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Ho danzato per sensei - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:33

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    Ho danzato per sensei

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    Pratico dal 1986. Avevo venti anni e stavo a Londra. Dopo il liceo ero scappata da casa senza dare più mie notizie per diversi mesi. Pensavo di essermi lasciata alle spalle, definitivamente, la mia famiglia e il mio paese, Santa Maria Capua Vetere.
    Le mie esperienze di droga iniziate a tredici anni mi avevano “marchiata” e in paese godevo di pessima fama. A causa di un grave esaurimento dovuto al rapporto drammatico con mio padre, ero stata ricoverata al reparto di neurologia di Caserta e venni curata per quattro mesi con psicofarmaci molto forti. Uno psichiatra consigliò a mia madre di farmi allontanare dal paese e dalla famiglia dicendole che ero un’artista e che avevo bisogno di fare altre esperienze. Mi sentii incoraggiata e dopo l’esame di maturità, andai a lavorare alla raccolta di tabacco per farmi un gruzzoletto e scappai. Ma ovunque andassi continuavo con lo stesso copione: droghe, sfiducia in me stessa e poco senso del futuro. Fu a Londra che una ballerina mi fece recitare Daimoku.
    Tornai in Italia incuriosita e dopo qualche mese partecipai a una riunione buddista. I benefici furono immediati: abbandonai per sempre le droghe, all’università sostenni con successo quattro esami in un mese e un maestro di danza mi invitò a lavorare con la sua compagnia per l’estate. Smisi di praticare il Buddismo per paura di dover fare questa cosa tutta la vita e l’insicurezza e la sfiducia mi ripiombarono addosso.
    E così a settembre ripresi. I primi anni furono veramente duri: studiare, mettere ordine nella mia vita e capire perché avevo questa necessità del teatro. L’università andava bene, ma col teatro e la danza puntai al massimo. Dopo ore e ore di Daimoku mi presentai a un’audizione in Germania. Andai bene, ricevetti complimenti da tutti, ma non mi presero, e il mondo mi crollò addosso. Per fortuna partecipai al corso estivo, mi ritirai su e decisi di frequentare una scuola a Modena. A causa del mio caratteraccio una settimana sì e una no minacciavano di cacciarmi, ma fortunatamente vennero a farmi lezione due teatranti: Pippo e Pepe. Mi innamorai della loro poetica, sentii che volevo lavorare con loro e aumentai il Daimoku fino a recitare cinque ore al giorno per una settimana per realizzare questo desiderio. Dopo poco fui presa nella loro compagnia. Pippo intanto stava male e mi chiese di poter iniziare a praticare il Buddismo; e così capii perché dovevo iniziare il mio percorso artistico proprio con loro. Adesso grazie a Pippo in quella compagnia praticano quasi tutti.
    Intanto il rapporto con mio padre era cambiato. Prima che iniziassi a praticare, se qualcuno telefonava e chiedeva di me, lui rispondeva che ero morta; invece adesso addirittura mi faceva regali, anche cose per la danza, lui che mi aveva sempre ripetuto che la danza era solo un’illusione…
    Dopo lo spettacolo con Pippo tornai giù dai miei. Ero trionfante, ma mia madre mi accolse freddamente. Una persona a me molto cara era morta di overdose molto giovane. Iniziò per me un periodo di lutti. Quanto avevo sognato da bambina sul teatro e sulla danza, proprio con lei… Tutti ci dicevano: «Prendi l’arte e mettila da parte». Il mio maestro ripeteva durante la lezione: «La danza è l’hobby dei ricchi!». E infatti lei a tredici anni non potè continuare a ballare proprio per i problemi economici della sua famiglia… Ero profondamente distrutta, non capivo il senso di quello che stavo facendo.
    Passò qualche mese quando mi arrivò una telefonata e mi dissero di tornare subito a casa: papà aveva avuto un ictus. Lo trovai in stato di coma, ma quando entrai ebbe un sussulto come se mi stesse aspettando. Gli strinsi la mano e recitai diverse ore di Daimoku al suo fianco, finché si spense. Dopo tre giorni avevo un’audizione per un corso professionale a Reggio Emilia con maestri americani. Mia madre e le mie sorelle mi spinsero ad andare, ma partii in uno stato pietoso. All’audizione, dove c’erano più di trecento persone, ballavo e poi in bagno piangevo, ma fra i venti ammessi al corso c’ero anch’io.
    Terminato questo corso decisi di laurearmi; ancora una volta ero fuggita, questa volta da una professoressa odiosa. Il professore che mi seguiva morì e così io dovevo lavorare proprio insieme a lei. Misi i capitoli della tesi sotto al butsudan e quando non riuscivo a scrivere recitavo Daimoku per riuscire a finire il lavoro. Morì l’attore sul quale facevo la tesi e morì anche un caro amico che mi prestava il suo computer. Pensai che dovevo morire anch’io, ma mi feci forza e andai avanti: era il 1994, l’anno della visita del presidente Ikeda in Italia. Mi laureai col massimo dei voti e danzai di fronte a sensei nello spettacolo organizzato per l’occasione, decisa a essere felice sia che avessi lavorato in teatro o avessi fatto qualsiasi altro mestiere. Subito dopo la partenza di sensei venni chiamata da una compagnia da Parma e da allora ho sempre fatto lavori legati al teatro, sopravvivendo di arte e anche vincendo premi importanti.
    Passati altri dieci anni ho realizzato un obiettivo prima impensabile: ho deciso di mettere le radici proprio a Santa Maria Capua Vetere e lì ho comprato una casa. Ho costruito il mio nido proprio nel luogo più difficile per me.
    Un altro mio sogno era andare in Giappone e grazie a una tourneè in Corea del Sud sono riuscita a realizzarlo, là ho incontrato persone meravigliose di una generosità e di uno splendore indimenticabile. Sono molto serena anche se ho un mestiere difficile che mi obbliga a recitare molto Daimoku e a mettermi sempre in gioco. L’invidia, la collera e l’egocentrismo sembrano regnare nel teatro e a volte tutto mi sembra bloccato e di scarso valore. La fede però mi fa andare avanti e mi sento molto sostenuta dai giovani. Sono riuscita a portare i miei studenti in Finlandia, in Francia e in Spagna e il mio sogno è di utilizzare le caratteristiche migliori della mia “napoletanità” e trasmetterle a tanti giovani. Quest’anno sono riuscita a far danzare anche dei bimbi rom e diversamente abili e per me è stata un’esperienza veramente importante. Nel mio paese ho fondato un’associazione culturale di sole donne con lo scopo di creare un teatro danza aperto al sociale in una realtà vessata dalla camorra.
    In tutti questi anni nei quali il mio lavoro mi ha portato in giro per il mondo ho creato ovunque legami d’amicizia, ho recitato Daimoku anche al Polo Nord! Il Nuovo Rinascimento mi permette di essere sempre in contatto con l’associazione buddista e di sentirmi spiritualmente sostenuta. Casa mia è un porto di mare per artisti che vengono a trovarmi. I praticanti qui mi accolgono dopo i miei nomadismi e adesso c’è un bel gruppo veramente speciale. Sono molto grata a Felice, un praticante dall’animo poetico che mi ha sempre incoraggiata a creare valore qui, anche quando pensavo che se Nichiren aveva scritto che non ci sono terre pure e terre impure era perché non era mai stato a Santa Maria Capua Vetere…
    Con la mia famiglia va molto bene. Mia madre ha iniziato a fare l’attrice a quasi ottant’anni, è piena di vitalità e anche se non pratica mi richiama quando mi vede giù chiedendomi: «Hai fatto Congo? (Gongyo)?». Una volta mi è venuta a trovare mentre recitavo e il volume del mio Daimoku era troppo alto. Ho sentito che diceva alla vicina «Esercizi per la voce… Fa teatro, si esercita». La mia vita sentimentale sta finalmente sbocciando e sento come con il Daimoku si sta sciogliendo anche questo nodo esistenziale. La frase che sempre mi sostiene è: «Una spada sarà inutile nelle mani di qualcuno che non si sforza di lottare. La potente spada del Sutra del Loto deve essere brandita da un coraggioso nella fede» (Risposta a Kyo’o, NR, 348, 18).

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