirato i discepoli più consapevoli a rinnovare la propria determinazione a propagare il Sutra del Loto con lo stesso spirito del Daishonin.
SAITO: Nella Vera entità della vita, anch’esso scritto a Sado, egli dichiara esplicitamente che coloro che propagano la Legge con la stessa mente di Nichiren sono Bodhisattva della Terra: «Qualunque cosa accada, mantieni sempre la tua fede come devoto del Sutra del Loto e come discepolo di Nichiren. Se hai la stessa mente di Nichiren, devi essere un Bodhisattva della Terra, e se sei un Bodhisattva della Terra, senza dubbio sei stato un discepolo del Budda dal più remoto passato. Il capitolo Yujutsu afferma: “Io li ho istruiti sin dal più remoto passato”» (SND, 4, 233).
IKEDA: In Su Jambudvipa (GZ, 1589-90) il Daishonin si appella ai discepoli affinché seguano il suo esempio e «non risparmino mai la loro vita».
MORINAKA: Il brano recita: «Prego che i miei seguaci siano come i cuccioli del re leone e non si facciano mai schernire dai branchi di volpi. Lottate per smascherare i torti di potenti avversari, non risparmiate mai la vostra vita, proprio come ha fatto Nichiren dall’infinito passato sino a oggi. È veramente raro incontrare un simile re leone» (GZ, 1589).
SAITO: Questi appelli ai discepoli da parte del Daishonin sono frequenti. Ne I quattro Bodhisattva nell’oggetto di culto per esempio dice: «Coloro che si definiscono miei discepoli e praticano il Sutra del Loto devono tutti praticare come me» (SND, 5, 62). In Lettera a Jakunichi-bo scrive: «Pertanto, coloro che diventano discepoli e seguaci di Nichiren devono rendersi conto della profonda relazione karmica che condividono con lui e propagare il Sutra del Loto con lo stesso spirito. Essere un devoto del Sutra del Loto è un amaro ma inevitabile destino» (SND, 4, 36-7). Entrambi questi scritti furono composti nel 1279 a Minobu. Anche in quel periodo il Daishonin incoraggiava i discepoli a emulare il suo spirito e il suo modo di praticare.
IKEDA: In Lettera a Jakunichi-bo, appena prima della frase che lei ha citato, il Daishonin allude al suo ruolo del bodhisattva Pratiche Superiori.
SAITO: «Nichiren, come inviato di tale bodhisattva, ha esortato il popolo del Giappone ad abbracciare e sostenere il Sutra del Loto» (SND, 4, 36 – vedi anche WND, 993). Sebbene il Daishonin affermi di essere l’inviato del bodhisattva Pratiche Superiori, penso che usi quest’espressione consapevole di essere in realtà l’incarnazione di questo bodhisattva. Possiamo dedurlo da affermazioni quali: «L’aver dato a me stesso il nome di Nichiren (Sole-loto) deriva dalla mia stessa Illuminazione al veicolo del Budda»[ref]Il brano prosegue così: «Ciò può sembrare vanagloria, ma ci sono precise ragioni per quello che dico. Il sutra afferma: “Come la luce del sole e della luna può fugare oscurità e tenebre, così questa persona, mentre passa nel mondo, può liberare gli esseri viventi dall’oscurità”. Considera esattamente ciò che questo brano rivela. “Questa persona, mentre passa nel mondo” significa che i primi cinquecento anni dell’Ultimo giorno della Legge saranno testimoni dell’avvento del Bodhisattva Jogyo, che illuminerà l’oscurità dell’ignoranza umana e dei desideri terreni con la torcia dei cinque caratteri di Nam-myoho-renge-kyo» (SND, 4, 36).[/ref] (WND, 993).
IKEDA: Da quanto abbiamo affermato finora, emerge che «avere la stessa mente di Nichiren» significa mantenere la fede, decisi a denunciare le falsità di potenti avversari e a combattere i tre potenti nemici come fece Nichiren, in parole povere, perseverare nella pratica del devoto del Sutra del Loto. Il Budda cerca discepoli autentici, che non si limitino a pregare passivamente per la sua compassionevole protezione come se fosse una sorta di essere trascendente. Il Budda vuole discepoli che si battano insieme a lui e chi non si aspetta altro che protezione da parte del maestro ha ancora molta strada da fare prima di potersi chiamare un vero discepolo. È sforzandoci come il maestro per proteggere i nostri simili che meritiamo di esser chiamati veri discepoli, veri leoni.
Il Sutra del Loto stesso si potrebbe definire un «appello del maestro» nel quale il Budda esprime le sue speranze e le sue aspettative riguardo all’apparizione di veri discepoli. Perché senza di loro, come afferma il Sutra, non sarà possibile condurre le persone dell’Ultimo giorno all’Illuminazione.
SAITO: Ciò evidenzia quanto sia difficile cercare di condurre l’umanità verso l’Illuminazione in quest’epoca avvolta nelle tenebre dell’ignoranza e dell’illusione fondamentale.
IKEDA: Poiché propagare l’insegnamento corretto nell’Ultimo giorno è troppo difficile anche per i grandi bodhisattva dell’insegnamento teorico, nel Sutra del Loto Shakyamuni convoca i Bodhisattva della Terra dell’insegnamento essenziale.
MORINAKA: I bodhisattva dell’insegnamento teorico del Sutra del Loto sono i discepoli che sono stati istruiti dal Budda dell’insegnamento teorico (Budda provvisorio). I Bodhisattva della Terra dell’insegnamento essenziale del Sutra del Loto sono gli innumerevoli discepoli istruiti e preparati accuratamente dal Budda dell’insegnamento essenziale (il vero Budda), che emergono dalla terra quando questa si spalanca nel quindicesimo capitolo, Emergere dalla Terra.
IKEDA: Nel Sutra del Loto i discepoli dell’insegnamento essenziale (veri discepoli), cioè i Bodhisattva della Terra che si faranno carico della propagazione nell’Ultimo giorno, appaiono al cospetto del Budda dell’insegnamento essenziale (vero Budda) che ha abbandonato il transitorio e rivelato il vero. Solo quando maestro e discepolo sono uniti e intraprendono una sincera battaglia – la battaglia dell’insegnamento essenziale – è possibile trasformare la società nell’epoca malvagia dell’Ultimo giorno.
Considerazioni analoghe si possono formulare per le attività di Nichiren Daishonin volte a convertire e istruire le altre persone. Dal giorno in cui dichiarò la fondazione della sua dottrina (il 28 aprile 1253) e iniziò a propagare la Legge mistica, il Daishonin combatté da solo una battaglia dopo l’altra contro grandi persecuzioni che culminarono in quella di Tatsunokuchi, seguita dall’esilio di Sado. Facendo emergere nella sua vita lo stato di Buddità il Daishonin attivò le funzioni protettrici dell’universo e istituì il mezzo col quale le persone potevano attuare una profonda trasformazione interiore nella loro vita.
La vita di Nichiren Daishonin, che abbandonò il transitorio per rivelare il vero all’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi, è tutt’uno con la Legge fondamentale dell’universo e nelle sue azioni risuona il mondo di Buddità che esiste nel cosmo. Il Daishonin iscrisse la sua condizione interiore di Buddità in forma di mandala lasciandolo come uno specchio limpido attraverso il quale tutte le persone potessero manifestare la propria Buddità.
SAITO: Il Daishonin, il maestro, iscrisse nel Gohonzon la condizione vitale di Buddità che aveva raggiunto grazie alla sua battaglia basata sui principi di «non risparmiare la propria vita» e «dedicarsi altruisticamente alla propagazione della Legge». Quando i discepoli recitano Daimoku con la stessa fede senza riserve e si dedicano con altruismo a diffondere la Legge si dimostrano degni del Gohonzon.
IKEDA: Esatto, le successive attività del Daishonin si concentrarono sul far crescere questi discepoli autentici e, una volta apparsi, istituì il Gohonzon per l’Illuminazione di tutta l’umanità.
Preoccupato per la felicità e il benessere delle persone del suo tempo egli rimostrò presso i governanti del paese e cercò di riformare la società giapponese, in cui si offendeva ampiamente la Legge, trasformandola in una società basata sui principi del Sutra del Loto. Allo stesso tempo la sua vera intenzione era liberare l’intera epoca dell’Ultimo giorno della Legge dalla sofferenza e istituire la grande Legge per l’Illuminazione di tutte le persone fino all’infinito futuro. Questo è «kosen-rufu dell’entità della Legge[ref]«Kosen-rufu dell’entità della Legge» è l’iscrizione del Gohonzon da parte del Daishonin per il bene di tutta l’umanità.[/ref]».
Esaminati alla luce di «kosen-rufu dell’entità della Legge», gli sforzi del Daishonin per insegnare e convertire gli altri si possono dividere in due fasi: il periodo fino all’iscrizione del Gohonzon in cui ingaggiò una battaglia solitaria per la Legge e il periodo che va fino all’iscrizione del Dai Gohonzon per tutta l’umanità, nel quale attese la comparsa di persone comuni disposte a battersi con il suo stesso spirito.
SAITO: La comparsa di veri discepoli decisi a diffondere la Legge mistica era indispensabile per fondare il Buddismo delle Tre grandi Leggi segrete di Nichiren Daishonin.
IKEDA: Il «grande fiume» di «kosen-rufu della concretizzazione[ref]«Kosen-rufu della concretizzazione» significa la conversione su vasta scala alla fede nel Gohonzon. Si chiama anche «realizzazione concreta di kosen-rufu».[/ref]», la realizzazione concreta di kosen-rufu nell’eterno futuro dell’Ultimo giorno, esiste grazie alla «sorgente» di «kosen-rufu dell’entità della Legge» del Daishonin. Entrambe queste fasi di kosen-rufu richiedono una lotta basata sull’inseparabilità di maestro e discepolo.
MORINAKA: Il cuore di questa inseparabilità è lo spirito di «non risparmiare la propria vita» e di «dedicarsi con altruismo alla propagazione della Legge».
IKEDA: Esatto. Dopo il ritorno del Daishonin a Kamakura da Sado e la sua successiva terza rimostranza alle autorità, in occasione dell’incontro con Hei no Saemon, uno dei più influenti esponenti del governo, e con altri alti funzionari, egli lasciò la città per stabilirsi sul monte Minobu. Ma partire non significava ritirarsi, anzi, era l’inizio vero e proprio della sua lotta per crescere veri discepoli e realizzare «kosen-rufu dell’entità della Legge».
MORINAKA: Abbiamo già parlato della terza rimostranza ai governanti dell’8 aprile 1274. Circa un mese dopo, il 12 maggio, il Daishonin lasciò Kamakura e il 17 arrivò sul monte Minobu. Quale pensa che fosse il suo stato d’animo in quel momento?
IKEDA: In Risposta a Takahashi Nyudo egli descrive ciò che aveva provato prima e dopo la terza rimostranza.
MORINAKA: Scrive: «Poiché sono odiato così ferocemente unicamente perché cerco di dare consigli al fine di salvare gli altri, una volta graziato dall’esilio, avrei dovuto lasciare Sado e nascondermi tra le montagne o su qualche remota costiera. Invece mi recai a Kamakura perché speravo di spiegare un’ultima volta la situazione a Hei no Saemon e salvare quelli che fossero riusciti a sopravvivere all’invasione del Giappone.
«Dopo aver pronunciato il mio ammonimento sapevo che non avrei dovuto trattenermi oltre a Kamakura e così partii, lasciando che i piedi mi portassero dove desideravano. E, dato che eravate sulla mia strada, pensai a quanto mi sarebbe piaciuto vedervi ancora una volta, anche se poteva essere inopportuno. Ma, sebbene questo pensiero mi sia tornato alla mente migliaia di volte, avevo il cuore lacerato da considerazioni contrastanti e alla fine ho tirato diritto» (SND, 8, 185).
IKEDA: In queste parole si avverte l’anelito del Daishonin ad alleviare in qualche modo il dolore del popolo di tutto il paese, coerentemente con il voto che aveva formulato quando fondò la sua dottrina, quello di «essere il pilastro del Giappone» (SND, 1, 195).
Ma le autorità governative, profondamente avvelenate dall’offesa alla Legge, non compresero la vera intenzione che soggiaceva ai suoi ammonimenti. Uno dei punti fondamentali della rimostranza finale del Daishonin era che le preghiere dei preti Shingon avrebbero condotto alla rovina del paese. Eppure, solo due giorni dopo, il 10 aprile, il governo ordinò a Hoin, uno dei principali esponenti della scuola Shingon, di pregare per la pioggia.
MORINAKA: Sembra che in quel periodo ci fosse siccità e, il giorno successivo alle preghiere di Hoin nel tempio Amida di Kamakura, la pioggia cadde per un giorno e una notte. Il reggente Hojo Tokimune ne fu entusiasta e gli offrì vari doni per ricompensarlo (vedi SND, 4, 63).
Ma, anche se era piovuto, il giorno dopo si scatenò una forte tempesta di vento che causò enormi danni. In un diario dell’epoca compare la seguente nota: «12 aprile, forti venti che hanno fatto seccare alberi e piante»[ref]Kanto Hyojoshu Den (Cronache del consiglio di stato di Kanto).[/ref]. Per aver causato un fenomeno di questa portata non si trattava certo di venti comuni.
SAITO: Il Daishonin descrive così i fatti: «Case di ogni dimensione, templi e santuari, vecchi alberi ed edifici governativi, furono tutti sollevati in aria e poi schiantati al suolo. Un enorme oggetto luminoso attraversò il cielo e la terra fu ricoperta di travi e tronchi. Uomini e donne rimasero uccisi e morirono anche molti buoi e cavalli» (SND, 4, 65).
IKEDA: Visto che i suoi insegnamenti non erano stati ascoltati, sembra che il Daishonin avesse deciso a quel punto di rinunciare a persuadere il regime di Kamakura; un mese dopo lasciò la città.
MORINAKA: In uno scritto attribuito a quel periodo afferma: «Ho fatto tre tentativi e adesso è doveroso che cessi le mie rimostranze. Non abbiate alcun rimpianto [riguardo al vostro comportamento]»[ref]Mikyo Tencho Gosho in Showa Teihon Nichiren Shonin Ibun, Rissho University Institute of Nichiren Buddhist Studies, Tokyo, 1988, pag. 808.[/ref].
IKEDA: Il rischio dell’invasione mongola era imminente. Eppure anche in quella circostanza i governanti, nella loro arroganza, non dimostrarono alcuna intenzione di ascoltare le rimostranze che il Daishonin aveva espresso rischiando la vita. Così egli lasciò Kamakura seguendo un codice di comportamento tramandato in classici cinesi come il Galateo o le Cronache dello Storico in cui si afferma che se dopo tre ammonimenti non si viene ascoltati bisogna prendere congedo. La sua partenza significava che non avrebbe più protestato con il governo, ma non certo che fosse mutata la sua ferma decisione di liberare le persone dalla sofferenza.
Dopo l’esilio a Sado, il Daishonin spiegò il principio di «emergere dalla terra» cioè che i bodhisattva sarebbero apparsi l’uno dopo l’altro e che quello sarebbe stato il modo in cui si sarebbe sviluppata la propagazione per condurre le persone all’Illuminazione. In altri termini il Daishonin dapprima prese posizione da solo e poi procedette a risvegliare una persona dopo l’altra alla propria missione di Bodhisattva della Terra. Nella Vera entità della vita scrive: «Dapprima solo Nichiren recitò Nam-myoho-renge-kyo, ma poi due, tre, cento lo seguirono, recitando e insegnando agli altri. Questo accadrà anche nel futuro»[ref]Letteralmente: «La propagazione si svilupperà in questo modo anche nel futuro» (WND, 385).[/ref] (SND, 4, 233). Nella Scelta del tempo, scritto a Minobu, esprime lo stesso concetto[ref]«I ruscelli si riuniscono per formare il grande oceano e i granelli di polvere si accumulano per formare il Monte Sumeru. Quando all’inizio io, Nichiren, presi fede nel Sutra del Loto, ero come un’unica goccia d’acqua o un singolo granello di polvere in tutto il Giappone. Ma poi, quando due, tre, dieci e alla fine diecimila miliardi di persone reciteranno il Sutra del Loto e lo insegneranno ad altri, formeranno un monte Sumeru di meravigliosa Illuminazione, un grande oceano di nirvana! Non cercare nessun’altra via per ottenere la Buddità!» (SND, 2, 98).[/ref].
Il Daishonin si ritirò a Minobu per dedicarsi a formare autentici discepoli e costruire un solido flusso di kosen-rufu in grado di durare per i diecimila anni e più dell’Ultimo giorno della Legge.
MORINAKA: Il suo trasferimento a Minobu dunque era tutt’altro che un «pensionamento»!
IKEDA: È chiaro che il Daishonin agì così perché aveva obiettivi precisi, uno dei quali era consolidare la propria dottrina per propagare ampiamente la Legge nell’eterno futuro dell’Ultimo giorno. Un altro era far crescere discepoli ben preparati per kosen-rufu, in grado di portare avanti il suo voto con la stessa dedizione.
Prima dell’esilio a Sado, il Daishonin si era battuto da solo, mettendo in gioco letteralmente la sua vita per aprire il cammino a kosen-rufu. Adesso che era intento a gettare le basi di kosen-rufu per tutto l’Ultimo giorno, cercava di incoraggiare i discepoli a lottare come lui in modo da poter ampliare e rafforzare il flusso di kosen-rufu. Tutto dipende dagli sforzi dei discepoli. Per quanto il fondatore di una scuola possa essere ammirevole, se i discepoli non ne ereditano gli ideali e non si sforzano di realizzarli concretamente è come se quegli ideali fossero morti. Dobbiamo sempre tenere a mente che sono i discepoli a determinare il vero valore del maestro.
Sebbene il Daishonin si fosse isolato in una foresta di montagna ponendo una certa distanza fra sé e le autorità secolari, la sua voglia di battersi per kosen-rufu non era affatto diminuita, anzi ardeva sempre di più. Penso che trasferendosi a Minobu il Daishonin volesse insegnare ai discepoli che adesso toccava a loro diventare i protagonisti di kosen-rufu.
SAITO: Molti discepoli, specialmente di fronte alle azioni coraggiose del Daishonin, devono aver provato incertezza ed esitazione riguardo alle proprie capacità di diventare protagonisti di kosen-rufu. Di conseguenza immagino che gli chiedessero consigli e istruzioni su varie questioni. Le molte lettere che il Daishonin scrisse da Minobu ci fanno capire che i discepoli avevano preso varie iniziative per kosen-rufu sotto la sua guida.
IKEDA: Il Daishonin non aveva deciso sin dall’inizio di andare a Minobu. Disse di aver lasciato Kamakura «lasciando che i piedi mi portassero dove desideravano» (SND, 8, 185). Probabilmente si diresse a Minobu dietro pressioni di Nikko Shonin che aveva convertito Hakiri Sanenaga, il signore della zona. Alla fine però Minobu si rivelò il posto ideale dal punto di vista geografico.
MORINAKA: Il Daishonin afferma che, pur non avendo intenzione di rimanere a lungo a Minobu, il posto per il momento era adatto ai suoi scopi[ref]«Pur non avendo ancora deciso [quale sarà la mia destinazione finale] dato che trovo le montagne di Minobu abbastanza accoglienti, probabilmente mi tratterrò qui per qualche tempo» (GZ, 964).[/ref].
IKEDA: Penso che fosse il posto ideale perché non era troppo lontano da Kamakura, sede del governo, e principale base per le attività di propagazione dei suoi discepoli. Era anche abbastanza vicino alle zone in cui agivano i suoi discepoli più stretti. Allo stesso tempo era perfettamente adeguato alle sue intenzioni di «ritirarsi nelle foreste di montagna» (GZ, 358), lontano dal centro del governo.
Le altre zone possibili in cui il Daishonin sarebbe potuto andare non presentavano gli stessi vantaggi. Nella zona di Awa, in cui era nato, non aveva alcun sostenitore laico importante e quindi se vi si fosse recato avrebbe incontrato difficoltà a spostarsi rapidamente in caso di emergenza. D’altra parte, sebbene nella zona di Shimosa avesse diversi importanti sostenitori laici come Toki Jonin, era troppo lontana per i suoi scopi. Anche nell’area di Suruga non aveva un sufficiente numero di credenti laici.
In confronto a queste località il villaggio di Hakiri aveva molti vantaggi. Anzitutto era nella regione montuosa di Minobu e abitarvi dava l’impressione di essere isolato dal mondo. Inoltre, pur essendo sulle montagne, era a un solo giorno di cavallo da Kamakura e permetteva di raggiungere a sud Suruga, a est Musashi e a nord Shinetsu.
SAITO: L’esercito mongolo attaccò il Giappone nell’ottobre 1274 (novembre secondo il calendario moderno) all’inizio del primo inverno che il Daishonin trascorse a Minobu. L’attacco giunse entro l’anno, come egli stesso aveva predetto nella sua ultima rimostranza al governo prima di lasciare Kamakura.
IKEDA: Per il popolo del Giappone la battaglia contro i mongoli era il primo scontro diretto con una cultura diversa. Il paese precipitò nel caos e ne derivarono notevoli cambiamenti. Parallelamente si verificarono drastici cambiamenti anche per il Daishonin e i suoi discepoli.
MORINAKA: I metodi bellici dei mongoli andavano al di là di qualsiasi precedente esperienza dei soldati giapponesi: attacchi sistematici condotti con una massiccia concentrazione di forze, frecce avvelenate, armi da fuoco e trattamento crudele nei confronti dei prigionieri.
IKEDA: Dovettero rimanere attoniti di fronte alla superiorità dell’esercito mongolo. In particolare, nei feroci combattimenti di Iki e Tsushima, le isolette al largo della costa meridionale dell’isola di Kyushu, le cose si misero molto male per i giapponesi e il vicegovernatore di Tsushima, che era la massima autorità del luogo, rimase ucciso.
SAITO: Inoltre il rogo che distrusse Hakata (ora parte della città di Fukuoka, all’estremità settentrionale dell’isola di Kyushu), centro del commercio fra il Giappone e il continente asiatico, inflisse al paese un grave colpo dal punto di vista economico. Nell’incendio andò distrutto anche il santuario Hakozaki di Hakata[ref]Nel santuario Hakozaki, costruito nel 923, si tenevano rituali per la sconfitta dei mongoli.[/ref], dedicato a Hachiman, divinità protettrice dei guerrieri, causando senza dubbio un grave trauma psicologico ai samurai.
MORINAKA: La battaglia contro i mongoli sull’isola di Kyushu durò soltanto due giorni, il 19 e il 20 ottobre. La mattina del 21 tutta la flotta mongola era scomparsa tranne un’unica nave. Le ipotesi riguardo a ciò che poteva essere accaduto sono diverse ma è probabile che le forze mongole, che erano formate da brigate di diversa provenienza, lungi dall’essere state affondate nella baia di Hakata dal cosiddetto vento divino, si fossero limitate ad andarsene per mancanza di unità interna.
IKEDA: In ogni caso i mongoli avevano dato prova di grande forza. Anche se i soldati giapponesi combattevano con tutte le proprie energie, l’invasione mongola aveva ingenerato nel cuore della popolazione un costante senso di timore e di insicurezza. Parlando dell’umore prevalente fra le persone il Daishonin dice che «fu evidente quanto sarebbe stata debole la difesa del Giappone in caso di una ulteriore aggressione» (SND, 4, 66). L’invasione mongola fu un evento di proporzioni senza precedenti per il paese, destinato a provocare drastici cambiamenti.
MORINAKA: Nell’aprile dell’anno successivo, 1275, una delegazione di emissari mongoli guidata da Tu Shih Chung giunse a Murotsu nella provincia di Nagato (all’estremità occidentale di Honshu, la più grande delle quattro principali isole che compongono il Giappone). Furono portati a Kamakura dove vennero giustiziati il 7 settembre.
IKEDA: Il governo adottò sempre più una linea dura e perse la capacità di valutare la situazione con buon senso.
Il Daishonin fu informato sul destino degli inviati mongoli dal prete laico Nishiyama che, da Kamakura, era appena ritornato, nella provincia di Suruga. La risposta del Daishonin a questo resoconto è contenuta nel Gosho Gli inviati mongoli in cui il Daishonin esprime dolore e indignazione per il trattamento crudele e disumano degli inviati stranieri da parte del governo e dichiara che se qualcuno doveva essere giustiziato erano i preti delle varie scuole che stavano causando confusione e sofferenza al popolo con i loro insegnamenti errati[ref]«Ho anche ricevuto la notizia della decapitazione degli inviati mongoli. Com’è penoso che siano stati decapitati gli innocenti inviati mongoli mentre non sono state tagliate le teste dei preti delle sette Nembutsu, Shingon, Zen e Ritsu, i veri nemici della nostra nazione!» (SND, 7, 239).[/ref].
SAITO: I primi inviati dei mongoli e del regno coreano del Koguryo erano stati trattenuti a Daizafu, la locale sede del governo nel Kyushu e poi lasciati liberi di tornare in patria dopo che era stato deciso di non dare alcuna risposta alle loro richieste.
Le maniere sbrigative che il governo aveva adottato in quest’ultima occasione erano indice di un crescente irrigidimento della loro posizione. L’esecuzione degli inviati rifletteva l’ostinazione del governo nel chiudere le porte a ogni possibilità di relazione o di scambio futuro[ref]Nel Kanto Hyojoshu Den si legge: «Fu una strategia volta a interrompere ogni scambio, allo scopo di impedire per sempre qualsiasi tipo di relazione amichevole».[/ref].
IKEDA: Questo atteggiamento rigido senza dubbio fu dovuto al fatto che i principali esponenti del governo si sentivano impotenti e presi in trappola e la loro ansia cresceva sempre di più.
Più le persone hanno una mentalità ristretta e vile, più sono inclini a ostentare il loro potere e a comportarsi barbaramente. Per contro le persone di autentico coraggio rimangono salde nelle loro decisioni e al momento decisivo sanno agire con rapidità e ardimento.
MORINAKA: Il governo, profondamente scosso dalla catastrofe senza precedenti dell’invasione mongola, attribuì un’importanza crescente agli affari militari e rafforzò il suo sistema di controllo. Consolidò le difese delle province nel Kyushu e nel Chogoku, lungo il mar del Giappone, e nominò come governatori delle varie province esponenti del governo centrale.
Inoltre sembra persino che si facessero preparativi per una «spedizione straniera» o una «spedizione contro il Koguryo». Ciò dimostra come i governanti del paese avessero perso ogni capacità di prendere decisioni logiche.
SAITO: Nella battaglia contro i mongoli il governo non aveva soltanto mobilitato i samurai ma aveva anche richiesto il sostegno attivo da parte del clero.
A quel tempo le preghiere agli dèi e ai Budda erano considerate un ingrediente essenziale per il successo in battaglia e per descrivere questo tipo di sostegno alle operazioni militari venivano comunemente usati termini come «battaglia divina». Così, oltre al maggiore controllo militare sul paese, il governo aveva istituzionalizzato anche l’offerta di preghiere per la sconfitta degli invasori stranieri.
IKEDA: In ogni parte del Giappone il governo chiese a templi e santuari di pregare, facendosi inviare dettagliati resoconti dei rituali condotti[ref]Per esempio nel settembre 1275, il governo ordinò a Sasaki Yasutsuna, governatore della provincia di Omi, di far pregare i templi di tutta la provincia per sconfiggere la potenza straniera e di riferirne i risultati, calcolati in base al numero dei rotoli di sutra che erano stati recitati.[/ref]. Pare che avesse stabilito una procedura per ricompensare con terre e altri doni i risultati degni di nota.
MORINAKA: Un ricercatore[ref]Koji Saeki, Nihon no Chusei 9 – Mongoru Shurai no Shogeki (Storia del Giappone medievale, vol. IX – Il trauma dell’invasione mongola), Chuo Koron Shinsha, Tokyo, 2003, pag. 121.[/ref] ha evidenziato che, nell’elargire ricompense, il governo tendeva a essere più generoso verso i templi che verso i samurai. Così templi e santuari approfittarono della situazione per accrescere i propri possedimenti terrieri. Alcuni chiesero perfino una ricompensa perché le forze mongole erano scomparse, pretendendo che si fosse alzato il cosiddetto vento divino per opera degli dèi e dei Budda.
SAITO: La scuola Shingon-Ritsu[ref]Scuola Shingon-Ritsu: scuola buddista giapponese, fondata da Shien (detto anche Eizon, 1201-90) del tempio Saidai, basata sulle dottrine Shingon e sull’osservanza dei precetti hinayana e mahayana. Il discepolo di Shien, Ryokan, stabilì forti legami a Kamakura con importanti esponenti del governo e acquisì potere e influenza attraverso il controllo delle opere di costruzione e dei dazi commerciali.[/ref] era la più zelante in questa campagna contro l’invasore straniero. Era la scuola di Shien del tempio Saidai a Nara e del suo discepolo Ryokan del Gokuraku-ji di Kamakura. Si diceva che Shien avesse pregato per la sconfitta dei mongoli sin dall’arrivo della loro lettera ufficiale nel 1268. E, nel 1272, si era recato in pellegrinaggio al santuario di Ise[ref]Santuario di Ise: uno dei più importanti santuari shintoisti, situato a Ise nella prefettura di Mie.[/ref] per offrire rotoli dei sutra.
Secondo le cronache, al tempo della seconda invasione mongola del 1281, Ryokan tenne una lezione a Inamuragasaki, a Kamakura, sul Sutra Ninno (Sutra dei re benevoli), venerato in Cina, in Giappone e in Corea come sutra per la protezione della nazione. Inoltre costruì un tempio affiliato a Hakata (Kyushu) come centro in cui svolgere rituali per la sconfitta dei mongoli. Sembra che Ryokan abbia rivestito un ruolo chiave anche nell’ottenere il sostegno del mondo religioso nei confronti della politica governativa.
IKEDA: Mentre il governo mobilitava tutte le sue risorse per mettere in atto un sistema di difesa nazionale, molti gruppi religiosi, accecati dai propri interessi e dall’avidità, parteciparono attivamente a questa manovra. Solo il Daishonin mise in luce questo errore e sollevò obiezioni riguardo a questa deplorevole situazione. È ovvio che il governo e gli «pseudo religiosi» suoi alleati lo considerassero una spina nel fianco.
SAITO: Questi falsi preti, con a capo Ryokan e i suoi seguaci, cominciarono nuovamente a complottare ai suoi danni. Il 6 dicembre 1275 il Daishonin ricevette una lettera da Gonin-bo, un prete della scuola Shingon, che abitava nel villaggio di Fuji a Suruga. La lettera stranamente era datata 25 ottobre, circa due mesi prima, cioè proprio il periodo in cui il governo aveva edificato in tutto il paese il suo sistema di fortificazioni difensive. Si può inferire che quest’ennesimo piano contro il Daishonin fosse stato architettato nell’ambito di quegli sviluppi.
Il Daishonin scrisse immediatamente una risposta in cui, oltre a refutare le critiche di Gonin-bo, chiedeva un dibattito pubblico (vedi GZ, 184).
MORINAKA: Poco dopo, l’11 gennaio 1276, il Daishonin inviò una lettera al tempio Seicho[ref]Lettera ai preti del Seicho-ji, (SND, 5, 7). Seicho-ji: tempio nella provincia di Awa, luogo di nascita del Daishonin dove questi fu ordinato prete e in seguito proclamò la sua dottrina.[/ref] dove chiedeva in prestito una serie di opere per prepararsi al dibattito con la scuola Shingon.
IKEDA: In quello scritto afferma: «Quest’anno sarà definitivamente risolta la questione di quali dottrine buddiste sono giuste e quali sbagliate» (SND, 5, 8), esprimendo così la sua ferma determinazione a chiarire una volta per tutte quale fosse l’insegnamento corretto e aprire la strada per «adottare la dottrina corretta per la pace del paese».
SAITO: Ma Gonin-bo, probabilmente spaventato dall’abile refutazione contenuta nella lettera, se la diede a gambe. Pur avendo sollevato la questione doveva aver capito di non avere alcuna possibilità di vincere contro il Daishonin. Era un vero codardo.
IKEDA: Il piano ordito da Ryokan e dalla sua schiera nei confronti del Daishonin non consisteva solo in questo. In marzo, circolò a Kamakura la voce tendenziosa che il Daishonin fosse felice dell’invasione mongola[ref]Scrive il Daishonin: «Per quanto riguarda l’imminente attacco dei mongoli, finora non ho avuto notizie. Quando ne parlo, la gente dice che Nichiren si rallegra ogni volta che sente parlare dell’attacco dei mongoli, ma questo non è vero» (SND, 8, 241) e «Sebbene il popolo del Giappone tenga in grande considerazione il Sutra del Loto, si rifiuta di recitare Nam-myoho-renge-kyo a causa del suo odio per me, il prete Nichiren» (SND, 7, 190).[/ref]. Venivano diffuse ovunque insinuazioni maligne e resoconti che diffamavano il Daishonin. Anche i discepoli che avevano abbandonato la fede iniziarono in quel periodo a seminare discordia a Kamakura.
MORINAKA: All’inizio di aprile Shijo Kingo inviò una relazione[ref]Il Daishonin fa riferimento alla relazione di Shijo Kingo nel suo scritto Il palazzo reale (SND, 5, 107). Per molto tempo si è creduto che questo Gosho fosse stato scritto nel 1275, ma recenti studi fanno supporre che in realtà sia stato composto nel 1276.[/ref] al Daishonin in cui oltre alla descrizione dettagliata di come il tempio Gokuraku e il palazzo dello shogun a Kamakura fossero stati distrutti dalle fiamme, si accennava alla «questione di Nagoe». Si ritiene che fosse un riferimento alla monaca laica di Nagoe[ref]La monaca laica di Nagoe: moglie di Hojo Tomotoki, fratello minore del terzo reggente Yasutoki; dapprima era seguace del Daishonin ma nel 1271 abbandonò la fede, circa all’epoca della persecuzione di Tatsunokuchi.[/ref] una volta seguace del Daishonin e ora implicata in qualche intrigo.
Mi chiedo perché in quel particolare momento Ryokan e i suoi si dessero tanto da fare per screditare e incriminare il Daishonin con ogni subdolo mezzo.
IKEDA: Probabilmente perché sembrava improbabile che riuscissero a evitare un dibattito dottrinale con lui. Possiamo dedurre che il dibattito fosse prossimo, dal fatto che il Daishonin aveva inviato discepoli in vari luoghi a raccogliere i sutra e i trattati necessari a prepararsi per l’occasione (vedi GZ, 330).
MORINAKA: Ryokan era indubbiamente sicuro di perdere e voleva impedire il dibattito a ogni costo. Inoltre cercava probabilmente di creare divisioni fra i discepoli del Daishonin o comunque di ribaltare la situazione a proprio vantaggio. Quali che fossero i suoi intenti, agì in maniera vergognosa.
(continua)