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"Grida di vittoria", puntate 27-89 - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 08:07

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“Grida di vittoria”, puntate 27-89

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Se i giovani saliranno con il loro entusiasmo sul palcoscenico di kosen-rufu, indipendentemente dai cambiamenti epocali, il maestoso fiume Soka scorrerà sempre più possente verso l’eterno futuro, senza alcun dubbio.
Shin’ichi gridava in fondo al suo cuore: «Giovani! Vi affido la Gakkai. Vi affido il mondo intero.
Vi affido il ventunesimo secolo»
Daisaku Ikeda

● ● ●

CONTESTO STORICO
Il viaggio di Shin’ichi Yamamoto prosegue a Oita, nella località del Kyushu, a sud ovest del Giappone. Gli attacchi del clero della Nichiren Shoshu si intensificano sempre più. Il quinto capitolo “Grida di vittoria” narra della controffensiva della Soka Gakkai, i cui membri, guidati dal presidente Yamamoto, si dedicano con impegno a far risuonare il ruggito della giustizia di maestro e discepolo.

Potete leggere le puntate del volume 30 pubblicate su www.sgi-italia.org/riviste/nr/

Nella narrazione l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto

[27] Fuori dall’aeroporto di Oita, mentre Shin’ichi stava per salire in auto si avvicinarono di corsa venti, trenta membri della Gakkai. Alcuni avevano dei mazzi di fiori in mano.
«Grazie! Scusate per i momenti duri e dolorosi che avete dovuto affrontare. Ma ora, finalmente, avete vinto!».
Gli occhi dei membri si velarono di lacrime. Shin’ichi rivolse loro un sorriso, dicendo: «Siate sempre allegri!».
Dall’aeroporto andò prima di tutto a incoraggiare a casa una famiglia di membri che si era distinta nelle attività.
Poi avrebbe dovuto recarsi direttamente al Centro per la pace di Oita, tuttavia chiese di andare prima al Centro culturale di Beppu, poiché quella città poteva definirsi l’epicentro delle problematiche causate dal clero. Qua e là, ai lati della strada statale c’erano persone che salutavano agitando la mano verso l’automobile. Sapendo che Shin’ichi si sarebbe recato a Oita, sicuramente avevano atteso immaginando che passasse di lì, con il desiderio di vederlo anche solo per un attimo. Alcune donne si sporgevano dal guardrail più che potevano, continuando a salutare con la mano. Di fronte a tanto coraggioso entusiasmo, Shin’ichi sentì ardere il suo cuore.
«Tutti hanno continuato tenacemente a sopportare ingiustizie. I preti dello Shoshinkai hanno maltrattato sino all’estremo questi nobili figli del Budda che si sono dedicati alla causa di kosen-rufu impegnandosi con tutte le forze. Ciò è assolutamente imperdonabile. Dovranno aspettarsi severi rimproveri da parte del Gohonzon e di Nichiren Daishonin. Io ricorderò per sempre ciò che ho visto oggi». Ogni volta che vedeva un membro che lo aspettava sulla strada, in cuor suo Shin’ichi giungeva le mani in segno di rispetto.
Poco prima del tramonto egli giunse al Centro culturale di Beppu. All’interno si accesero le luci e dietro le finestre apparvero le sagome di numerose persone. Appena sceso dall’auto, Shin’ichi si rivolse a tre signore anziane che si trovavano lì.
«Sensei! Volevamo tanto incontrarla…».
«E alla fine, eccomi arrivato. Ora che sono qui, potete stare tranquille!».
Nel Centro si erano accalcati circa duecento membri, e all’ingresso era stato posto uno striscione che diceva “Bentornato maestro!”.
Tutte quelle persone erano certe che Shin’ichi sarebbe venuto a visitare il Centro culturale di Beppu. Shin’ichi e i compagni di Beppu, che avevano continuato a lottare contro le malvagità dei preti, erano fortemente uniti dallo spirito della lotta condivisa.

[28] Shin’ichi si rivolse ai membri che si trovavano vicino all’ingresso: «Facciamo una foto insieme, per commemorare questa nuova partenza!». Dopo la foto recitò Gongyo insieme ai membri.
«Durante questo Gongyo, oltre a riportare al Gohonzon la vittoria di tutti voi, ho pregato per la vostra felicità eterna».
Tutti offrirono preghiere con voce energica e il cuore colmo di gioia. Mentre continuavano a sopportare i maltrattamenti dei preti, i membri avevano tenacemente atteso quel momento. Terminato Gongyo, Shin’ichi si avvicinò al microfono: «Sono profondamente dispiaciuto per tutti i momenti dolorosi che avete dovuto affrontare. In origine, dovrebbero essere i preti a proteggere più di chiunque altro i figli del Budda. Ciononostante, dei preti malvagi e corrotti hanno continuato a perseguitare e maltrattare dei compagni di fede che si sono sempre dedicati con tutte le forze alla causa di kosen-rufu. È assolutamente inammissibile, imperdonabile. Ma il Buddismo ci insegna che proprio coloro che maggiormente soffrono e lottano contro le avversità diventeranno le persone più felici. La vita di ognuno di voi che avete sconfitto e riportato una vittoria così grandiosa su tali ostacoli e demoni, sarà adornata da una profusione di benefici, senza alcun dubbio. La primavera è finalmente arrivata. Conducete dunque la migliore esistenza possibile, aiutando le persone che soffrono a diventare felici».
In quei pochi minuti Shin’ichi aveva incoraggiato con tutte le sue forze i presenti, dopodiché si diresse al Centro per la pace di Oita, nell’omonima città.
Giunto al Centro poco dopo le sei di sera, Shin’ichi scattò delle foto con alcuni membri che si trovavano all’ingresso. Tutti mostravano sorrisi raggianti.
Nel Centro si erano riuniti quattrocento rappresentanti della prefettura. Appena Shin’ichi apparve nella sala scoppiarono fragorosi applausi e si levarono grida di gioia.
Su un lato della sala era stato appeso uno striscione che esprimeva il sentimento di tutti i membri: “La primavera è sbocciata nella famiglia Oita”.
Shin’ichi iniziò a parlare in tono energico.
«Voi tutti avete vinto! Dopo un lungo periodo di sofferenze, sconfiggendo “i vermi nati dal corpo del leone”, finalmente la giustizia ha trionfato sul male!».

[29] Shin’ichi citò  un  passo del Gosho: «“Questo passo del commentario significa che i cattivi amici usano lusinghe, inganno, adulazione e abili discorsi per tenere sotto controllo la mente delle persone ignoranti, distruggendo così la mente buona che è in loro (RSND, 2, 208)”. I “cattivi amici” sono i preti meschini che predicando insegnamenti erronei sviano le persone e ostacolano la pratica buddista. Il Daishonin ci insegna come essi tendano ad abbindolare con le lusinghe persone che hanno deciso di vivere per kosen-rufu e, adulandole, scambiano con astuzia il male con il bene, si impadroniscono del loro cuore e ne distruggono la fede. Anche voi avete dovuto patire terribili sofferenze a causa di preti meschini. Non solo vi hanno calunniato sostenendo che la Soka Gakkai offende la Legge, ma si sono avvicinati ad alcune persone in particolare con lusinghe e adulazioni e le hanno indotte ad abbandonare con inganno la fede. Questi sono i mezzi che usano.
La natura di questi individui è arrogante ed egocentrica. Quando si diventa loro seguaci è ovvio deviare dal cammino corretto della fede. La cosa importante per chi vive per kosen-rufu è essere in grado di smascherare questi “cattivi amici” che minacciano di distruggere la pura fede. Attorno a voi vi saranno sicuramente compagni che, nonostante si siano impegnati insieme a voi nella fede, abbindolati da questi preti meschini hanno abbandonato la Soka Gakkai. Immagino che avrete continuato a cercare di convincerli a non abbandonare la Soka Gakkai, l’organizzazione fedele alla volontà del Budda. Nonostante poi abbiano nuovamente deciso di impegnarsi come membri della Soka Gakkai, abbindolati nuovamente, hanno cambiato idea e, alla fine, se ne sono andati coprendola di calunnie. Sono perfettamente a conoscenza delle terribili sofferenze che hanno lacerato i vostri cuori».
Tra i membri alcuni avevano le lacrime agli occhi ricordando quei momenti.
Shin’ichi ribadì: «Il Buddismo insegna il principio di “trasformare il veleno in medicina”, secondo il quale attraverso la fede siamo in grado di trasformare le disgrazie in felicità. Come l’aquilone è in grado di volare alto nel cielo solo se è sorretto dal vento, è possibile dischiudere meravigliosamente il nostro stato vitale e danzare nell’immenso cielo della felicità solo passando attraverso difficoltà e traversie. La dinamicità del Buddismo risiede proprio nella sua capacità di capovolgere completamente le situazioni».

[30] Shin’ichi imprimeva sempre più forza nelle sue parole: «Nichiren Daishonin afferma: “Dall’inizio c’è stata una salda convinzione e non ho intenzione di cambiare adesso, né rimprovererò mai [quelli che mi hanno perseguitato]. Anche le persone malvagie saranno buoni amici per me” (RSND, 2, 406). La sua esistenza sarebbe stata un susseguirsi di persecuzioni, ma egli era assolutamente pronto. È un passo del Gosho in cui il Daishonin dichiara con certezza che per quanto terribili possano essere le avversità a cui andrà incontro, la sua determinazione non cambierà mai e non serberà rancore nei confronti di chi lo ha perseguitato.
Qual è la cosa più importante in questo cammino per adempiere fino in fondo alla missione di kosen-rufu a cui siamo chiamati dall’infinito passato? Qual è l’aspetto fondamentale nel nostro impegno per conseguire la Buddità in questa esistenza ed erigere uno stato vitale di felicità incrollabile? È alzarsi con fede risoluta. Se il nostro cuore è risoluto, se coltiviamo il cuore del re leone, non avremo nulla da temere. In quel momento anche i “cattivi amici” che ci hanno inferto terribili sofferenze si trasformeranno in “buoni amici”. Essere risoluti nel cuore e lottare sfidando immani avversità ci permette di migliorare e forgiare la nostra fede, di trasformare il nostro karma. Compagni di Oita! Voi avete sofferto terribilmente per i problemi con il clero. Ma siate certi che tutto ciò è la forza che vi permetterà di compiere un grande balzo avanti. Io darò nuovamente inizio alla grande lotta per kosen-rufu. Costruirò la vera Soka Gakkai. Vi prego di lottare insieme a me!».
«Sì!», risposero tutti con una voce traboccante di determinazione che risuonò per la sala.
I compagni di Oita, che più di chiunque altro avevano sofferto, avevano deciso di alzarsi risolutamente insieme a Shin’ichi.
Durante l’incontro Shin’ichi ricevette la buona notizia che quasi nessuno dei giovani uomini aveva abbandonato la Soka Gakkai in seguito ai problemi con il clero. Sporgendosi in avanti per la meraviglia, Shin’ichi disse:
«Davvero! È una cosa fantastica! Se il Gruppo giovani è solido, il futuro di Oita è assicurato. Vorrei lasciare a voi giovani delle linee guida che siano di incoraggiamento per avanzare». A Oita, due giorni dopo, il 10 dicembre, era in programma la riunione dei responsabili giovani di tutta la prefettura.

[31] Anche dopo quell’incontro, Shin’ichi tenne diverse riunioni con dei responsabili di prefettura e trasmise a dei rappresentanti due documenti. In uno era stata trascritta la conferenza stampa del 24 aprile 1979 presso la sede del quotidiano Seikyo, quando erano state annunciate le dimissioni di Shin’ichi dall’incarico di presidente.
Nell’altro Shin’ichi – che si trovava in un alloggio di Miyazaki – aveva descritto il suo stato d’animo la sera del 4 dicembre 1977, quando era scoppiata la questione con il clero della Nichiren Shoshu.
In quest’ultimo era scritto: «Si verificano problemi con il clero. È penoso, doloroso come se il cuore venisse perforato da un ago. Perché ci sferzano con attacchi insensati e calpestano il nostro appello ad avanzare in accordo tra preti e laici, per la causa di kosen-rufu? Perché perseguitano ripetutamente i figli del Budda esausti dopo le lotte disperate contro i tre potenti nemici e le grandi campagne di shakubuku? Per me è una cosa assolutamente incomprensibile. Ho passato giorni strazianti venendo a conoscenza del dolore, la rabbia, la tristezza e tutti i momenti difficili e penosi che hanno affrontato i preziosi figli del Budda a me così cari. La nostra controffensiva inizierà da Oita!».
Mentre consegnava i due documenti, Shin’ichi disse: «Questo è il mio pensiero. I compagni di fede sono la mia stessa vita. La missione di un leader è proteggere tenacemente i membri. Se dovesse verificarsi nuovamente una situazione simile, alzatevi e prendete voi l’iniziativa di agire, per i figli del Budda e per la causa di kosen-rufu. Oita, che ha sofferto più di qualsiasi altro luogo, ha la missione di precedere gli altri nel “confutare l’erroneo e rivelare il vero”».
I volti dei compagni di Oita si infiammarono, manifestando la loro forte decisione.
Il giorno dopo, Shin’ichi si recò presso un caffè gestito da membri e tenne un incontro con alcune rappresentanti del Gruppo donne.
In quell’occasione consigliò una giovane responsabile su come relazionarsi con le compagne che avevano più esperienza nella fede.
«Anche nelle famiglie sorgono problemi tra suocere e nuore. Nel Gruppo donne è inevitabile che si manifestino contrasti di opinioni tra responsabili con età ed esperienze diverse. Ma superando tali differenze, creando unità e unendo i loro cuori, esse potranno aiutarsi reciprocamente per approfondire la propria rivoluzione umana e sviluppare ulteriormente kosen-rufu».

[32] I membri del Gruppo donne attendevano con espressione seria che Shin’ichi riprendesse il discorso.
«Le giovani responsabili del Gruppo donne ardono di entusiasmo quando si sfidano in imprese mai compiute, mentre quelle con più anni di pratica hanno convinzioni maturate attraverso molte esperienze, avendo affrontato diverse situazioni. Per far ingranare bene queste due “ruote dentate”, in modo che possano avanzare senza difficoltà, è necessario qualcuno che agisca da “lubrificante”. Per esempio, una donna di età intermedia tra le più giovani e le più mature, che possa comprendere appieno le opinioni di entrambe e si impegni per facilitare l’intesa tra loro.  Inoltre,  come le figlie nei confronti delle madri o le nuore verso le suocere, è importante che le giovani responsabili non rifiutino categoricamente ciò che dicono le meno giovani, ma le ascoltino approvando gentilmente ed esprimano la propria opinione tenendo presente che esistono modi diversi di pensare.
Se si respingono arbitrariamente le opinioni altrui, con parole brusche e sgarbate, anche gli altri non ascolteranno ciò che diciamo.
Se invece ascoltiamo annuendo gentilmente, i nostri interlocutori si rallegreranno. Più sono avanti negli anni, più le persone sono contente di questo. Un requisito importante per un leader è la conoscenza della natura profonda e complessa della mente umana e la capacità di trattare gli individui con saggezza».
Con la nascita di giovani responsabili nella nuova fase di crescita del movimento e il ricambio generazionale che si perseguiva, l’immagine del leader di kosen-rufu si stava trasformando in modo considerevole.
Ora, oltre alla capacità di trovare nuove strade di kosen-rufu, a un leader si richiedeva un ruolo di “direttore d’orchestra” in grado di sviluppare il potenziale di tutti i membri e armonizzare l’intera organizzazione.
È superfluo precisare che a un leader della Gakkai – la comunità religiosa di kosen-rufu – è richiesta la capacità di diffondere ampiamente il Buddismo del Daishonin, insieme alla leadership e alla capacità di agire mostrando il proprio esempio. Si attribuisce inoltre grande importanza a qualità umane quali la sincerità, la serietà, il buon senso, la diligenza, il comportamento premuroso verso le persone e la capacità di conquistarsi la fiducia degli altri. La fede di una persona si riflette nella sua umanità. Finché la Soka Gakkai rimarrà la religione della rivoluzione umana, il requisito indispensabile di un leader sarà lo splendore della sua personalità, tanto che coloro che lo circondano possano pensare: «Basta la sua presenza per rassicurarci!».

[33] Sulla strada di ritorno dall’incontro nel caffè, l’auto che portava Shin’ichi passò davanti al Parco Atletico Osu Sogo della città di Oita, in cui si estendeva uno splendido campo da baseball.
Shin’ichi si rivolse ai responsabili che viaggiavano con lui: «Perché non organizzate il Festival culturale di Oita in quel campo da baseball? Raduniamo i giovani e mostriamo alla società quanto sono meravigliosamente cresciuti, insieme alla gioia di abbracciare una fede e alla forza dell’unità della gente!».
Rientrando al Centro di Oita, Shin’ichi scorse davanti a un ingresso secondario degli uomini tra i trenta e i cinquant’anni che lo stavano aspettando. Erano i membri del “Gruppo dei centosettanta di Oita” con cui Shin’ichi aveva promesso di scattare una foto ricordo. Infatti ventuno anni addietro, nel dicembre del 1960, avevano fatto parte dello staff che si occupava di accogliere i membri all’esterno di una palestra della prefettura di Oita, dove si stava svolgendo la riunione generale per la fondazione dell’omonimo capitolo. Shin’ichi, che aveva da poco assunto la presidenza della Gakkai e si recava per la prima volta a Oita, apprezzò di cuore l’impegno di quei giovani che, esposti a un vento gelido, avevano continuato a sforzarsi nell’ombra fin dal mattino.
«Desidero che viviate fino alla fine per adempiere alla vostra missione, continuando ad abbracciare la fede nel Buddismo. La vita di una persona si decide in modo quasi definitivo verso i venti, trent’anni. Vi esorto quindi a sforzarvi nell’organizzazione di kosen-rufu perfezionando ed elevando voi stessi, e avanzando con l’obiettivo dei prossimi dieci anni di pratica».
Promisero di incontrarsi nuovamente dopo dieci anni, e nell’ottobre del 1970 si rividero a Fukuoka. In quella circostanza Shin’ichi propose ai membri di costituire un gruppo che denominò “Gruppo dei centosettanta”, in seguito chiamato “I centosettanta di Oita”. Poi, dopo undici anni, si riunirono insieme a Shin’ichi per la terza volta. Erano diventati tutti dei “pilastri” a sostegno della società di cui si erano conquistati la fiducia, e avevano acquisito una funzione centrale all’interno della Gakkai.
Le persone capaci crescono se ci si prende cura del legame con loro, se si veglia su di loro con lungimiranza e si continua a incoraggiarle. Shin’ichi, felice, disse loro: «Forza, miriamo al ventunesimo secolo!», e scattarono la foto di gruppo rinnovando la loro decisione.
Determinare fermamente il voto di maestro e discepolo significa costruire un’orbita dell’esistenza sicura, che punta verso il futuro.

[34] La sera del 9, presso il Centro culturale di Oita, Shin’ichi prese parte alla riunione dei responsabili di prefettura che celebrava il terzo anniversario dell’inaugurazione del Centro. La riunione, che segnava una nuova partenza per i compagni che avevano vinto superando la terribile prova della questione con il clero, si aprì con un coro della Canzone della rivoluzione umana, che nei momenti più difficili aveva ispirato i membri alimentando in loro lo spirito della Soka Gakkai.

Alzati! Anche io mi alzo.
Nella terra di kosen-rufu
Alzati da solo…

Fu annunciato che, su proposta di Shin’ichi, il mese di maggio dell’anno successivo, il 1982, si sarebbe tenuto un grande festival culturale a Oita, con circa trentamila partecipanti, per celebrare sia il 3 maggio, giorno della Soka Gakkai, sia il 20 maggio, giorno di Oita.
Un applauso risuonò nella sala. Venne poi ufficialmente adottata la Dichiarazione dei compagni di Oita, articolata in cinque punti. In essa i compagni dichiaravano solennemente che, fedeli al testamento di Nichiren Daishonin, il Budda dell’Ultimo giorno della Legge, si sarebbero alzati per avanzare in unità, per “affermare il vero insegnamento e confutare l’erroneo”, issando il vessillo di Oita, terra di armonia e di gioia. Inoltre ribadivano la ferma determinazione di dedicare la propria vita a propagare l’insegnamento del Daishonin, fieri di condividere gioie e dolori insieme al maestro, suprema guida di kosen-rufu e, come compagni Bodhisattva della Terra, di rispettarsi e proteggersi l’un l’altro.
Si trattava di un fermo giuramento da parte dei discepoli nella loro lotta condivisa con il maestro, la risposta all’appello che Shin’ichi aveva lanciato il giorno prima: «Io darò nuovamente inizio alla grande lotta per kosen-rufu. Costruirò la vera Soka Gakkai. Vi prego di lottare insieme a me!». Un applauso di consenso per la solenne dichiarazione esplose in sala.
Superato il terribile periodo della lotta contro le macchinazioni dei preti meschini che avevano cercato di dividere il maestro e i discepoli di kosen-rufu, ora il cuore di ognuno traboccava della gioia di poter gridare il proprio giuramento nella lotta condivisa con il maestro, dichiarando solennemente la vittoria di Oita. Ognuno sentiva in cuor suo che una nuova epoca era finalmente giunta. I loro cuori, spinti dalla gioia che deriva dalla fede, ardevano del desiderio di realizzare un grande successo con quel festival culturale, con i giovani alla guida, un inno di vittoria della gente comune, e di dare inizio alla lotta per estendere la loro rete di pace.

[35] Durante la riunione dei responsabili della prefettura di Oita, Shin’ichi ringraziò di cuore tutti i compagni per la coraggiosa lotta sostenuta.
«Tutti voi, immersi nelle difficoltà della vita reale, avete intrapreso la lotta di kosen-rufu e avete portato avanti con coraggio la pratica di shakubuku. Quando il maestro Josei Toda divenne secondo presidente della Soka Gakkai, i membri erano appena tremila. Tuttavia, grazie alla pratica di non lesinare la vita per la propagazione della Legge dei nostri compagni, il flusso di kosen-rufu ora si è esteso in tutto il mondo. È la Soka Gakkai, siete tutti voi ad aver trasformato in realtà il principio espresso dal Daishonin di “emergere dalla terra”.
Shin’ichi citò il seguente passo del Gosho: «Nel quarto volume del Sutra del Loto si legge: “La colpa di pronunciare una sola parola sprezzante contro chi abbraccia e predica il Sutra del Loto, che sia un monaco o un laico, è più grave della colpa di insultare direttamente il Budda Shakyamuni per un intero kalpa” (RSND, 1, 670). Shin’ichi proseguì: «Il Daishonin lo dichiara apertamente. Qui esprime solennemente ciò che accade a coloro che recano offesa alle persone che si impegnano nello shakubuku.
Nonostante le difficoltà economiche, pregando sinceramente per lo sviluppo del clero voi vi siete prodigati nelle offerte e avete dedicato tutti voi stessi per il bene della Nichiren Shoshu. In base alla legge di causa ed effetto, una severa punizione colpirà chi offende i figli del Budda. La questione dello Shoshinkai è non solo una manifestazione delle funzioni demoniache che cercano di ostacolare il progresso di kosen-rufu, ma costituisce una chiara avversità. La cosa importante è comprendere che solo nelle avversità è possibile approfondire la fede. Se la fede fosse qualcosa di facile, fatta solo  di benefici, non esisterebbe né trasformazione del karma, né conseguimento della Buddità in questa esistenza. In questo impegno continuo della pratica buddista, le difficoltà sono indispensabili per trasformare il karma e dischiudere la propria vita a uno stato di felicità incrollabile. Le difficoltà che incontriamo non sono che una prova della giustezza della Gakkai. Nichiren Daishonin insegna: «Ho ripetuto puntualmente queste cose giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno (RSND, 1, 886)». Vorrei che teneste bene a mente che ovviamente la continuità nella fede è importante, ma anche nella vita quotidiana, in tutti gli aspetti dell’esistenza, la tenacia rappresenta la forza che ci spinge a continuare ad avanzare sempre. Il Buddismo è vincere o perdere. Mi auguro che possiate vivere fino in fondo esistenze felici portando sempre avanti una salda fede, con saggezza, impegnandovi con serietà nel lavoro e affinandovi come esseri umani». Solo considerando l’intero corso dell’esistenza di una persona si può dire se ha vinto o perso. Coloro che portano avanti la fede fino in fondo, con costanza, sono i veri vincitori nella vita.

[36] La sera del 10 dicembre era in programma la riunione dei responsabili della  prefettura  di Oita. La mattina Shin’ichi rifletté a lungo con i responsabili sulle future attività. Nel pomeriggio visitò l’ufficio del custode del Centro incoraggiando i membri del Gruppo donne che fin dalla fase pionieristica si erano dedicate allo sviluppo di kosen-rufu a Oita, a cominciare dalla custode del Centro. Erano presenti anche i responsabili giovani che si occupavano della gestione degli eventi della Soka Gakkai, inviati direttamente dalla sede centrale. Venne riferito a Shin’ichi che, in occasione della riunione della sera, i giovani avrebbero dato inizio a un nuovo avanzamento verso il ventunesimo secolo annunciando il loro componimento, Canzone di giustizia, che traboccava di determinazione per una nuova partenza. Erano trascorsi esattamente trent’anni da quando il maestro Toda aveva enunciato le sue Linee guida per i giovani, che si aprivano con l’affermazione: «Saranno la passione e la forza dei giovani a creare il nuovo secolo». Anche Shin’ichi pensava dentro di sé di voler lasciare ai giovani delle nuove linee guida. «Forza allora! Ne farò dono ai giovani». Così dicendo iniziò a dettare.
Nel suo cuore risplendeva un grande spirito combattivo, intriso di mille emozioni.
«Perché scalare una montagna? Perché si trova lì di fronte a me!», disse una volta un celebre scalatore. I responsabili giovani uomini e giovani donne presenti iniziarono subito a prender nota delle parole dettate da Shin’ichi, che sgorgavano copiose: «Noi ci accingiamo adesso a scalare la montagna del ventunesimo secolo, la montagna di kosen-rufu. Oh miei giovani! Andate a scalare con coraggio la montagna del ventunesimo secolo issando il vessillo della giustizia della Legge mistica, per costruire un’esistenza meravigliosa, pienamente soddisfatta». Egli ribadì con forza l’importanza di compiere un singolo passo alla volta, fino in fondo, per scalare la montagna del ventunesimo secolo, la montagna delle difficoltà che quotidianamente ci si trova ad affrontare, ed esortò i giovani a conquistare ogni giorno la propria completa vittoria. La fonte per riuscire a realizzare tutto ciò, è la recitazione di Gongyo e Daimoku. Disse inoltre che non bisogna mai perdere la speranza e che, qualsiasi cosa fosse accaduta, la loro fede non doveva essere sconfitta. In quelle parole Shin’ichi aveva impresso la sua profonda preghiera affinché ognuno divenisse una meravigliosa persona di valore del ventunesimo secolo. «Il bene supremo risiede nel formare persone di valore». Questa è una massima del grande educatore Hirose Tanso, originario di questa terra di Oita.

[37] Shin’ichi dichiarò che il cammino immutabile  Soka  è racchiuso nei versi: «Non dimenticate mai di andare avanti insieme alla gente», e che il vessillo della vittoria della rivoluzione umana sventola laddove si vincono grandi persecuzioni inflitte dal potere autoritario. Stabilendo inoltre l’obiettivo del 3 maggio 2001, li esortò a perseverare nei loro sforzi nella pratica buddista e a imprimere  nel cuore quella data in cui si sarebbe decisa la vittoria del secondo atto di kosen-rufu. I giovani, indissolubilmente uniti al loro maestro, si dedicavano con il massimo impegno a scrivere sotto dettatura, cercando di non tralasciare neanche una parola.
A partire dalle quattro del pomeriggio, Shin’ichi aveva in programma un incontro con alcuni rappresentanti dei membri. «Continueremo in seguito, una volta tornati!» disse, e si diresse in fretta verso il luogo dell’incontro. Intanto i giovani avevano iniziato a trascrivere in bella copia il componimento. Rientrato alle cinque e mezza, Shin’ichi cominciò immediatamente la correzione del testo e riprese la dettatura. Nuove parole fluivano, via via. Venne riscritta più della metà di un foglio di tredici righe, in bella copia. Il foglio bianco si era riempito di caratteri e i giovani dovevano scrivere sul retro.
Si avvicinava inesorabile l’ora della riunione dei responsabili giovani della prefettura di Oita, in cui sarebbe stata annunciata la poesia. Un po’ dopo le sei del pomeriggio la riunione si aprì con un coro di Kurenai no uta, poi si passò ai saluti dei responsabili di prefettura del Gruppo giovani insieme a quelli di due responsabili nazionali giunti appositamente da Tokyo: la vice segretaria generale del Gruppo giovani donne e il responsabile del Gruppo studenti. Finalmente, la correzione terminò durante il discorso del vice presidente. Shin’ichi disse: «Va bene così! Forza, andiamo! Portatemi il testo appena l’avrete trascritto».
Il discorso del vice presidente terminò. Erano quasi le sette di sera. In quel momento apparve Shin’ichi. Nella sala riecheggiarono grida di gioia e fragorosi applausi. Era l’inizio del canto di vittoria di giovani uomini fieri e coraggiosi e giovani donne dalla fede forte e pura che non si erano mai persi d’animo, lottando e trionfando sulle persecuzioni dei preti. Erano giovani valorosi che avevano lottato con tutte le loro forze aprendo una strada vittoriosa e avevano i visi raggianti. Ovunque si lotti coraggiosamente per realizzare kosen-rufu, nascono sorgenti da cui scaturisce una profonda gioia.
Alla riunione dei responsabili del Gruppo giovani della prefettura di Oita, Shin’ichi fece Gongyo insieme ai partecipanti e pregò per l’ulteriore crescita e felicità dei giovani compagni che avevano difeso a spada tratta la giustizia. Intanto, in un’altra stanza continuava l’opera di trascrizione in bella copia del componimento. Un giovane con la penna in mano disse: «Non c’è più tempo, va a finire che non riusciamo a presentare la poesia! Portiamola comunque, anche se non è completamente riscritta».
I giovani che si occupavano della trascrizione si precipitarono nella sala della riunione.
Shin’ichi si diresse al microfono e parlò del valore della vita di coloro che abbracciano il Gohonzon. Spiegò inoltre che si può parlare di fede erronea, di fanatismo e di fede corretta. Specificò che la fede di chi sfrutta la Gakkai per ottenere fama e profitti personali è la “fede erronea”, mentre quella di chi ignora la ragione, il buon senso e la convivenza sociale è “fanatismo”. Sottolineò poi che la “fede corretta” è quella di coloro che, armati sempre e ovunque di buon senso, vivono per la causa di kosen-rufu basandosi su una pratica assidua i cui cardini sono fede, pratica e studio, e dimostrano la prova concreta della vittoria della fede nella società, nel lavoro e nella vita personale. Shin’ichi parlò inoltre del modo di vivere che si dovrebbe adottare in gioventù: «La gioventù è un periodo pieno di preoccupazioni e sofferenze, ed è normale ritrovarsi in situazioni senza apparente via d’uscita, sentirsi disorientati e sprofondare in uno stato di crisi. È proprio in casi come questi che non si deve distogliere lo sguardo dalla realtà, ma decidere di risolvere sulla base della fede tali situazioni superandole attraverso la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo al Gohonzon. È affrontando tali sfide che si vince sul proprio karma e si realizza la rivoluzione umana. Questi sforzi si trasformeranno in preziosi tesori della gioventù».
Se non si affrontano sforzi e difficoltà da giovani, coltivando e affinando la propria personalità, non ci sarà crescita personale e la propria vita non potrà né fiorire né accogliere il “periodo autunnale della raccolta” che ne costituisce il coronamento finale.
Il poeta tedesco Friedrich Hölderlin scrive:

Dalla necessità sgorgò qualunque gioia.
È cresciuto nel dolore questo massimo amore che il mio cuore seppe:
il dolce richiamo dell’umanità.
(Le Liriche, Adelphi Milano 1977)

Shin’ichi giunse alla fine del suo discorso.
«Desidero affidare ogni cosa, per il futuro del ventunesimo secolo, a voi che fate attualmente parte del Gruppo giovani. Vivete intensamente l’epoca dorata della gioventù e trascorrete una vita nobile e ammirevole insieme alla Gakkai. Dichiaro che non esiste via migliore che conduca alla vittoria nella vita, della strada maestra Soka».

[39] Alla fine della sua guida Shin’ichi annunciò: «Ho scritto questo poema con il desiderio che ne facciate la vostra guida per accogliere il ventunesimo secolo. Ho appena finito di dettarlo e ora vi verrà presentato».
Koji Murata, vice responsabile dei giovani uomini originario di Oita che fino a qualche attimo prima si era occupato di trascrivere il poema, si alzò e iniziò a leggerlo.
«Un famoso scalatore una volta disse: “Perché scalo le montagne? Perché lì si ergono delle montagne…». Per un attimo nella mente di Murata apparve l’immagine di Shin’ichi che dettava come infondendo la sua vita in ogni parola, e che continuava instancabilmente a correggere la bozza pensando che tutto ciò che faceva era per i giovani.
Mentre continuava la lettura, pensando allo spirito del maestro gli si scaldava il cuore.

«Miei giovani discepoli, vivete, vivete, vivete intensamente la vostra vita per la grande Legge eternamente inestinguibile, per la preziosa missione per la quale siete nati in questo mondo».

Continuò a leggere, concentrando le sue energie in ogni parola: «So bene che l’epoca a venire vi attende con speranza, voi, giovani leader! Coloro che non hanno né fede né filosofia sono come una nave senza bussola. Passeremo infine da un’epoca di materialismo a un’epoca di spiritualità e, successivamente, a un’epoca della vita…».
Non avendo finito di trascriverlo in bella copia, giunto alla seconda parte Murata si ritrovò a leggere una bozza fitta di caratteri annotati uno sull’altro.
Da quel momento iniziò a leggere con estrema attenzione per non sbagliare.
«Desidero che diveniate i giovani leader del nuovo secolo che dalla mattina alla sera vivono sempre insieme al popolo e, creando un caloroso legame, respirano ed entrano in sintonia con esso. Io credo in voi. Nutro per voi le più grandi aspettative e un immenso affetto».
I giovani erano profondamente commossi e ascoltavano attentamente. Fissando lo sguardo sui partecipanti, Shin’ichi gridava in cuor suo: “Ora, da questa terra di Oita è iniziato un grande progresso verso il nuovo secolo. Da qui ha inizio una nuova, indomita storia della Soka Gakkai”.

[40] Era un lungo poema. La voce del giovane che lo leggeva, pur alterandosi per lo sforzo, era piena di vigore.

Per condurre un’esistenza significativa abbiamo bisogno di una profonda filosofia
su cui basare la fede.
Non c’è gloria più grande che abbracciare questo magnifico Buddismo del sole
mentre realizzate la vostra vita con gioia e passione!
Qui si trova
la vera essenza della gioventù.
La montagna del ventunesimo secolo
si staglia di fronte a noi! È già in vista!

Shin’ichi ascoltava il giovane che leggeva il poema pensando al nuovo secolo in cui sarebbe sorto il sole del trionfo dell’umanità e avrebbero riecheggiato le grida di vittoria dei compagni Soka.

Questo nuovo secolo appartiene a voi! Questa è la vostra alba!
Questo è il momento per voi di splendere! Questo è il grande palcoscenico sul quale realizzare il vostro magnifico potenziale
e consolidare tutto ciò che avete realizzato! Il 3 maggio 2001:
miriamo a quel memorabile giorno, quando insieme raggiungeremo la vetta!
Ricordate che i nostri sforzi
fino a quel momento determineranno il risultato di questa fase di kosen-rufu.

Poco dopo si concluse la lettura del poema, il cui titolo era Giovani, scalate la montagna di kosen-rufu del ventunesimo secolo.
Un grande, enorme applauso risuonò nella sala. Sembrava interminabile. Quell’applauso era l’espressione del giuramento di vivere fino alla fine dei propri giorni percorrendo la strada di maestro e discepolo.
Era la solenne partenza dei giovani Soka. Appena gli applausi si placarono, Shin’ichi disse: «Questo poema verrà interamente pubblicato sul numero di domani del quotidiano Seikyo. Verrà diffuso in tutto il paese, proprio da Oita, e desidero che imprimiate nel profondo del cuore il significato di tutto ciò. Propongo inoltre di costituire il “Gruppo dei giovani uomini di Oita per il ventunesimo secolo” di cui faranno parte i giovani uomini qui presenti, e il “Gruppo delle giovani donne di Oita per il ventunesimo secolo” con le giovani donne presenti. Cosa ne pensate?».
Scoppiò un nuovo applauso di approvazione, traboccante di gioia. Nello slancio vitale di quei giovani risuonava il grido di giustizia Soka, e si scorgeva la vittoria sul male ottenuta attraverso continui sforzi, mentre nel loro cuore ardeva un grande entusiasmo.
Conseguendo la vittoria affiorano la gioia e un’inesauribile vitalità che porta a un nuovo progresso. La causa principale di una nuova vittoria è la vittoria stessa. Vincere, vincere e ancora vincere: questo è il ritmo con cui avanza la Soka Gakkai.
«La giustizia è la vittoria dei giusti», affermò il grande scrittore Romain Rolland.

[41] Anche il giorno successivo, l’11 dicembre, Shin’ichi trascorse il suo tempo a dialogare, scattare foto ricordo e incoraggiare i compagni che fin dal mattino visitavano il Centro culturale di Oita.
Inoltre scrisse, una dopo l’altra, delle calligrafie commemorative per il “Gruppo dei centosettanta di Oita” che aveva incontrato di nuovo il 9 dicembre, e per celebrare il “Gruppo giovani uomini e giovani donne di Oita del ventunesimo secolo”, costituito il giorno prima.
Intanto domandava se non ci fosse ancora qualcun altro a cui potesse dedicare una calligrafia, profondamente convinto che ci fossero ancora molte persone da incoraggiare che si erano sforzate con grande impegno sopportando le terribili sofferenze causate dalla questione con il clero.
Non appena i responsabili di prefettura gli riferivano i nomi dei compagni che si erano distinti in quella dura lotta, Shin’ichi si dirigeva verso la vaschetta dell’inchiostro di china e scriveva, uno dopo altro, su dei shikishi [cartoncini quadrati usati per autografi e calligrafie, n.d.t.] i loro nomi, accompagnandoli con gli ideogrammi onorifici di sakura (ciliegio) per le donne, e zan (montagna) per gli uomini. Nel pomeriggio visitò un Centro culturale privato che si trovava nella città di Oita e incontrò alcuni responsabili della prefettura che gli chiesero dei consigli riguardo alla canzone di Oita che stavano componendo. Shin’ichi intervenne sul testo e offrì suggerimenti anche per la melodia. La sera, presso il Centro di Oita si tenne una cerimonia di Gongyo aperta a tutti.
Shin’ichi guidò la cerimonia e si impegnò a incoraggiare con tutte le forze e dare guide ai membri. In quell’occasione ricordò alcuni celebri personaggi storici legati alla terra di Oita.
«Otomo Sorin, che si convertì al Cristianesimo, lasciò in eredità importanti testi sulla civiltà occidentale. Lo studioso neo-confuciano Hirose Tanso, della seconda metà del periodo Edo, istituì l’Accademia neo-confuciana Kangi-en che produsse numerosi discepoli. Taki Rentaro lasciò ai posteri celebri canzoni e Fukuzawa Yukichi lasciò una università, come sua eredità. Quale sarà allora il nostro lascito come buddisti? Sarà quello di aver diffuso in tutto il mondo Nan-myoho-renge-kyo, la grande Legge della vita rivelata da Nichiren Daishonin, e di aver continuato a tramandarla per l’eternità. Questo sarà il nostro lascito. Quante sono le persone a cui ognuno di noi, nel corso della vita, sarà in grado di insegnare la Legge mistica aprendo la strada alla condizione vitale di felicità assoluta per l’intera umanità? Questa è la missione a cui siamo chiamati in  questa  esistenza.  Questo è l’unico modo per godere dell’ammirazione del Daishonin, il Budda originale, per creare ricordi indelebili per l’eternità e conquistare, come buddisti, il riconoscimento supremo. Sappiate che abbracciare la Legge mistica significa, essenzialmente, risvegliarsi a questa consapevolezza».

[42] Pregando in cuor suo per la felicità di tutti, Shin’ichi disse: «Le tempeste di attacchi  che si sono abbattute su di me non mi hanno scalfito minimamente, perché ero preparato fin dall’inizio. La mia preghiera è che tutti voi possiate trascorrere vite traboccanti di felicità godendo appieno dei grandi benefici che derivano dal Gohonzon. Questa è per me la gioia suprema. E sarà anche la prova, la testimonianza che sono riuscito ad adempiere al mio compito. Pregherò con tutto me stesso affinché nessuno di voi debba mai trovarsi a fare i conti con malattie o incidenti». Questo era il suo sincero desiderio.
Quella cerimonia di Gongyo fu uno scambio sincero, cuore a cuore. Il giorno dopo Shin’ichi si sarebbe spostato da Oita a Kumamoto. Quella sera si rivolse ai responsabili  centrali: «Domani voglio recarmi a Taketa,  a tutti  i costi. Prima di andare a Kumamoto voglio incontrare i membri di Taketa, perché sono quelli che hanno sofferto di più, che hanno versato lacrime amare per tutta questa situazione, più di chiunque altro».
Anche la mattina del giorno successivo, il 12 dicembre, Shin’ichi proseguì i suoi incontri con i responsabili del Kyushu e di Oita discorrendo sui loro progetti per lo sviluppo di kosen-rufu nella zona. Ascoltando i loro resoconti, Shin’ichi espresse il suo stato d’animo:
«Pensando a quanto devono aver sofferto i compagni di fede finora, il mio desiderio sarebbe di fare un giro andando a trovarli a casa personalmente, uno a uno, per incoraggiarli con tutto me stesso. Ma so che è difficile. Vi prego quindi di incoraggiarli uno a uno in mia vece, trasmettendo loro tutto il mio cuore».
La cosa importante è prendersi cura e far diventare felice ogni singolo membro, ogni nobile figlio del Budda che sta lottando per kosen-rufu. Vi prego di considerare questa come l’importante missione a cui siete chiamati in quanto responsabili».
Al Centro culturale di Oita si radunarono una moltitudine di membri, desiderosi di incontrare Shin’ichi almeno una volta. Egli fece Gongyo insieme a loro e poi, verso le dieci di mattina, si diresse verso Taketa a bordo del pullman della sede della Soka Gakkai, in modo da poter continuare a dialogare e lavorare anche durante il trasferimento.
Kosen-rufu è una lotta contro il tempo.

[43] La città di Taketa, situata a sud-ovest della prefettura di Oita, in passato era un fiorente centro urbano sviluppatosi intorno al castello di Oka.
Takeo Yamaoka, segretario generale di prefettura che si trovava sul pullman insieme a Shin’ichi, cominciò a parlare del castello.
«Si dice che questo castello sia stato costruito nel 1185 da Okata no Saburo Koreyoshi il quale, alla guida dell’esercito dei Minamoto, nel Kyushu, si era distinto in battaglia contro i Taira[ref] I clan Minamoto e Taira erano in conflitto tra loro per il dominio della corte [/ref]. Egli desiderava accogliervi Minamoto no Yoritomo[ref] Minamoto no Yoritomo: una volta sconfitto il clan rivale, divenne il primo shogun.[/ref] e il fratello minore Yoshitsune, con cui non era in buoni rapporti. L’altopiano su cui venne edificato era di per sé una fortezza naturale che si ergeva su una valle profondamente infossata e circondata dai monti, delimitata a sud dal fiume Shirataki e a nord dal fiume Inaba, perciò il castello era inespugnabile. Ma Koreyoshi, che non era riuscito ad accogliervi Yoshitsune, venne in seguito catturato e condannato all’esilio. Così il suo progetto di accogliere i due fratelli nel castello finì senza alcun risultato.
Nel quattordicesimo secolo il castello divenne la dimora del clan dei Shiga, poi si racconta che durante la battaglia Hosatsu che si scatenò nel 1586, e sino all’anno successivo, tra il clan della provincia di Bungo e quello di Satsuma, mentre le mura esterne venivano distrutte dal potente esercito di Shimazu della provincia di Satsuma, il giovane proprietario del castello, Shiga Chikatsugu, lottò con tenacia e riuscì a proteggere il castello.
In seguito alla costituzione delle prefetture che sostituirono i domini feudali nell’era Meiji (1868-1912), il castello venne demolito, ma le solide mura ricoperte di muschio rimaste in piedi ricordano tuttora i tempi passati.
Si dice inoltre che il compositore Rentaro Taki, che trascorse gli anni dell’adolescenza a Taketa, creò la famosa canzone Kojo no tsuki (La luna sulle rovine del castello) ispirandosi proprio al castello di Oka. In queste rovine, all’interno della seconda fila di mura difensive, oggi si trova una statua in bronzo di Taro Takiren, mentre dove era situato il maschio vi è una lapide con le parole della canzone, scritte da Bansui Doi.
Shin’ichi disse con profonda emozione: «La costruzione del castello di Oka fu in un certo senso la dimostrazione della lealtà di Okata Koreyoshi nei confronti di Yoshitsune. È davvero una bella storia. E il combattimento che Shiga Chikatsugu portò avanti con tutte le sue forze ricorda il coraggio con cui lottano fieramente i compagni di Taketa, non è così?».
Dai finestrini del pullman iniziavano a scorgersi le mura del castello di Oka che si ergevano in mezzo agli alberi. Shin’ichi compose una poesia.

Contemplando il castello di Oka in rovina sotto la luna,
elogio i compagni di Taketa
che lottano in difesa della Legge.

Lottando impavidi contro il potere dispotico rappresentato dall’abito monacale, i valorosi leader di Taketa avevano inaugurato l’epoca della religione della gente comune.

[44] Il pullman giunse al parcheggio presso le rovine del castello. Appena Shin’ichi scese dal pullman, alcuni membri accorsero gridando: «Maestro!».
«Grazie! Sono venuto apposta per incontrarvi, nobili eroi delle persone comuni!».
Tutti stringevano con forza la mano che Shin’ichi tendeva verso di loro. Le strette di mano di Shin’ichi erano molto energiche. Gli occhi dei vigorosi membri del Gruppo uomini, in un attimo, si riempirono di lacrime. Quegli uomini mostravano l’espressione della gioia suprema per aver resistito tenacemente, lottato e vinto sui maltrattamenti disumani inflitti loro con furbizia dai preti crudeli. Shin’ichi tenne un incontro con cinquanta rappresentanti presso un ristorante vicino al parcheggio e, mentre pranzavano e conversavano, ascoltò con attenzione i resoconti delle loro attività. In quel mentre venne a sapere che alcuni membri locali si erano radunati presso le rovine del castello: «Benissimo, andiamo a incontrarli!». Salì su una vettura insieme a due responsabili locali per raggiungerli e incoraggiarli.
Intanto, durante il tragitto, i due cominciarono a raccontare a Shin’ichi: «Facendo il possibile per proteggere la Legge, abbiamo sostenuto con tutte le forze il prete capo del tempio. Benché all’inizio parlasse di armonia tra clero e laici, improvvisamente cominciò a criticare e attaccare la Gakkai. Poi, di nascosto, cominciò a convincere i compagni ad abbandonare l’organizzazione».
In un settore, trentadue su quarantacinque nuclei familiari abbandonarono in un sol colpo la Gakkai. Un tale avvenimento spezzò il cuore dei membri. Sopportando un pesante senso di frustrazione, con tutto l’impegno andarono a incoraggiare a casa quei compagni che abitavano sparsi tra le montagne, determinando: «Non permetteremo mai più che i nostri compagni si allontanino dalla Gakkai, che abbraccia e protegge l’insegnamento corretto del Daishonin».
Un membro anziano del Gruppo uomini che si trovava in auto con Shin’ichi disse, mordendosi le labbra: «Queste non sono azioni da esseri umani…».
Shin’ichi annuì rivolgendogli un sorriso: «Lei ha dovuto sopportare tante avversità e preoccupazioni. Ma ha saputo attendere e contribuire alla magnifica rinascita di Taketa. Grazie di cuore per i suoi sforzi!».
Poi si inchinò davanti a lui. L’uomo non riusciva più a trattenere i singhiozzi.
Più dure sono le prove dell’inverno, più grande sarà la gioia di accogliere la primavera. Le fatiche e le avversità equivalgono alla gioia.

[45] Uno dopo l’altro i membri si accalcavano in mezzo alle rovine del castello di Oka. Gli uomini indossavano completi eleganti e salivano le scale di pietra con grande vitalità; i giovani camminavano con passo vigoroso portando sulle spalle gli anziani; le donne avanzavano con passo veloce e la fronte sudata, scambiandosi sorrisi luminosi. Shin’ichi a metà strada scese dall’auto e mentre iniziava a salire il pendio verso la seconda fila di mura, vide una decina di giovani uomini che lo aspettavano. Erano giovani valorosi che avevano lottato per proteggere fino in fondo i loro compagni dai complotti meschini di perfidi preti.
Shin’ichi stringeva vigorosamente la mano di ognuno, con parole di incoraggiamento. Quando arrivò all’interno delle rovine, si erano già radunate quasi trecento persone. Shin’ichi apparve tra la folla, e immediatamente si levarono voci gioiose e risuonò un applauso scrosciante.
«Sono venuto per incontrare tutti voi, per inaugurare una nuova partenza verso il ventunesimo secolo insieme a voi, preziosi e nobili compagni. Facciamo una foto ricordo tutti insieme, per celebrare il vostro trionfo nella storia di kosen-rufu, amici di Taketa».
Nella folla si intravedevano alcuni bambini, tra i quali un bimbo di circa due anni in braccio alla nonna, in prima fila. Shin’ichi pensò:
«Questo spettacolo, paragonabile a “un’opera narrativa emaki”[ref] Pittura arrotolata che riunisce testo e immagini, sviluppatasi tra l’XI e il XVI secolo. [/ref],  sul trionfo delle persone comuni, resterà eternamente impressa anche nei cuori dei più piccoli».
Un fotografo del quotidiano Seikyo guardò nell’obiettivo ma i membri erano davvero troppi per entrare nella foto, e così un altro fotografo dovette salirgli sulle spalle per riprendere l’intero gruppo. I volti di quei membri che avevano attraversato esperienze simili a “nubi nere”, lottando incessantemente contro le difficoltà, erano raggianti. Sopra le loro teste e nel cuore si estendeva un cielo magnificamente terso. La fotografia venne infine scattata.
Shin’ichi disse: «Visto che ci troviamo qui, nelle rovine del castello di Oka, cantiamo insieme la canzone Kojo no tsuki (La luna sulle rovine del castello)!».
Sotto la direzione del segretario generale di prefettura Takeo Yamaoka, ebbe inizio un immenso coro. Anche Shin’ichi cantò con tutta la voce che aveva.

Un banchetto si tenne nel castello, nella stagione della fioritura dei ciliegi.
Si passavano bicchierini da saké
con la luna riflessa sulla superficie…

Il cuore dei compagni fu sommerso da ondate di commozione.
Finché c’è fede, il sole della vittoria sorgerà infallibilmente.

[46] Takeo Yamaoka – che aveva diretto il coro dei membri con la canzone Kojo no tsuki – era già stato numerose volte
a Taketa e si era rivolto ai preti protestando coraggiosamente per il modo disumano in cui trattavano i compagni, mentre incoraggiava senza sosta i membri.
Ripensando agli sforzi instancabili compiuti in quelle circostanze avverse e agli incoraggiamenti che Shin’ichi infondeva con tutte le sue forze, sentì un forte calore salire dentro di sé. Il Buddismo è una strenua lotta in cui si vince o si perde, e la Legge di causa ed effetto è estremamente severa.
I preziosi figli del Budda che si erano impegnati per la causa di kosen-rufu sopportando stoicamente le tempeste di ostacoli e demoni, cantavano con grande passione, fieri e sicuri di sé, con le guance arrossate per la gioia. Mentre il coro cantava, nel suo cuore Shin’ichi si rivolse ai membri: “Voi avete vinto! Siete riusciti a proteggere fino in fondo la roccaforte di giustizia di kosen-rufu, da veri campioni Soka. Ora è il momento di compiere una nuova partenza! Partiamo insieme, verso la vetta del ventunesimo secolo!”.
Il coro finì di cantare. «Grazie!», esclamò Shin’ichi, e quando alzò le braccia in segno di vittoria per elogiare i compagni di Taketa, risuonarono potenti “Urrà!”.
“Urrà! Urrà! Urrà!”, urlavano tutti, levando vigorosamente le braccia. Le loro voci si unirono in un suono possente che sembrava riempire il cielo. Erano grida di vittoria che annunciavano l’alba dell’epoca della gente comune.
«Mai, finché avrò vita, dimenticherò questa giornata. State in buona salute!». Shin’ichi iniziò a camminare e numerosi compagni lo seguirono conversando allegramente. Nel cielo il sole invernale sembrava sorridere. Dopo un po’ Shin’ichi si fermò.
«Oggi anch’io scatterò una foto, campioni di Taketa, e imprimerò per sempre nella mia vita il viso di ciascuno di voi. Prendete dunque posto sulle scale…». Shin’ichi puntò verso di loro la macchina fotografica che aveva portato per riprendere il paesaggio, e scattò la foto. Sui loro volti affiorarono sorrisi di soddisfazione. Il castello in rovina, sotto la luna, aveva continuato a osservare la fugacità delle epoche che alternavano splendore e rovina.
Ora quelle rovine erano diventate una gioiosa cittadella di speranza sulla quale risplendeva il sole, dove spiravano gioiose brezze di eterna felicità e risuonavano canti di trionfo.

[47] Dopo aver impresso l’immagine di quei membri, Shin’ichi fece ritorno al parcheggio vicino al ristorante. Lì  avrebbe cambiato pullman per raggiungere Kumamoto.
Il parcheggio era gremito di persone che scendevano dall’altura su cui sorgeva il castello. Shin’ichi si mischiò tra i membri rivolgendo loro questo augurio: «Spero che tutti voi possiate godere di una lunga vita! Siate assolutamente felici!». Shin’ichi li incoraggiava stringendo la mano a ognuno. Poi salì sul pullman, che iniziò a muoversi.
«Arrivederci maestro!». «Grazie!».
«Oita non si lascerà sconfiggere!».
Con queste grida i membri salutavano Shin’ichi, agitando le mani.
Anche Shin’ichi, mentre il pullman si muoveva, salutava dal finestrino i membri agitando energicamente entrambe le mani. Il pullman si allontanò pian piano e giunse a una curva, e Shin’ichi prontamente si spostò verso i finestrini sul lato opposto per continuare a salutare i compagni di fede. Ciò che li univa era un invisibile, profondo legame. Era il legame della fede, il legame del giuramento dall’infinito passato, il legame di maestro e discepolo per kosen-rufu.
Era la prima volta che Shin’ichi visitava la prefettura di Kumamoto. Si diresse verso il Shiragiku hall, che si trovava presso il villaggio di Aso. Superato il confine con la prefettura di Oita, il pullman viaggiava verso la località di Asosan-roku.
Shin’ichi scorse in lontananza tre aquiloni che volteggiavano nel cielo.
Man mano che si avvicinava, cominciò a distinguervi chiaramente le immagini dipinte di un sole che sorge, di un leone e di una giovane aquila. Shin’ichi disse: «Sono sicuro che lì dove danzano quegli aquiloni si trova il Shiragiku Hall».
Verso le due di pomeriggio il pullman varcò il cancello principale del Centro culturale. Nello spiazzo antistante c’erano dei giovani che muovevano gli aquiloni, e uno di loro indossava la divisa da studente. Era un ragazzo delle scuole superiori.
Sceso dal pullman, Shin’ichi si rivolse ai responsabili che erano lì ad accoglierlo: «Mi scuso per tutte le difficoltà che vi ho arrecato. Forza allora! Che la lotta abbia inizio!».
Anche a Kumamoto una campagna di attacchi da parte dei preti meschini si era abbattuta come una furiosa tempesta sui membri, che sopportando ingiuste persecuzioni avevano lottato fino in fondo.
Ogni vittoria in questa lotta contro le funzioni demoniache che cercano di distruggere kosen-rufu non fa che imprimere un’ulteriore accelerazione al progresso di kosen-rufu.

[48] Shin’ichi non entrò subito nell’auditorium di Shiragiku: volle prima fare una foto commemorativa con alcuni rappresentanti dell’organizzazione locale, li ringraziò per gli sforzi sostenuti fino e si intrattenne con loro.
Poi fece chiamare lo studente delle scuole superiori che aveva sollevato l’aquilone e lo incoraggiò con tutto se stesso.
Si chiamava Yuto Honma ed era un ragazzo della terza superiore di una scuola pubblica della prefettura di Kumamoto.
«Ho visto l’aquilone – disse Shin’ichi. – Sono riuscito a scorgerlo bene anche da lontano. Chissà che freddo faceva! Ti ringrazio davvero tanto! Ti prego di danzare liberamente anche tu, come quell’aquilone, nell’immenso cielo del futuro che ti attende».
Dopo aver incoraggiato il ragazzo con queste parole, Shin’ichi entrò nell’auditorium.
Vi si svolgeva una cerimonia di Gongyo guidata dal presidente Eisuke Akitsuki.
Shin’ichi, che fece il suo ingresso a recitazione iniziata, non appena si accorse di un giovane uomo sulla sedia a rotelle presente in sala, si diresse immediatamente verso di lui. Si chiamava Hironori Nonaka ed era uno studente di prima superiore che era ricoverato presso un Istituto di cura a causa di una distrofia muscolare.
Mentre trascorreva le sue giornate afflitto dall’angoscia a causa della malattia, senza riuscire a intravedere alcuna speranza per  il suo futuro, aveva sentito l’esperienza di un giovane uomo che aveva vinto una meningite batterica. Da lì aveva preso la decisione di abbracciare la fede e aveva appena iniziato a impegnarsi seriamente nella pratica.
Anche Fumino, la madre del giovane, vedendo l’impegno con cui il figlio recitava Daimoku, decise di accogliere l’arrivo del maestro Yamamoto a Kumamoto con la realizzazione di uno shakubuku con Gohonzon.
Fino ad allora aveva evitato di parlare di Buddismo a coloro che sapevano di suo figlio. Infatti, anche se parlava dei benefici derivanti dal Gohonzon, temeva che, vista la sua situazione, non sarebbe stata in grado di convincere nessuno. Spronata però dall’atteggiamento del figlio, insieme a sua figlia aveva parlato con coraggio della pratica buddista a una madre che aveva il figlio ricoverato nello stesso Istituto, con la stessa malattia.
La risposta che ricevette fu inaspettata: «Sono rimasta colpita dall’atteggiamento con cui lei, senza abbattersi mai, continua a sostenere la lotta di suo figlio contro la malattia e racconta con gioia e ferma convinzione di quanto meravigliosa sia questa pratica». Così dicendo la signora decise di aderire alla Soka Gakkai.
Non esiste vita scevra dalle preoccupazioni. Piuttosto si può affermare che la vita è di per sé una lotta contro le preoccupazioni, contro il karma. La cosa importante è non allontanarsi mai dal Gohonzon, qualsiasi cosa accada. Ciò che conta è continuare a recitare Daimoku con fermezza, e lottare nutrendo sempre coraggio e speranza. Sono la forza, lo splendore, la nobiltà che siamo in grado di esprimere come esseri umani che conquistano la simpatia e l’ammirazione della gente.

[49] Shin’ichi si mise accanto a Hironori Nonaka e accarezzandolo lievemente iniziò a parlare: «Vivi con forza. Non esistono persone che non abbiano una missione da compiere. I vincitori sono coloro che non soccombono a se stessi».
Per la prima volta Nonaka ebbe l’impressione di aver ascoltato parole non di consolazione ma di incoraggiamento, che lo toccavano e lo stimolavano nel profondo della vita.
Poi, il giorno successivo, ricevette da Shin’ichi delle rose. Prendendo i fiori provò una profonda gratitudine per essere rimasto in vita fino a quel giorno. Aveva avuto la diagnosi di distrofia muscolare prima di iniziare le elementari, e il medico gli aveva detto che difficilmente sarebbe vissuto fino al sesto anno.
Andava a scuola dall’Istituto ospedaliero dove era ricoverato, ma poi si era iscritto a una scuola superiore per corrispondenza. Diciannove amici che erano ricoverati con lui erano morti uno dopo l’altro.
Dopo aver ricevuto gli incoraggiamenti di Shin’ichi, determinò: «Forse avrò una vita breve, ma voglio vivere ogni giorno con tutte le mie forze e realizzare totalmente la mia missione». Il serio impegno con cui Nonaka viveva e avanzava verso il futuro, con forza e pieno di vita nonostante la malattia, commoveva profondamente i compagni della sua età. Un giorno un liceo della sua prefettura, in occasione del festival culturale della scuola, gli chiese di tenere un discorso che egli intitolò “Il coraggio di vivere”, in cui parlò della lotta contro la malattia e delle sue aspirazioni.
In occasione della cerimonia di Gongyo presso l’auditorium di Shiragiku, a cui i membri potevano liberamente partecipare, Shin’ichi fece Gongyo insieme ai compagni e diede loro una guida in tono informale.
«Il Buddismo di Nichiren Daishonin è indispensabile per qualsiasi fase dell’esistenza. Un aereo quando decolla verso l’immensità del cielo è paragonabile alla gioventù; quando invece vola stabile e tranquillo, è come la maturità. Nel suo percorso potrebbe subire grandi oscillazioni e scossoni dovuti alla perturbazione atmosferica. Per poter volare in modo sicuro e procedere verso l’obiettivo finale, che è la felicità, gli sarà necessario carburante a sufficienza e un motore potente che lo renda capace di resistere a tali turbolenze, ovvero una grande forza vitale, la cui origine è la fede. In un aereo è importante inoltre la strumentazione che lo mette in grado di avanzare senza perdere quota, cioè una filosofia valida, che non è altro che il Buddismo di Nichiren Daishonin».

[50] Shin’ichi proseguì il suo discorso: «Per un aereo che ha continuato a volare lungo la sua rotta, paragonabile all’esistenza umana, prima o poi arriverà il momento di atterrare. Si dice che l’atterraggio sia la manovra più difficile per un pilota. Nella vita di una persona corrisponde alla fase finale, di completamento, il cui esito dipende da come l’aereo riesce a scendere sulla pista di atterraggio del “conseguimento della Buddità in questa esistenza”. La cosa fondamentale è come si vive questo periodo conclusivo, quale importanza diamo ai ritocchi finali della nostra esistenza. Vi prego dunque, anche con il passare degli anni, di mantenere uno spirito giovane e di infondere ogni giorno tutte le vostre energie nella causa di kosen-rufu e per la felicità delle persone. Lo spirito di ricerca, l’atteggiamento di sfidarsi continuamente e lo spirito giovanile vanno mantenuti per tutta la vita».
Shin’ichi terminò così il suo discorso: «Tutti questi crisantemi bianchi che adornano questo luogo, tutti i fiori esposti all’ingresso, accanto alle finestre, esprimono la vostra sincerità. Con un applauso vorrei trasmettervi la mia gratitudine e ammirazione per il vostro impegno. Se fosse possibile, vi chiederei di lasciare queste decorazioni floreali fino a Capodanno, in modo che possano rallegrare i visitatori».
Quel giorno Shin’ichi compose due poemi waka. Alle giovani donne della prefettura di Kumamoto scrisse:

Le giovani donne così pure, come il nome Shiragiku
che significa “crisantemi bianchi”, fanno brillare le pupille
al sole rosso della sera.

E ai compagni di Taketa della prefettura di Oita:

Sulle rovine del castello
dove risuona una musica
nel bagliore lunare,
come sono gioiosi i
sorrisi dei compagni di Taketa.

La delegazione di Shin’ichi lasciò l’Auditorium di Shiragiku, situato ad Aso, e arrivò al Centro culturale di Kumamoto, nell’omonima città, poco prima delle sei di pomeriggio. Senza un attimo di sosta si recò all’incontro previsto con i responsabili di prefettura.
Al termine della riunione disse: «Fatemi sapere, senza esitazione, se ci sono membri che io possa andare a incoraggiare, a casa o nei luoghi di lavoro. Il mio desiderio è di incontrare e visitare a casa anche un solo membro in più. Per poter compiere un grande balzo in avanti è vitale incontrare personalmente ogni nostro compagno di fede, ascoltare i suoi dubbi, le sue sofferenze, e dialogare con lui finché non arriva a una profonda convinzione. Con la certezza nel potere della fede è essenziale toccare e risvegliare le vite dei nostri compagni. Le guide personali sono dialoghi in cui lottiamo con tutto il cuore per rivitalizzare le persone nel profondo della loro esistenza».

[51] A mezzogiorno del 13 dicembre,  Shin’ichi tenne un incontro con una cinquantina di rappresentanti dei quattro Gruppi presso un caffè gestito da un membro, poi andò a visitare il Centro delle donne di Minami Kyushu, e rientrando al Centro culturale di Kumamoto fece scattare numerose foto ricordo con i membri che erano venuti in visita. In serata partecipò alla riunione dei responsabili di prefettura per il quinto anniversario del completamento della costruzione del Centro culturale di Kumamoto.
Nel corso della riunione, il responsabile di prefettura Koichiro Hiraga presentò la “dichiarazione di Kumamoto” che includeva la decisione di organizzare un festival culturale nel maggio dell’anno successivo, e il giuramento di compiere una nuova partenza verso il nuovo secolo.
Shin’ichi lodò per il loro impegno i membri della prefettura di Kumamoto e in particolar modo dei territori di Minamata, Yatsushiro, Hitoyoshi, Arao, Amakusa e Aso, e sottolineò l’importanza di unire gli sforzi in vista del conseguimento di kosen-rufu.
«È superfluo dire che per far avanzare il movimento di kosen-rufu bisogna dare la priorità al fatto che tutti i membri dell’organizzazione avanzino “respirando allo stesso ritmo”, in perfetta intesa. La crescita senza precedenti della Gakkai è stata possibile indiscutibilmente grazie al potere del Budda e della Legge insiti nel Gohonzon, ma anche perché tutti voi vi siete impegnati per far avanzare kosen-rufu nelle vostre comunità mettendo alla base la fede in perfetta unità. Per portare avanti le attività è fondamentale confrontarsi insieme, anche se ognuno ha il suo modo di pensare e a volte è difficile mettersi d’accordo. In questi casi bisogna sempre ritornare al motivo per cui si porta avanti un’attività. Ad esempio, per portare a destinazione senza incidenti numerosi passeggeri, il pilota e il personale di bordo di un aereo svolgono i propri compi ti pensando prima di tutto alla sicurezza. Se  si comportassero in modo irragionevole e rischioso, causerebbero sicuramente gravi incidenti. Anche l’obiettivo delle nostre attività è accompagnare con prudenza, senza incidenti, numerosi compagni, i figli del Budda, verso la terra di una felicità indistruttibile. È quindi indispensabile mantenere una visione d’insieme e riflettere attentamente su come aiutare i membri a condurre una vita gioiosa. Quando tutti condividono questo stesso obiettivo  e uniscono le loro forze “con la stessa mente”, in perfetta armonia, allora riusciranno a confrontarsi in modo  costruttivo  e a conseguire i loro scopi. Il mio maestro Toda soleva dire:
«Chi non riesce, sulla base della fede, a trovare un’intesa con gli altri, inevitabilmente resterà indietro e non potrà proseguire il cammino con loro”. Questa è una guida a cui prestare molta attenzione».

[52] Considerando che durante il periodo della questione con il clero vi erano stati responsabili che avevano creato scompiglio all’interno dell’organizzazione, Shin’ichi si soffermò sulle caratteristiche che accomunavano tali individui.
«Vi sono alcuni responsabili che vantandosi di essere miei stretti collaboratori o discepoli “speciali”, hanno arrecato disturbo a tutti voi. Ciò che hanno fatto, in definitiva, non è altro che ingannare i compagni di fede servendosi di me, alimentando un’immagine di se stessi che non corrisponde alla realtà. Ogni giorno ho  a che fare con membri di ogni genere, ma io ho sempre cercato di dare guide e incoraggiare tutti trattandoli allo stesso modo. Nel mondo della fede non esistono relazioni “speciali”. Per dirla tutta, ho affidato ogni cosa alle persone a me più vicine, all’ex presidente Jujo e all’attuale presidente Akizuki. Perciò non lasciatevi ingannare da coloro che millantano di essere miei stretti collaboratori o di avere un particolare legame con me. Vi prego di riuscire a smascherare questi impostori e di comprendere che un’affermazione del genere di per sé è segno che covano secondi fini. Il fondamento dell’unità per portare avanti kosen-rufu sta nell’unire le forze mettendo al centro il presidente della Soka Gakkai. Voglio chiarire questo anche per il futuro». Shin’ichi citò poi il passo del Gosho in cui Nichiren Daishonin afferma: «Anche una persona debole non cadrà se coloro che la sostengono sono forti, ma una persona di notevole forza, se si trova sola, potrebbe cadere lungo un sentiero accidentato» (RSND, 1, 531).
«La cosa importante nel portare avanti fino in fondo la propria fede – proseguì Shin’ichi – è la presenza di “buoni amici”, di buoni compagni. Anche una persona debole non crollerà se colui che la sostiene è forte. Al contrario, anche se una persona è abbastanza forte, se si trova da sola, in un sentiero irto di ostacoli cederà. Vorrei concludere quindi con la preghiera che ciascuno di voi, nessuno escluso, attraverso un solido legame che nasce dall’incoraggiamento tra compagni di fede, sia in grado di scalare fino in fondo la montagna di kosen-rufu del ventunesimo secolo».
Al termine della riunione dei responsabili di prefettura Shin’ichi si recò presso la redazione del giornale Seikyo, nell’ufficio di Kumamoto, all’interno dello stesso Centro culturale.
Desiderava infatti vedere la prima stampa del giornale che sarebbe uscito il giorno successivo, in cui era pubblicata la foto ricordo che aveva scattato con i membri presso le rovine del castello di Oka.
Sul pullman, durante il trasferimento da Taketa ad Aso, aveva chiesto al giornalista del Seikyo che quella foto venisse pubblicata il più grande possibile.

[53] Mentre attendeva presso la redazione di Kumamoto, venne consegnata a Shin’ichi la prima stampa del Seikyo del giorno successivo. Egli la sfogliò immediatamente e balzò ai suoi occhi la foto ricordo scattata con i compagni di Taketa, pubblicata in doppia pagina sulla seconda e terza del giornale. Succedeva raramente che una foto avesse una tale visibilità.
Era così grande da poter distinguere chiaramente il volto di ogni persona. In quella foto sembrava risuonare il grido di vittoria di quei fieri compagni.
Accanto alla foto spiccavano questi titoli: “Lunga vita, fortuna e felicità ai coraggiosi compagni di Taketa e Oita”; “Presso le rovine del castello di Oka, uniti nel cantare Kojo-notsuki (La luna sopra le rovine del castello)”; “Insieme al Gruppo dei trecento che hanno sopportato lacrime e umiliazioni”.
Rivolgendosi ai giornalisti presenti in redazione, Shin’ichi commentò: «È meravigliosa… Ha un impatto incredibile… sicuramente tutti saranno felici! Grazie infinite!».
Il giorno successivo, fin dal mattino presto, una gioia incontenibile si diffuse per tutta la prefettura di Oita. Quella foto era il meraviglioso ritratto del giuramento formulato dal maestro e dai discepoli Soka che avevano superato terribili avversità, di compiere insieme il lungo viaggio di kosen-rufu nel ventunesimo secolo. Molti dei compagni ritratti nella foto incorniciarono quella pagina del giornale e la custodirono con grande cura, come un prezioso tesoro di famiglia. E ogni volta che si ritrovavano ad affrontare sofferenze e difficoltà nel corso della vita, guardando quella foto pubblicata sul giornale si facevano forza e riuscivano a impegnarsi fino in fondo, tirando fuori tutto il loro coraggio.
Il giorno dopo, 14 novembre, Shin’ichi si recò anche nella prefettura di Fukuoka e visitò il Centro culturale di Kurume. Guidò una solenne cerimonia di Gongyo insieme ai membri lì riuniti, e dopo averli incoraggiati si recò per la prima volta al Centro culturale di Yame. Yame era la terra dove era incisa la storia dei pionieri di kosen-rufu: infatti, sia il primo presidente Makiguchi che il secondo presidente Toda l’avevano visitata durante la loro lotta per propagare la Legge.
Shin’ichi andò a trovare a casa il primo responsabile di capitolo di Yame  e si intrattenne a parlare con la sua famiglia. Poi visitò  un Centro  culturale  privato  nella  cittadina  di Chikugo, che era il centro di riferimento per le attività nella città. Lì fece Gongyo e dialogò con alcuni rappresentanti di Chikugo, e con alcuni responsabili di Fukuoka.
Shin’ichi desiderava ribadire che nel cammino di kosen-rufu ci attendono avversità inimmaginabili, ma in questi momenti la cosa più importante è la presenza e l’atteggiamento dei responsabili. Come afferma il Gosho: «In una battaglia il generale è l’anima per i soldati e se il generale si perde di coraggio, i soldati diventeranno codardi» (RSND, 1, 545).

[54] Parlando di Winston Churchill, ex primo ministro britannico, Shin’ichi affrontò il tema del comportamento dei responsabili. Durante la Seconda guerra mondiale, la Germania nazista di Hitler bombardò la città di Londra, la capitale inglese.
Churchill si recò nell’area devastata con aria imperturbabile e il sigaro in bocca, e mentre camminava mostrava le dita a “V” per indicare vittoria, un segno che incoraggiò il suo popolo.
«Churchill possedeva la forte convinzione che, nonostante quel bombardamento, Londra non sarebbe stata annientata e l’Inghilterra non si sarebbe arresa. Tanti londinesi riuscirono a recuperare le forze grazie al suo atteggiamento risoluto. La determinazione si propaga come un moto ondoso, la convinzione crea una profonda risonanza e il coraggio si diffonde facendo ardere il coraggio in altre persone. Inoltre, nei cittadini che avevano visto il modo di agire di Hitler crebbe un forte risentimento verso colui che consideravano uno sterminatore senza pari, insieme alla volontà di non lasciarsi sconfiggere dalla Germania nazista governata da un tale individuo. Quei sentimenti possono essere paragonati a una fiamma di giustizia che fu accesa da persone di buon senso che anelavano alla pace. Coloro che in questo momento attaccano e cercano di distruggere la Gakkai che difende la giustizia, pur fingendo abilmente di essere persone virtuose, non sono altro che ignobili e irragionevoli distruttori della Legge. Bisogna assolutamente smascherare questi  individui  e sconfiggerli, altrimenti non potremo aprire nessuna strada di kosen-rufu. Qualunque sia la persecuzione che dovrete affrontare voi responsabili, continuate ad avanzare sul cammino della vostra missione con atteggiamento imperturbabile, con una convinzione salda come la roccia e la determinazione di vincere a ogni costo, così tutti i membri potranno tranquillizzarsi e farsi coraggio. Ai responsabili sono richiesti i seguenti requisiti: essere persone dalla forte fede e convinzione. Persone sincere, che possano attrarre gli altri grazie alle loro qualità. Essere in buona salute, prendere energicamente la guida dell’organizzazione ed essere attenti a mantenere un corretto stile di vita. Nel lavoro, bisogna essere una presenza luminosa. La prova concreta nella società appare infatti come una luce emanata dalla propria leadership. Bisogna inoltre guidare sempre la propria organizzazione con imparzialità e buon senso.
Avanzate dunque imprimendo tutto ciò nel vostro cuore»

[55] Rientrato al Centro culturale di Kumamoto la sera del 14, la mattina seguente Shin’ichi invitò alcuni responsabili delle prefetture di Nagasaki e Saga per discutere insieme sulle attività future, e nel pomeriggio organizzò una recitazione di Daimoku a partecipazione libera.
Intervennero membri dalla città di Kumamoto, ma anche dai Centri di Yatsushiro, Hitoyoshi e Minamata dell’area di Jonan, da Amakusa, insieme a rappresentanti delle prefetture di Kagoshima, Saga, Nagasaki e Fukuoka, che contribuirono a una recitazione solenne e gioiosa. I membri provenienti dall’area di Jonan e da Amakusa arrivarono in pullman disposti in fila, con il cuore traboccante di gioia.
In queste regioni c’erano responsabili che cadendo vittime dei complotti dei preti infidi, avevano abbandonato la Gakkai per entrare nell’organizzazione clericale (danto).
Tali individui, che fino al giorno prima avevano proclamato la loro gratitudine alla Gakkai, una volta strumentalizzati dai preti che approfittavano della propria autorità, cominciarono a coprire di ingiurie la Gakkai e a incitare i membri a lasciare l’organizzazione.
I membri trascorrevano i giorni con il cuore straziato dal dolore e dalla frustrazione pensando: “Se volessero degli affiliati ai loro templi, dovrebbero impegnarsi nello shakubuku! E invece prendono di mira i membri della Gakkai dal carattere debole e con una comprensione ancora limitata dell’insegnamento buddista, e li spingono a lasciare la Gakkai per affiliarsi ai templi! Sono cose che possono fare solo dei vigliacchi, non delle persone di fede!” Provavano dentro di sé una collera furiosa, e tuttavia tacevano per non compromettere l’unità tra monaci e laici.
Quella situazione irragionevole e ingiusta era durata sin troppo, fino a far pensare che non ci fosse altra via che la sopportazione.
I membri continuavano a recitare Daimoku cercando di resistere, con il desiderio che il movimento di kosen-rufu avanzasse e si facesse luce su ciò che era corretto e ciò che era erroneo. In quelle condizioni si facevano forza pensando: “Creiamo ancora una volta quella Gakkai libera e piena di luce!”, e si dedicavano alla diffusione del Buddismo.
Ma le cose cominciavano a muoversi, e dopo un lungo periodo di preoccupazioni e angoscia poterono finalmente volgere lo sguardo verso un’alba di speranza accogliendo la visita di Shin’ichi a Kumamoto.
I membri affluivano con coraggio verso il Centro culturale di Kumamoto. Nel cuore dei compagni che avevano affrontato e vinto difficili battaglie c’era la figura solenne del maestro. Shin’ichi voleva incontrare quei membri che avevano continuato a lottare allo stremo delle forze per incoraggiarli uno a uno, avvolgendoli in un caloroso abbraccio.
Anche se distanti, a prescindere dagli avvenimenti, maestro e discepolo che lottano insieme per kosen-rufu sono uniti da un legame indistruttibile.

[56] Quella recitazione di Daimoku a partecipazione libera diventò una nuova partenza colma di speranza. All’inizio il responsabile di Kumamoto e i rappresentanti dei vari Gruppi della prefettura rivolsero i loro saluti, poi furono adottate le “dichiarazioni” di Amakusa e Jonan, che esprimevano il voto di promuovere kosen-rufu nelle rispettive comunità.
Nella “dichiarazione di Amakusa” si affermava: «Nel corso della storia, Amakusa [nota per la rivolta di Shimabara, nel 1637,  conclusasi con la decapitazione degli insorti n.d.t.] è stata una terra tragicamente infelice. Ma ora noi promettiamo di impegnarci insieme per l’edificazione del regno felice di Amakusa, basandoci sul profondo insegnamento buddista di Nichiren Daishonin».
«Noi, “Amakusa Shiro” [capo della rivolta di Shimabara n.d.t.] della Legge mistica, promettiamo in questa sede di fare della nostra terra un modello di kosen-rufu, con una fede sempre animata da spirito giovanile».
In seguito salirono sul palco i responsabili delle varie prefetture. Quello di Kagoshima rese noto che l’anno dopo sarebbe stata completata la costruzione del Centro culturale di Kagoshima, e il responsabile di Saga annunciò che in primavera si sarebbe tenuta una riunione generale dell’amicizia con la partecipazione di ventimila persone. Il responsabile della prefettura di Nagasaki riportò la notizia del completamento del Centro culturale di Isahaya prevista nella primavera dell’anno seguente.
Shin’ichi, che nell’entusiasmo generale si era diretto verso il microfono, disse che prima di Kumamoto si era recato a Oita, dopo tredici anni dalla sua prima visita, e parlò delle battaglie condotte dall’armata Nakatsu di Oita durante la ribellione di Satsuma.
«Nel 1887, le truppe di Saigo Takamori [samurai del feudo di Satsuma n.d.t.] e quelle del governo Meiji si scontrarono in una cruenta battaglia a Tabaruzaka, dove Saigo Takamori venne sconfitto. Intanto a Nakatsu, città della prefettura di Oita, alcune decine di volontari si raccolsero intorno a Masuda Sotaro dando origine all’armata Nakatsu. Essi si unirono alle truppe di Saigo ad Aso, riportando splendide vittorie, ma alla fine furono sconfitti dalle truppe governative sacrificando la propria vita in una battaglia eroica, ma davvero tragica.
Nel progresso del movimento di kosen-rufu non dovrà esserci una sola vittima, questo è il mio credo, la mia determinazione. Nelle guerre è sempre il popolo a soffrire di più, a essere spinto nella più profonda angoscia. Lo spirito di Nichiren Daishonin e il movimento della Soka Gakkai si basano sul principio che tali sofferenze possono essere trasformate in un cammino di speranza e felicità».
Una strofa del poema composto da Shin’ichi, intitolato Il popolo, recita così:

Io lotterò fino a quando
la tua mano ruvida tremerà d’emozione e in questo mondo conquisterai
la gioia della vita che illuminerà il tuo volto innocente.

[57] Con voce vibrante di convinzione, Shin’ichi disse: «Se viviamo dediti alla causa di kosen-rufu, consacrandoci alla diffusione del Buddismo come insegnano le scritture buddiste e gli scritti del Daishonin, inevitabilmente le avversità faranno a gara per ostacolarci. Tutte le difficoltà che abbiamo affrontato finora si sono manifestate proprio perché siamo praticanti del Sutra del Loto. Tuttavia, come viene spiegato nel trattato L’apertura degli occhi, difficoltà “equivale” a conseguimento della Buddità. Quando ci impegniamo per la causa di kosen-rufu e di conseguenza si presentano avversità, la fede è la forza che ci permette di utilizzarle per compiere un grande balzo in avanti, verso una felicità ineguagliabile e una vita magnifica. Anche quando ci sembra di aver esaurito tutte le risorse o subiamo delle sconfitte nella vita personale, noi abbiamo comunque il Gohonzon. Se non ci lasciamo sconfiggere nella fede, alla fine vinceremo infallibilmente. Anzi, potremo trasformare tutti gli sforzi e le fatiche in un patrimonio da utilizzare in futuro per la nostra vita. Non si può affermare che una vita tranquilla sia per forza felice. Al tempo stesso, un’esistenza non può essere giudicata infelice perché si incontrano difficoltà. Se riusciamo costruire un’individualità forte, che non si arrende in alcuna situazione, potremo superare le tempeste delle avversità tranquillamente, come se stessimo piacevolmente cavalcando le onde. La fede e la pratica buddista esistono per sviluppare questa capacità. Vi prego dunque, indipendentemente dalle avversità che affrontate, di non lasciarvi prendere dal pessimismo e di vivere fino in fondo la vostra vita basandovi su una forte convinzione, con gioia e allegria. Pensando a Kumamoto, mi viene in mente la famosa Canzone di Tabaruzaka (La salita  di Tabaru),  ma nella  vita  ci sono tanti tipi di salite. Anche per realizzare kosen-rufu si presentano davanti a noi strade impervie, difficili da superare. Ma noi che viviamo per la missione di kosen-rufu dobbiamo a ogni costo valicare ogni salita che ci presenta il nostro karma, una a una. Questa lotta è la vita, è la fede. Per una piccola salita non dovete assolutamente scoraggiarvi.
Nella Canzone di Tabaruzaka c’è questa frase: “Il bel giovane, abile a cavalcare il suo destriero, con la spada insanguinata nella mano destra e le redini nella sinistra”.
Ma noi vogliamo affidare l’epoca che verrà ai nostri fieri successori giovani che hanno “la compassione nella mano destra e la profonda filosofia della vita nella sinistra”».
In conclusione, Shin’ichi disse: «Prego dal profondo del cuore affinché i compagni di Jonan e Amakusa percorrano una vita gloriosa e colma di buona fortuna, sempre più uniti, dedicandosi assiduamente alla pratica buddista».

[58] Non appena Shin’ichi ebbe finito di parlare, un applauso scrosciante risuonò per la sala. Erano presenti  tra gli altri numerosi compagni provenienti dalle zone di Jonan e Amakusa i quali, asciugandosi le lacrime con le guance rosse per l’emozione, quasi alzandosi in piedi continuavano ad applaudire pieni di determinazione. La recitazione si concluse tra la commozione generale.
Non appena usciti dal Centro culturale di Kumamoto, i partecipanti si diressero in fretta verso il parco Icchobata, a due minuti dal Centro culturale, dove su proposta di Shin’ichi era in programma una foto commemorativa. Nel parco era stata allestita un’impalcatura. Non sarebbe stato infatti possibile abbracciare in un’unica foto una tale quantità di membri, quasi millecinquecento, se non da una postazione molto elevata.
Quando tutti furono finalmente riuniti nel parco, arrivò Shin’ichi.
Il clima mite faceva presentire la primavera.
«Forza allora! Scattiamo insieme questa foto!» disse Shin’ichi. «Voi avete resistito fino in fondo affrontando ogni prova, avete lottato e avete vinto. Siete i veri leoni! Facciamo insieme una bella foto che celebri una meravigliosa partenza. Farò in modo che questa foto appaia sul giornale Seikyo il più grande possibile».
Alle parole di Shin’ichi si levò un grido di gioia. Shin’ichi lanciò una proposta: «Tutti voi avete magnificamente superato l’impervia salita delle difficoltà, e la primavera della vittoria si è finalmente aperta di fronte a voi. Forza allora! Cantiamo in coro tutti insieme, con orgoglio, la Canzone Tabaruzaka». Questa canzone era l’inno di Kumamoto, era l’orgoglio di quella terra. Un canto solenne e vigoroso risuonò dappertutto.

La pioggia cade bagnando l’uomo e il cavallo. L’insormontabile salita di Tabaru,
il bel giovane abile a cavalcare il suo destriero, con la spada insanguinata nella mano destra, e le redini nella sinistra.

Tutti cantavano a piena voce ripensando alle guide che Shin’ichi aveva dato loro durante quell’incontro e giurando di superare qualsiasi impervia salita si fosse presentata lungo il cammino. I loro occhi ardevano di determinazione.
La determinazione ha il potere di richiamare la vera forza che è in noi.

[59] Il canto brioso e traboccante di gioia della canzone Tabaruzaka si propagò nel cielo limpido. Nei compagni di Kumamoto che cantavano con passione, questa canzone riportò alla mente e spazzò via il ricordo di quei giorni di lotte serrate con i preti della Nichiren Shoshu, e della loro tenacia nel sopportare quella terribile situazione.
Ora tutti assaporavano la gioia della vittoria. Shin’ichi si unì al coro, ringraziando e congratulandosi ripetutamente in cuor suo con questi compagni per l’intrepida lotta.

Finché non conquistiamo il nostro obiettivo, il nostro corpo è troppo prezioso.
Non ci lasceremo uccidere.

Al termine della canzone Shin’ichi propose:
«Il nostro grido di vittoria si è levato alto nel cielo! Abbiamo meravigliosamente superato la salita di Tabaru! Lanciamo tutti insieme tre “urrà” per celebrare la vostra grande vittoria e la nuova partenza dell’organizzazione di Kumamoto verso il ventunesimo secolo!».
Tutti levarono le braccia e con il petto in fuori, quasi a voler toccare il cielo gridarono a squarciagola: «Banzai! Banzai! Banzai!».
Il fotografo immortalò la scena. A quella foto scattata a Kumamoto venne dato grande risalto sul Seikyo del 17 dicembre, in seconda e terza pagina.
Un altro ritratto che come un dipinto emaki raccontava il grido di vittoria per kosen-rufu di semplici persone comuni. Quello stesso giorno Shin’ichi dedicò una poesia ai rappresentanti delle organizzazioni di Jonan e Amakusa.

Nobili sono gli amici
che hanno sopportato fino in fondo le tempeste furiose
a sud del castello di kosen-rufu.

Non dimenticherò mai i sorrisi felici di giovani e anziani di Amakusa che vivono nobilmente per kosen-rufu.
Al termine di quella serie di guide nel Kyushu, durata nove giorni, Shin’ichi fece ritorno a Tokyo. Era il 16 dicembre. Il 22 dicembre partecipò alla cerimonia di Gongyo con i rappresentanti delle aree di Odawara, Kanagawa e Gotemba di Shizuoka, presso il Training center di Kanagawa. Anche in queste zone i membri erano stati diffamati dai preti meschini che avevano riservato loro un terribile trattamento. Nonostante ciò, questi compagni che vivevano in nome della relazione maestro e discepolo non si erano mai lasciati sconfiggere.
La relazione maestro e discepolo è il pilastro del nostro spirito.

[60] Girando per tutto il paese Shin’ichi incoraggiava i compagni che soffrivano a causa della situazione caotica creata dai preti dello Shoshinkai, determinando in cuor suo di prepararsi insieme a loro per una nuova partenza verso il ventunesimo secolo.
Le città di Odawara e Gotemba si trovano rispettivamente nelle prefetture di Kanagawa e Shizuoka, ma nell’Epoca Edo (1603-1868) facevano entrambe parte del feudo di Odawara. Inoltre, i compagni delle due aree sono sempre stati orgogliosi di trovarsi vicino al Monte Fuji, la montagna più alta e più bella del Giappone. Nell’agosto del 1975, quando i membri di Odawara organizzarono un incontro nella stagione dei susuki [pianta ad alto fusto tipica della regione, n.d.t.] di Hakone, invitarono dei rappresentanti di Gotemba e nel mese successivo, alla “Riunione dell’amicizia delle famiglie di Gotemba” furono invitati dei rappresentanti di Odawara.
Le tempeste furiose scatenate dalla questione con il clero imperversavano ma quei compagni, incoraggiandosi l’un l’altro, andavano avanti lungo la strada impervia di kosen-rufu pensando: “È stata la Gakkai a trasmetterci la fede nel Buddismo!”.
«La dottrina dei tremila regni in un singolo istante di vita […] è particolarmente profonda. Se la propagate, i demoni sorgeranno certamente. Se così non fosse, non ci sarebbe modo di sapere che questo è il vero insegnamento» (RSND, 1, 446). Non gli permetteremo di sconfiggerci!».
Percorrendo fieri la strada di maestro e discepolo, i membri si erano radunati al Training center di Kanagawa. Il cielo era terso, di un azzurro luminoso.
Al di là del Monte Gairin di Hakone, si profilava nitido il Monte Fuji coperto di candida neve. Tutti insieme, con le braccia intrecciate sulle spalle dei compagni, cantarono la canzone Il Monte Fuji.

Con la cima che spunta dalle nubi, domina gli altri monti in ogni direzione…

L’entusiasmo risoluto dei compagni di Odawara e di Gotemba ricordava proprio il Fuji maestoso e solenne. Quel giorno Shin’ichi offrì ai compagni due poemi waka:

Noi che volgiamo lo sguardo verso il Monte Fuji dalla corazza abbagliante di neve,
aspiriamo alla sua maestosità.
Procedete eternamente, senza limiti, verso
kosen-rufu,
e non temete le salite irte di ostacoli della vita reale.

Nonostante i numerosi impegni di fine anno, Shin’ichi si recò nelle circoscrizioni di Itabashi, Koto, Setagaya e Edogawa di Tokyo, e anche al Centro culturale di Kanagawa.
Nel Gosho si legge: «Se ti fermi a metà strada non potrai mai far scaturire il fuoco dalla pietra focaia» (RSND, 1, 283).
Le strade di kosen-rufu potranno essere aperte solamente attraverso attività a cui ci si dedica totalmente e senza sosta.

[61] L’ardente sole della gioventù sorge infuocato, lacerando le tenebre della notte. I giovani, con gli occhi limpidi e i sorrisi allegri, pieni di spirito combattivo e traboccanti di energia, sono la nostra speranza. Quando un giovane si alza con fierezza, allora giunge l’alba della nuova epoca.
Era il 1982. La Soka  Gakkai  aveva  stabilito che quell’anno fosse l’Anno dei giovani, e aveva dato il via a una nuova, entusiasmante partenza verso il ventunesimo secolo.
La mattina del primo dell’anno, Shin’ichi ammirava dal Centro culturale di Kanagawa l’alba che rischiarava il cielo d’oriente.
«Finalmente il sipario sull’epoca dei giovani si è alzato!». Era ciò che avvertiva ogniqualvolta si recava in qualche zona del paese. I giovani che Shin’ichi aveva cresciuto e forgiato erano vigorosi come giovani aquile, e ora ardevano della determinazione di dispiegare con forza le loro ali verso l’orizzonte del nuovo secolo.
«Miei compagni della Soka! Ora è il momento! Ora è il momento di lottare. Creiamo adesso, insieme ai giovani, la marea montante di kosen-rufu!».
In occasione del primo dell’anno, Shin’ichi compose una poesia waka:

All’orizzonte della propagazione della Legge mistica scorgo una montagna che risplende dorata come il sole del mattino.
Prego per la sicurezza dei miei nobili compagni che hanno superato continue,
impervie montagne.
La gioia di poter consacrare questo corpo mortale alla propagazione della Legge,
si inciderà eternamente nella nostra storia.

Per celebrare il Capodanno, presso il Centro culturale di Kanagawa si tennero cerimonie di Gongyo in cinque diverse sale, all’ottavo, al settimo, al quinto e al terzo piano, più al secondo interrato.
Shin’ichi, in abito elegante, visitò tutte le sale e presenziò a una decina di cerimonie incoraggiando i partecipanti. Aveva deciso in cuor suo di fare dell’anno che iniziava, quello decisivo verso la vittoria nel nuovo secolo.
Giunse alla conclusione che l’unico modo era immergersi in prima persona tra i compagni di fede, continuare a dialogare con loro, e guidarli e ispirarli con il suo stesso esempio.
Un generale coraggioso può essere forgiato solo da un altro generale coraggioso.
Nel pomeriggio i membri del Club di calcio della scuola superiore Soka di Tokyo si recarono al Centro culturale a trovare Shin’ichi, il fondatore della scuola.
La squadra aveva vinto il torneo preliminare e avrebbe preso parte al torneo nazionale di calcio delle scuole superiori come squadra rappresentante del gruppo B di Tokyo.
Subito dopo la cerimonia di apertura del torneo, presso lo stadio nazionale di Tokyo, i ragazzi arrivarono al Centro culturale di Kanagawa per portare il loro resoconto a Shin’ichi.

[62] Shin’ichi scattò una foto ricordo insieme ai membri della squadra di calcio della scuola superiore Soka. Era la prima volta che la loro squadra prendeva parte al torneo nazionale. Shin’ichi disse loro: «Giocate come al solito, sentendovi a vostro agio». I ragazzi, che erano tesi per il torneo, si sentirono subito alleggeriti della pressione eccessiva che portavano sulle spalle. Shin’ichi si rivolse ai presenti dicendo: «Se questi ragazzi dovessero perdere, vi prego di sorridere insieme allegramente e di incoraggiarli. Se dovessero vincere, vi prego di piangere insieme a loro versando lacrime di felicità».
Il giorno successivo, la scuola superiore Soka affrontò la prima partita del torneo. La squadra avversaria era la rappresentante delle scuole della prefettura di Oita. Quel giorno era anche il compleanno di Shin’ichi, che compiva 54 anni. I giocatori si promisero l’un l’altro: «Festeggiamo il compleanno del fondatore della nostra scuola con una bella vittoria nella partita iniziale del torneo!». Ciascun membro della squadra riuscì a esprimere più del solito tutto il suo valore. Fu una partita in cui spiccò il loro gioco di squadra.
Il portiere, che alla fine dell’anno precedente si era infortunato a un legamento del ginocchio sinistro durante l’allenamento, giocò con una vistosa fascia e difese con tutto se stesso la porta, pur sanguinando dal naso.
La partita non si decise facilmente e finì zero a zero. Si passò ai rigori.
Fu una sfida che brillava dello spirito indomito della scuola Soka.
La partita fu trasmessa anche in televisione. Sullo schermo passarono i volti fieri dei giocatori che cantavano in coro, con orgoglio e passione, l’inno del dormitorio della scuola,  Il verde che fiorisce rigoglioso (che divenne poi l’inno delle scuole medie e superiori Soka).
Il 4 gennaio si giocò la seconda partita.
La scuola avversaria era la rappresentante della prefettura dell’Hokkaido. Al termine di una partita serrata, i ragazzi vennero sconfitti per uno a zero, ma riuscirono a mostrare tutto il loro spirito combattivo nonostante fosse la prima volta che giocavano nel torneo.
L’attaccante della squadra avversaria dell’Hokkaido era un membro della Soka Gakkai, uno studente delle scuole superiori.
Al termine della partita corse verso l’allenatore della scuola Soka. Fece un inchino, lo ringraziò e si presentò. I due si strinsero la mano.
La scena suscitò un applauso sugli spalti.
«Durante il torneo farò del mio meglio per vincere anche in nome della scuola superiore Soka» disse il ragazzo.
Era un giovane dall’aspetto vivace. Era un’altra pagina di gioventù che si scriveva nella vita di quei ragazzi.

[63] A capodanno, al Centro culturale di Kanagawa Shin’ichi prese parte alle cerimonie di Gongyo della mattina e del pomeriggio e poi si diresse verso la prefettura di Shizuoka.
Il 2 gennaio partecipò ad alcune cerimonie della Nichiren Shoshu presso il tempio principale. Il 3 incoraggiò presso il Training center dell’omonima prefettura i rappresentanti di Shizuoka. Il 4 e il 5 condusse il corso degli educatori di inizio anno. Con lo slancio di un aereo al decollo, Shin’ichi aveva iniziato il nuovo anno al massimo delle sue energie.
Il 9 gennaio prese parte, insieme al presidente Eisuke Akizuki, alla cerimonia di Gongyo del Gruppo studenti scuole superiori dell’area metropolitana di Tokyo, presso il Centro culturale di maestro e discepolo, nella sede della Soka Gakkai.
In questa occasione, assieme a tutti i presenti, Shin’ichi rivolse le sue più profonde preghiere al Joju Gohonzon, il Gohonzon custodito dalla Soka Gakkai “per il conseguimento del grande voto di kosen-rufu e la compassionevole propagazione della grande Legge” che Josei Toda aveva fatto iscrivere per la realizzazione di kosen-rufu nel mondo.
Mentre recitava Daimoku, nella mente di Shin’ichi riaffiorò vivido il ricordo di sedici anni prima quando, nell’ottobre del 1965, aveva consegnato in quella stessa sala a ciascun responsabile di capitolo del Gruppo studenti delle scuole superiori le nuove bandiere appena create.
Molti dei membri riunitisi allora erano divenute figure centrali tra i giovani uomini e le giovani donne, e ora si distinguevano sul meraviglioso palcoscenico di kosen-rufu. Il suo cuore gioiva al pensiero che, come loro, anche i membri presenti in sala sarebbero divenuti  i pilastri della Soka Gakkai e avrebbero retto sulle loro spalle le sorti del ventunesimo secolo.
«Nella Soka Gakkai i giovani leoni successori stanno crescendo uno dopo l’altro. Il futuro è solido». Questa certezza era fonte di coraggio per Shin’ichi.
Egli decise in cuor suo di formare e incoraggiare ancora di più, con tutte le sue forze, i giovani uomini e le giovani donne, gli studenti e i membri delle scuole medie, superiori ed elementari.
Dopo la cerimonia di Gongyo fu scattata una foto con tutti i presenti e Shin’ichi espresse i suoi migliori auspici per il futuro di questi meravigliosi giovani. Fece poi una foto commemorativa con i rappresentanti del Gruppo futuro. Al termine della cerimonia si recò al Centro per la pace di Meguro e tenne dei colloqui con alcuni rappresentanti delle circoscrizioni di Meguro e Shinagawa di Tokyo. A Meguro, infatti, si trovava il tempio di riferimento per le attività dello Shoshinkai, e i membri avevano condotto una lotta serrata contro quei preti meschini. «Andiamo a incoraggiare i nostri compagni che hanno sostenuto una lotta tanto ardua!». A partire dall’inizio dell’anno, Shin’ichi si recò nelle zone dove la battaglia era stata più dura.

[64] Durante i colloqui presso il Centro della pace di Meguro, Shin’ichi ascoltò attentamente i resoconti dei partecipanti. I compagni di Meguro avevano patito terribili sofferenze in seguito agli attacchi dei preti arroganti dello Shoshinkai. Le loro erano state perfide macchinazioni per distruggere kosen-rufu ostacolando lo sviluppo della Gakkai. Shin’ichi si rivolse ai responsabili di  Meguro:
«Adesso è il momento di lottare mostrando il nostro vero valore. Bisogna agire. Per quanto le circostanze siano difficili, solo dall’azione nascono nuovi sviluppi».
Il suo tono di voce era pacato, ma pieno di energia. «Se cambia l’ichinen di tutti, soprattutto dei leader, per quanto avverse siano le circostanze sarà sicuramente possibile aprire una strada».
Al termine, Shin’ichi tenne una cerimonia di Gongyo e incoraggiò con tutte le forze i compagni riuniti.
«Qual è la fede corretta? È quella che ci porta a credere fino in fondo nel Gohonzon per tutta la vita, qualsiasi cosa accada. L’importante è affermare fino in fondo la verità nei confronti di coloro che si trovano confusi tra ciò che è corretto e ciò che è sbagliato, tra il bene e il male. Nel far questo l’elemento fondamentale è il coraggio. Prego tutti voi, compagni di Meguro, partendo proprio da questo coraggio, di dar vita a una grande “campagna” di dialoghi sul Buddismo, senza lasciarvi condizionare dalla forma o dalle apparenze». Poi concluse dicendo: «La vita non ci richiede altro che il coraggio»: queste sono le parole del celebre letterato brasiliano João Guimarães Rosa.
Il giorno successivo era prevista la partenza di Shin’ichi per una serie di guide nella prefettura di Akita. Nonostante fosse impegnato nei preparativi, continuò a incoraggiare i membri fino all’ultimo istante. Desiderava infatti che  i compagni di Meguro, che avevano sofferto più di tutti a Tokyo per quella situazione e avevano percorso fino in fondo la strada per affermare la verità Soka, fossero in grado di aprire una breccia verso la vittoria.
Quella sera Shin’ichi scrisse nel suo diario:
«Tutti hanno versato lacrime amare di fronte alle terribili ingiustizie dei preti. Hanno osato fare qualcosa di inaudito. Al pensiero di tutti questi compagni che hanno sofferto, sento affiorare lacrime di dolore. Riusciremo a dimostrare qual è la volontà del Budda e cos’è la fede. Se il Buddismo è vincere o perdere, dobbiamo assolutamente vincere, dimostrando che la Soka Gakkai è nel giusto».
Quell’anno i compagni di fede di Meguro realizzarono una crescita incredibile, convertendo millecentoquindici famiglie, e furono i primi di tutto il Giappone nello shakubuku.

[65] La terra di Akita vista dal cielo era un bellissimo, candido universo di neve.
L’aereo sui cui viaggiavano Shin’ichi e la sua delegazione giunse da Tokyo all’aeroporto di Akita poco dopo le due di pomeriggio del 10 gennaio 1982, dopo circa un’ora di volo. Nonostante il parere contrario dei suoi collaboratori che gli avevano sconsigliato di recarsi ad Akita in pieno inverno, Shin’ichi aveva fortemente voluto quella visita, a più di dieci anni di distanza dall’ultima. Ciò che lo aveva spinto a prendere quella decisione era la  consapevolezza che Akita e Oita erano due regioni simbolo, una a ovest e l’altra a est del paese, dove i compagni avevano subìto le più terribili persecuzioni da parte dei preti dello Shoshinkai. Per questo all’inizio del nuovo anno, appena passato il periodo festivo di Capodanno, per non perdere tempo Shin’ichi era immediatamente volato ad Akita, meravigliosa terra innevata. Dopo aver salutato i responsabili di prefettura venuti ad accoglierlo, uscì dall’edificio dell’aeroporto. Il vento era talmente gelido da pungere le guance. Nella zona di transito dei passeggeri vi erano ad attenderlo settanta, ottanta membri.
Shin’ichi avrebbe voluto andare verso di loro per stringere la mano a ciascuno e congratularsi personalmente per la strenua lotta che avevano sostenuto. Pensando però che sostare in quel punto avrebbe recato disturbo agli altri viaggiatori, si limitò a rivolgere loro alcune parole: «Ci vediamo dopo!».
Shin’ichi salì in macchina diretto verso il Centro culturale di Akita che era stato completato alla fine dell’anno precedente, nella località di Sanno Numata-machi. Dal finestrino dell’auto la distesa innevata brillava nella luce del sole che faceva capolino fra le nuvole. La neve era caduta abbondante il giorno prima, fin dalle prime ore del mattino. Dopo un po’ si intravidero in lontananza una quarantina di persone in una stazione di servizio.
Il vice presidente Susumu Aota che viaggiava con loro,  responsabile  della  Gakkai  per il Tohoku, disse: «Sono membri della Soka Gakkai. Si sono tutti impegnati moltissimo!». Shin’ichi annuì in silenzio, chiese di fermare l’auto e si diresse subito verso quei compagni che avevano dimostrato un così grande spirito di ricerca. Le sue scarpe di pelle si inzupparono subito nella neve che si stava sciogliendo sulla strada. Tuttavia, al pensiero che quei membri avessero aspettato al freddo il suo arrivo, Shin’ichi non poté trattenersi: «Vi ringrazio per tutti i vostri sforzi, con questo freddo!» disse.
Tutti levarono grida di gioia. Sul volto serio di ciascuno si poteva leggere chiaramente la gioia che provavano per quel momento tanto a lungo atteso.
La fiamma della felicità arde tanto più vigorosa, quanto più abbondanti sono i ceppi della fatica.

[66] C’erano uomini con i pantaloni infilati negli stivali di gomma e il cappotto imbottito di cotone, donne con gli stivali ai piedi e il berretto di lana in testa e, poiché era domenica, insieme ai genitori c’erano anche i bambini con le guance rosse per il freddo.
Mentre camminava cercando di non sprofondare i piedi nella neve, Shin’ichi sollevò le braccia in alto avvolgendo tutti i membri col suo sorriso.
«Grazie a tutti! Come state? So che state passando momenti difficili, ma io continuerò a proteggervi. Vivete a lungo e diventate felici. Da oggi sarà per tutti una nuova partenza. Impegniamoci dunque!».
Shin’ichi accarezzava i bambini sulla testa e scambiava strette di mano con i compagni del Gruppo uomini. C’erano persone che gli facevano resoconti del proprio lavoro, o delle condizioni di salute. Era un vero e proprio zadankai all’aperto.
In seguito venne scattata insieme ai membri una foto ricordo. Shin’ichi salì in auto, e dopo un po’ si scorsero alcune persone ai lati della strada.
Shin’ichi chiese di fermarsi, scese di nuovo e rivolse loro parole di incoraggiamento, poi volle scattare una foto ricordo anche con loro. Il fotografo del quotidiano Seikyo continuava a scattare foto, tutto preso dalla situazione. Shin’ichi incoraggiava ininterrottamente i membri che incontrava, e quando la vettura si avvicinò all’incrocio del secondo isolato della località di Ushijima Nishi, apparve un gruppo di circa settanta, ottanta persone che scrutavano attentamente le auto che passavano. Erano membri che avevano recitato Daimoku per il successo delle attività di Shin’ichi e affinché facesse bel tempo. Lo aspettavano all’esterno di un edificio: «Sensei passerà sicuramente da questa strada. Andiamo ad accoglierlo fuori!».
Shin’ichi scese subito dalla vettura. Sui loro visi si dipinsero gioia e stupore.
«Sono venuto per incontrarvi! Facciamo una bella foto ricordo tutti insieme! Desidero felicitarmi con voi per la vittoria che avete riportato nonostante le sofferenze e le amarezze provate. Voi siete sempre nel mio cuore, io recito costantemente Daimoku per voi. Allo stesso modo, voi avete recitato Daimoku per me. Questa è l’autentica relazione tra maestro e discepolo. Anche se non possiamo incontrarci tutti i giorni, i nostri cuori sono sempre uniti». A quel punto una donna disse: «Sensei! Non si preoccupi per noi. Qualsiasi cosa ci possano dire, la nostra convinzione non vacillerà mai, perché noi siamo suoi discepoli, siamo dei leoni!».

[67] Ripartirono in auto e a poche centinaia di metri dall’incrocio videro un gruppo di persone riunite davanti a una fabbrica di automobili.
Shin’ichi scese dalla vettura e diede inizio anche lì a uno “zadankai all’aperto”.
Tra quei membri c’erano i leader locali che avevano lottato con tutte le forze contro i preti che costringevano i compagni ad allontanarsi dalla Gakkai.
Li avevano protetti e incoraggiati. Con vigorose strette di mano, Shin’ichi li lodava per i loro sforzi in quelle condizioni tanto avverse.
«Ho ricevuto resoconti dettagliati sul vostro grande impegno nel proteggere i compagni affrontando il clero. La Gakkai è forte proprio perché ci sono i membri che si adoperano con tutta l’energia in mia vece, con lo stesso mio spirito. Questa è l’unione di “diversi corpi, stessa mente”. Quando succede qualcosa, ci sono persone che invece si schierano subito dalla parte di coloro che ci attaccano, iniziano a nutrire dubbi riguardo alla loro fede e finiscono per criticare l’organizzazione. Questi individui finiscono sempre per pentirsi amaramente».
Shin’ichi ripensò a un passaggio del trattato L’apertura degli occhi: «Sebbene io e i miei discepoli possiamo incontrare varie difficoltà, se non nutriamo dubbi nei nostri cuori, conseguiremo naturalmente la Buddità. Non dubitate semplicemente perché il cielo non vi protegge. Non scoraggiatevi perché non godete di un’esistenza facile e tranquilla in questa vita. Questo è ciò che ho insegnato ai miei discepoli mattina e sera, ma tuttavia hanno cominciato a nutrire dubbi e ad abbandonare la loro fede. Gli stupidi sono soliti dimenticare le loro promesse quando viene il momento cruciale» (RSND, 1, 256).
Shin’ichi proseguì dicendo: «Voi non vi siete arresi. Nel momento cruciale avete lottato con tutti voi stessi e riportato la vittoria. Il vostro impegno risoluto in queste lotte brillerà come una fulgida luce nella storia di kosen-rufu».
Uno dopo l’altro, tutti mostrarono un radioso sorriso. Prima di arrivare al Centro culturale di Akita, per nove volte Shin’ichi si soffermò a dialogare con i membri per incoraggiarli. Akio Yamanaka, responsabile della regione del Tohoku che accompagnava in auto Shin’ichi insieme al vicepresidente Susumu Aota, osservando da vicino il comportamento del maestro fece una profonda riflessione: «Sensei persevera nell’incoraggiare ogni membro con il desiderio di infondere a ciascuno lo spirito del leone, riversando ogni volta il suo più grande impegno. Questo è il cuore di sensei e della Gakkai. Anch’io dedicherò la massima cura ai compagni di fede e li incoraggerò!».
L’eredità spirituale non si trasmette solo a parole. Essa si realizza attraverso l’azione, insegnando e dando l’esempio.

[68] Al Centro culturale di Akita numerosi compagni di fede stavano aspettando Shin’ichi. Nel giardino del Centro venne posta una lapide commemorativa su cui erano stati incisi i caratteri scritti da Shin’ichi, “ciliegio di Akita”, ed erano stati fatti i preparativi per la cerimonia di inaugurazione e la messa a dimora dell’albero.
Mentre il sole apriva uno squarcio tra le nubi irradiando la sua luce, Shin’ichi giunse al Centro e condusse la cerimonia di piantumazione e partecipò a una foto di gruppo. Poi, mentre visitava le varie strutture del Centro, il responsabile di prefettura Toshihisa Komatsuda che gli faceva da guida gli chiese di dare un nome al piazzale prospiciente l’ingresso.
«Ieri sembra che abbia nevicato, ma oggi fa bel tempo. Che ve ne pare del nome “Piazza del cielo sereno”? Le tempeste, le bufere di neve prima o poi si calmano e arrivano le belle giornate. È grazie alla fede che possiamo realizzare questa trasformazione».
Il viso di Komatsuda si illuminò. «Il ciel sereno è la nostra solenne promessa».
Dieci anni addietro, nel luglio del 1972, l’intero arcipelago giapponese era stato colpito da piogge torrenziali. Fino al 9 luglio, giorno in cui Shin’ichi si era recato in visita a Sendai per dare guide nella regione del Tohoku, si erano verificate frane e smottamenti nel Kyushu e nello Shikoku, che avevano provocato circa duecento vittime e numerosi dispersi.
Quel disastro naturale veniva ricordato come l’alluvione del luglio 1972. Anche nella prefettura di Akita caddero forti piogge, e nell’area settentrionale si verificarono moltissime inondazioni dovute allo straripamento dei fiumi. Il 12 era previsto ad Akita un incontro con Shin’ichi per scattare una foto di gruppo, che venne però annullato a causa della pioggia. Tuttavia l’11, dopo aver scattato delle foto ricordo nella prefettura di Yamagata, Shin’ichi decise di recarsi comunque ad Akita.
Egli prese quella decisione pensando: «Tutti i membri che hanno subìto i danni delle inondazioni sono sicuramente affranti. Mi recherò a ogni costo ad Akita e incoraggerò i compagni che hanno vissuto le esperienze più dolorose». Giunto al Centro culturale di Akita, subito ascoltò i resoconti dettagliati sui danni provocati dalle piogge in ogni luogo della prefettura e prese immediati provvedimenti, tra cui l’invio di responsabili e le visite alle persone colpite. Partecipò inoltre alle riunioni che si svolgevano al Centro, sottolineando l’importanza di “trasformare il veleno in medicina”. Quel giorno aveva smesso di piovere e il cielo era avvolto da uno splendido tramonto. Da allora, per i compagni di Akita, il cielo sereno e il tramonto divennero simboli del superamento delle avversità, paragonabili alle piogge.

[69] I compagni di Akita avevano accolto Shin’ichi nel “ciel sereno” della gioia, dopo aver superato le tempeste causate dal clero dello Shoshinkai.
E quando sentirono la denominazione “Piazza del ciel sereno”, non solo Toshihisa Komatsuda, ma chiunque si trovasse vicino non riusciva a nascondere la propria felicità.
Quel giorno, in serata,  nella  città  di Akita si svolse la riunione dei rappresentanti del Tohoku.
In quell’occasione vennero riportati minuziosamente i maltrattamenti  spietati  inflitti ai membri della Gakkai dai preti dello Shoshinkai presso diversi templi, tra cui quelli di Omagari e Noshiro.
Un membro si era rivolto a un tempio per la celebrazione di una cerimonia funebre e i preti ne avevano approfittato per convincerlo a lasciare in cambio la Gakkai. Ma egli si rifiutò di piegarsi a un simile ricatto. La cerimonia si svolse comunque, guidata dal responsabile di settore, e i compagni di fede unirono le loro voci nella solenne recitazione del Daimoku e nella lettura del sutra, ignorando coloro che avevano abbandonato l’organizzazione e si erano recati lì per deridere i membri.
In un altro tempio, rivolgendosi a un membro del Gruppo donne che stava lottando con la sofferenza per la perdita di un familiare, un prete disse: «Questo è accaduto perché tu sei nella Gakkai», e la coprì di ingiurie inconcepibili da parte di un prete.
Nel corso della riunione si discusse dell’opportunità di inviare dei responsabili per incoraggiare i membri in entrambe le regioni.
Shin’ichi disse: «Sento il mio cuore lacerarsi se penso a tutti i soprusi che avete subìto finora. Con quale tenacia siete riusciti a resistere. E quale grande ammirazione proverà Nichiren Daishonin per voi che avete difeso la giustizia e agito per la causa di kosen-rufu! Prego i responsabili di avvolgere con un grande cuore tutti i membri e di proteggerli fino in fondo. A questo scopo è essenziale essere molto premurosi. Gli esseri umani si fanno spesso influenzare dai sentimenti, e si corre il rischio di ferire l’interlocutore anche con una piccola parola proferita senza la dovuta attenzione. Ma nel mondo della fede non deve accade re mai, assolutamente, che un’azione o una parola incurante o un linguaggio offensivo, possano spingere i membri ad allontanarsi dall’organizzazione. È fondamentale trattare i membri con lo stesso rispetto che si riserva a un Budda. Siate profondamente consapevoli che la nostra Soka Gakkai è un mondo ricco di buon senso dove le persone forgiano il proprio carattere manifestando sempre il massimo rispetto per ognuno».

[70] Anche dopo la riunione con i rappresentanti del Tohoku, una volta tornato al Centro culturale di Akita Shin’ichi fece Gongyo con lo staff e fece scattare alcune foto insieme ai giovani.
In un sol giorno aveva incoraggiato quasi un migliaio di membri. Inoltre, avendo saputo che molti di loro stavano recitando nelle proprie case per il successo delle attività, fece Daimoku per loro con un profondo senso di gratitudine. Successivamente quei membri formarono il “glorioso Gruppo della campagna di guide nella nevosa Akita”.
Il giorno successivo, l’11 gennaio, fin dal mattino si apriva un cielo azzurro accompagnato da un sole abbagliante.
Poco prima del pomeriggio, con il pullman messo a disposizione dalla sede, Shin’ichi si diresse verso il Centro culturale di Akita insieme ai responsabili del Tohoku e della prefettura di Akita. Questo Centro era il castello della Legge che, prima del completamento del nuovo Centro culturale di Akita – costruito verso la fine dell’anno precedente – veniva utilizzato come Centro di riferimento delle attività della prefettura.
Qui, a partire da Capodanno, per circa un mese era stata allestita una mostra per la pace che illustrava il cammino del presidente Yamamoto nel suo impegno per la promozione della pace nel mondo.
Shin’ichi volle incontrare i membri del Gruppo giovani per ringraziare personalmente coloro che avevano curato i preparativi e l’allestimento della mostra, rinunciando alle vacanze di fine e inizio anno.
«Vi ringrazio immensamente per i vostri sforzi! Vi siete impegnati davvero fino in fondo». Rivolgendo queste parole allo staff che ave va curato l’allestimento e che faceva da guida ai visitatori,  trascorse  il  tempo  ammirando i pannelli della mostra. Più tardi, pranzando insieme ad alcuni rappresentanti, si intrattenne a conversare con loro e andò a trovare altri pionieri di kosen-rufu nella zona. Si recò a casa del defunto Koji Sato che era stato il primo responsabile del capitolo di Akita, conosciuto come l’eroico capitolo del mar del Giappone. Sato aveva aderito alla Soka Gakkai nel 1953, quando aveva trentanove anni. Era stato suo fratello minore, che aveva vissuto per un po’ di tempo a Tokyo, a iniziare a praticare e grazie al suo shakubuku, l’anno dopo tutti e quattro i fratelli e le sorelle, tranne Koji che era il maggiore, avevano iniziato a praticare, uno dopo l’altro.
Osservando la Soka Gakkai, Koji pensò: «La Soka Gakkai attira così tanti giovani. Quanto vorrei poter incontrare personalmente il presidente di questa organizzazione e ascoltare le sue parole».
Spinto da tale proposito si recò dal secondo presidente Josei Toda.
Dopo il loro colloquio Toda, fissandolo, disse: «Allora affido a te Akita». Colpito dall’energia e dalla personalità di Toda, Koji rispose senza indugio: «Sì, mi impegnerò con tutte le mie forze ad Akita».
La sintonia che nasce nella profondità della vita è in grado di muovere persone.

[71] Dopo aver aderito al  Buddismo, Koji Sato si impegnò a fondo nelle attività della Soka Gakkai, anche in virtù del suo carattere serio e responsabile. A quei tempi Akita faceva parte del settore  Yaguchi del capitolo Kamata, e i genitori della moglie di Shin’ichi – Yoji e Akiko Haruki – erano responsabili rispettivamente di settore uomini e capitolo donne.
I due avevano continuato assiduamente nel tempo a fare visite a turno per incoraggiare i membri di Akita, compiendo ogni mese un viaggio di ben dodici ore con il treno notturno. Insegnarono loro con cura, con tutto  il cuore, uno a uno, i princìpi della fede, a Sato e agli altri membri di Akita. Inoltre si recarono insieme a loro per dare guide personali e fare shakubuku. Ribadirono l’importanza  di affermare i princìpi del Buddismo citando il Gosho con profonda convinzione. Gli amati e sinceri compagni di Akita appresero avidamente ogni cosa, come la sabbia  che assorbe rapidamente l’acqua, e acquisirono ben presto forza.
La trasmissione della fede avviene solamente attraverso la pratica.
I membri più giovani nella fede imparano e crescono prendendo a modello l’atteggiamento dei compagni più anziani nella fede.
Nel 1954, un anno dopo la sua adesione al Buddismo nacque il settore generale Akita, che vantava circa ottocento famiglie di praticanti, e nel 1956 divenne un capitolo. Sato venne nominato responsabile di capitolo e contemporaneamente la sorella Tetsuyo divenne responsabile di capitolo donne.
Sato lavorava in una ditta  che si occupava  di trivellazioni per il sondaggio del terreno per vari fini, tra cui l’individuazione  di sorgenti per le stazioni termali. Quando Josei Toda venne a sapere che presso il tempio principale della Nichiren Shoshu non vi era più disponibilità di scorte sufficienti di acqua potabile, a Capodanno del 1955 gli commissionò dei lavori di perforazione per individuare falde acquifere.
La ricerca di falde acquifere presso il tem pio principale andava avanti fin dal perio do Meiji (1868-1912), ma la conclusione  cui erano giunti i geologi era che in quella zona non ve ne fossero. Ogni anno, con l’aumentare dell’affluenza di membri della Soka Gakkai che si recavano al tempio, e man mano che la Nichiren Shoshu prosperava, l’approvvigionamento d’acqua era divenuto un problema impellente. Sato aveva trivellato per tre mesi a duecento metri di profondità nel luogo che riteneva adatto, ma non era riuscito a raggiungere la falda.
Toda gli diede una guida severa: «Ti prego di riuscirci assolutamente, per proteggere il clero e i compagni figli del Budda». Egli rimase commosso dallo spirito sincero di Toda di volersi prendere cura fino in fondo del clero per la realizzazione di kosen-rufu.
Si mise quindi a pregare con tutte le forze per questo scopo.

[72] Koji Sato recitava assiduamente Daimoku con grande sincerità e ferma determinazione. Un giorno cominciò le trivellazioni in un altro luogo e, ad appena ventisei metri di profondità, incredibilmente zampillarono delle acque. Era una ricca sorgente che faceva sgorgare circa duecentosedici litri d’acqua al minuto, di ottima qualità.
Così, grazie a quella scoperta poté installare un acquedotto nel terreno del tempio principale della Nichiren Shoshu. Per questo Sato non poté perdonare per tutta la vita i perfidi preti che avevano calpestato  il cuore sincero dei membri della Gakkai, i quali avevano compiuto grandi sforzi per sostenere il clero. Nel gennaio del 1979, tre mesi prima delle sue dimissioni da presidente, Shin’ichi Yamamoto visitò il Centro culturale di Aomori e tenne un incontro informale con i rappresentanti del Tohoku.
Tra loro c’era anche Sato, insieme alla sorella minore Tetsuyo.
Due anni prima gli era stato diagnosticato un tumore maligno ai polmoni e i medici gli avevano dato tre mesi di vita, al massimo un anno.
Shin’ichi gli strinse con forza la mano dicendo: «Finché hai fede, non avrai nulla da temere. Vivi ogni giorno intensamente, con tutte le tue forze. Il sole del mattino alla fine diventa il sole del tramonto. Rendi preziosa la tua vita, simile a un luminoso e imponente sole rosso, e lascia nel cuore dei tuoi compagni delle guide che possano brillare eternamente, come il sole che illumina gli esseri umani».
Sato si rialzò come una fenice. Di propria iniziativa, cominciò a recarsi a casa dei membri per dare guide personali.
Ispirati dai suoi incoraggiamenti, nel cuore di molti compagni nacque il desiderio di confutare l’erroneo e rivelare il vero.
Tutti promisero insieme di proteggere a ogni costo la “cittadella Soka”.
La vita di coloro che lottano risplende di un magnifico bagliore.
Sato si spense l’anno dopo, nel mese di maggio, all’età di sessantasei anni, dopo aver mostrato la prova concreta del prolungamento della sua vita di tre anni da quando gli era stato diagnosticato il tumore.
In rappresentanza di Shin’ichi, la moglie Mineko insieme al figlio si recarono dalla famiglia per porgere le condoglianze.
Prima della sua morte, Shin’ichi aveva donato a Sato un bastone da passeggio. Rispettando il forte desiderio del defunto, nella bara vene sistemato in tight con quel bastone in una mano. Secondo i suoi familiari l’aveva voluto tenere con sé per continuare il viaggio di kosen-rufu nell’esistenza futura.
Era trascorso quasi un anno e otto mesi da allora.
L’ultimo periodo della vita di Koji fu come un sole dorato al tramonto. Shin’ichi, che era andato a trovare la famiglia Sato insieme alla moglie Mineko, fece Gongyo con la famiglia della sorella Tetsuyo e altri parenti, e pregò per il defunto Koji.

[73] Terminata la recitazione di Gongyo presso l’abitazione della famiglia Sato, Shin’ichi si rivolse ai familiari del defunto con un tono di voce che rivelava le sue sincere emozioni: «Koji era davvero una persona con un buon carattere e la fede era al centro della sua vita. Egli ha accumulato grandi meriti».
Poi diresse lo sguardo verso i presenti.
«Grazie a Koji, si sono costruite salde fondamenta di buona fortuna nella famiglia Sato. D’ora in poi, ereditando la sua fede, fate sbocciare eternamente fiori di felicità. Tuttavia, pur ricevendo il testimone di quest’eredità, non raggiungerete il traguardo se non correte con tutte le vostre energie. I familiari che Koji ha lasciato hanno quindi, sotto tutti gli aspetti, la responsabilità di mostrare prove concrete, in modo che coloro che li circondano possano dire che sono prove degne della famiglia Sato. Ora, finalmente, inizia il secondo capitolo della storia della vostra famiglia, perciò intraprendiamo insieme una nuova fase di sviluppo».
La sera dell’11 gennaio Shin’ichi partecipò alla riunione dei rappresentanti di prefettura al Centro culturale di Akita, che segnò una nuova partenza piena di gioia. Vennero presentati diversi progetti, come  la fondazione di un Centro delle donne nella prefettura e la costruzione di un Centro culturale a sud del territorio.
Shin’ichi prese il microfono e parlò del modo di vivere di un vero credente:  «Non  si tratta assolutamente di un modo di vivere fuori dall’ordinario. Nella vita possono accadere tante cose, malgrado ciò i veri praticanti mantengono la determinazione  di  rivolgersi sempre al Gohonzon, recitare Daimoku e impegnarsi con grande serietà nelle attività della Gakkai, indipendentemente dalle circostanze esterne. E più di ogni altra cosa, si dedicano interamente alla Legge mistica, basandosi sugli scritti del Daishonin e facendo di kosen-rufu l’asse centrale della propria vita. Finora ci sono state persone che, pur essendosi distinte nelle attività per un certo periodo, hanno poi abbandonato la Gakkai rivoltandosi contro di essa. Osservando attentamente, in queste persone si distinguono invariabilmente alcuni punti in comune, come l’egocentrismo, la ricerca di fama e profitto personale, l’autocompiacimento e una spiccata vanità. In definitiva tali individui, per i quali il proprio io è l’unica cosa fondamentale, non hanno fatto altro che sfruttare a proprio vantaggio la pratica, l’organizzazione e tutto il resto. Tuttavia, benché abbiano cercato di agire con furbizia, la severità della Legge mistica di causa ed effetto e il mondo della fede hanno fatto sì che la loro vera natura venisse alla luce del sole».

[74] Shin’ichi parlava con il cuore in mano ai compagni di Akita che avevano superato traversie di ogni genere, ed esprimeva loro i suoi sentimenti sinceri.
«In molte occasioni mi hanno ingannato, sfruttato, fatto cadere in trappola. Sapevo che tra coloro che dicevano di essere miei discepoli c’erano individui simili. C’erano anche coloro che mi avvertivano dicendo: “È meglio che si allontani velocemente da quel tipo che nasconde secondi fini”. Eppure ho tollerato anche quelle persone trattandole con indulgenza. E pur avendo intuito i loro veri sentimenti e intenzioni nascoste, ho continuato a dialogare con loro con l’obiettivo di farli risvegliare alla fede. Inoltre, in innumerevoli occasioni ho dato guide severe a queste persone facendole riflettere sulla natura dei loro comportamenti. Come mai, persino lasciando più volte che mi ingannassero, ho creduto nei discepoli e ho fatto tutto il possibile affinché potessero correggersi? Perché sono il loro maestro. Questo è il mio pensiero. Ma coloro che rivelando una natura disonesta fanno soffrire i compagni di fede, che sono i figli del Budda, turbano l’organizzazione e distruggono kosen-rufu, non sono altro che nemici del Budda, da combattere senza esitazione. In questi casi non si deve assolutamente esitare. Spesso proprio gli individui che cercano di ingannare gli altri non riescono a liberarsi dai rimorsi di coscienza. È per nascondere le proprie malvagità che attaccano violentemente gli altri. È ciò di cui mi sono reso conto nei miei trent’anni e più di pratica. Tuttavia, ogni cosa viene giudicata secondo la Legge della vita, che è la legge di causa ed effetto. La causalità è inesorabile, e un buddista ne è pienamente cosciente. Noi ci siamo continuamente dedicati alla causa di kosen-rufu, alla pace nel mondo e alla felici tà della gente. Invece i perfidi preti e coloro che sono stati raggirati da loro non riescono  a rendersi conto di questi fatti innegabili. Il Daishonin descrive come le persone malvagie consideravano il Budda Shakyamuni, perfettamente dotato dei trentadue segni e delle ottanta caratteristiche che contraddistinguono un grande illuminato. “Eppure quando le persone malvagie lo guardavano, alcune lo vedevano color cenere, alcune ricoperto di fuliggine, e alcune lo vedevano come un nemico” (RSND, 2, 386). A chi ha occhi deformi, ogni cosa appare distorta. In un animo contorto dall’invidia, dalla collera e dai pregiudizi, non si potrà riflettere la verità della Gakkai. Per tali ragioni questi individui hanno continuato a diffamare la Gakkai dicendo che offendeva la Legge. Ma essere odiati dai malvagi è la prova che si è dalla parte della giustizia».

[75] Shin’ichi terminò la sua guida, traboccante di passione ed entusiasmo. Il cuore dei compagni di Akita era colmo della fierezza e della determinazione di essere i “leader del Mar del Giappone”. Dirigendosi verso l’uscita, in fondo alla sala Shin’ichi incontrò una donna a cui rivolse un sorriso.
Era Tomiko Sekiya, responsabile delle guide personali per il Gruppo donne dell’hombu di Tazawa. Nel gennaio del 1979, quando Shin’ichi aveva visitato il Centro culturale di Mizusawa nella prefettura di Iwate, Tomiko aveva partecipato a un incontro come rappresentante di Akita, e aveva raccontato degli irragionevoli attacchi subiti dai membri da parte dei preti e dei laici affiliati ai templi (danto).
Nel febbraio del 1978, alcuni membri danto erano stati posizionati all’entrata di un tempio per respingere i membri della Gakkai che volevano partecipare ai sermoni. Ma la signora Sekiya era entrata ugualmente nel padiglione principale del tempio dicendo: «Voi non avete nessun diritto di fermarmi!». A quel punto il prete capo aveva urlato a squarciagola: «Tu, esci di qui!», ma lei con fermezza chiese il perché di quell’ordine.
Il prete rispose: «Perché la Gakkai offende la Legge».
Senza esitare un attimo e senza indietreggiare di un passo per difendere la giustezza della Gakkai, Tomiko domandò: «Perché la Gakkai offenderebbe la Legge?».
Rendendosi conto che gli ostacoli e i demoni avevano iniziato ad attaccare, la signora Sekiya profuse tutti i suoi sforzi nell’incoraggiare i membri.
Di fronte alla forte, intrepida convinzione di una donna nella correttezza del cammino della Gakkai, e sentendo le sue argomentazioni logiche e coerenti che confutavano il falso e rivelavano il vero, molti compagni si alzarono decisi a passare all’azione. Erano trascorsi tre anni da quell’incontro a Mizusawa.
Shin’ichi disse alla signora Sekiya: «Quali magnifici sforzi ha compiuto, nonostante non avesse compagni con più esperienza nella fede! Coloro che proteggono la Gakkai condividono in qualunque circostanza la mia stessa risoluzione di aiutare tutti a diventare felici e di prendersi l’intera responsabilità del nostro movimento. Ecco cosa significa porsi dalla parte della Gakkai. Gli individui che finiscono per diventare degli spettatori, dei commentatori, e non si prendono in prima persona la responsabilità della Gakkai, sono dei codardi. Quelli invece che criticano la Gakkai “seguendo la folla”, sono individui incapaci di distinguere le lodi dalle critiche e di difendere le proprie convinzioni. Lei invece ha difeso fino in fondo le sue convinzioni, ha vinto in modo magnifico. La ringrazio!».

[76] Shin’ichi esortò Tomiko Sekiya: «Forza dunque! Si tratta di una nuova partenza. Avanziamo insieme verso il  ventunesimo secolo, puntando al 3 maggio 2001!».
«Sì – rispose lei – a quel tempo avrò ottantuno anni. Le prometto che cercherò di mantenermi in buona salute fino ad allora… ma potrò rivederla?».
Shin’ichi rispose con un sorriso: «Mancano ancora una ventina d’anni a quel giorno. Ci rivedremo ancora tante, tantissime volte prima di allora! Mai dimenticherò, per l’eternità, coloro che nel momento della verità si sono sforzati per il bene di kosen-rufu e hanno lottato fino in fondo. Il suo nome rimarrà impresso nella storia di kosen-rufu e brillerà in eterno». Il giorno successivo Shin’ichi compose una poesia waka e la donò alla signora Sekiya:

Noi siamo i Bodhisattva della Terra
che vivranno insieme fino in fondo,
fino al nuovo secolo.

Il giorno successivo, il 12 gennaio, si tenne  la riunione dei responsabili di prefettura per celebrare l’inaugurazione del nuovo Centro culturale di Akita.
Alla riunione presero parte anche i rappresentanti della prefettura di Oita che, come i compagni di Akita, avevano affrontato e vinto le terribili prove sorte dalla questione con il clero della Nichiren Shoshu.
Durante quell’incontro le due prefetture strinsero un gemellaggio e venne ufficialmente annunciato il loro impegno di creare un meraviglioso ponte per kosen-rufu.
L’organizzazione di Akita ribadì il suo impegno di dare il via alla lotta finalizzata alla creazione di un capitolo e all’arricchimento e valorizzazione degli zadankai.
Quel giorno, nel suo saluto Shin’ichi affermò: «Il mio unico desiderio è che tutti voi possiate stare sempre in buona salute. Che la vostra vita sia sempre serena e tranquilla. Che sia meravigliosa. Vorrei che teneste sempre ben presente che la fede esiste per questo, che la “fede è uguale alla vita quotidiana”. Qual è lo scopo della fede e delle attività che svolgiamo nella Soka Gakkai? Ovviamente il fine è kosen-rufu e la realizzazione del principio di rissho ankoku (“adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese”), ma lo scopo fondamentale è la propria felicità. Insieme alla recitazione del Daimoku, è grazie alla pratica rivolta alla realizzazione di kosen-rufu e dell’ideale di “adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese” che nella profondità delle nostre vite scaturiscono slancio vitale e gioia, ed è possibile compiere la nostra rivoluzione umana   e trasformare il karma. Le attività quotidiane che svolgiamo nella Soka Gakkai sono la via per far sbocciare fiori di felicità nelle nostre famiglie, nei nostri gruppi, nei nostri settori e nella comunità».

[77] Durante la riunione dei responsabili di prefettura di Akita, Shin’ichi parlò dei ricordi più profondamente impressi nelle nostre vite.
«I ricordi – disse Shin’ichi – possono essere i più svariati ma, con il passare del tempo, di solito tendono a sbiadire. I ricordi legati alla pratica della nostra fede, invece, sia consapevolmente che inconsapevolmente rimarranno vivi per l’eternità come i più belli della nostra vita. Le attività che portiamo avanti per kosen-rufu rappresentano il cammino verso la felicità eterna e, alla luce del principio di causa ed effetto, rimarranno profondamente incisi nelle nostre vite come ricordi gioiosi».
È proprio come afferma il Daishonin: «Recita Nam-myoho-renge-kyo con un’unica mente ed esorta gli altri a fare la stessa cosa; questo resterà il solo ricordo della tua vita presente in questo mondo umano» (RSND, 1, 58). Shin’ichi, portando come esempio la lotta che aveva condotto come responsabile vicario del capitolo Bunkyo di Tokyo e la sua lotta nel Kansai – dove riuscì a raggiungere in un solo mese il traguardo di 11.111 famiglie di praticanti – affermò che solo impegnandosi fino in fondo per kosen-rufu è possibile creare quegli splendidi ricordi dorati che impreziosiscono meravigliosamente le nostre vite.
Quel giorno Shin’ichi disse ai responsabili di Akita: «Parlando con le persone incontrate al Centro culturale, ho ricevuto molte richieste di poter invitare anche i membri di capitolo e settore alle recitazioni commemorative. Proporrei quindi di trasformare quella di domani in una cerimonia libera, aperta a tutti. Che ne pensate?».
Alla proposta di Shin’ichi, con le guance rosse per la gioia, tutti annuirono in segno di approvazione.
«Perfetto! Allora è deciso – disse Shin’ichi. – Fino a oggi le riunioni sono state per i responsabili da capitolo in su, ma da domani la cerimonia sarà aperta a chiunque voglia partecipare. Il momento decisivo è arrivato. Se dovesse essere necessario fare due o tre cerimonie, non vi è nessun problema. La mattina ho un incontro con i rappresentanti della prefettura e quindi parteciperò alla fine della recitazione, e ho intenzione di scattare anche una foto commemorativa tutti insieme».
La comunicazione che la recitazione inaugurale era stata aperta a tutti raggiunse velocemente tutti i membri.
La mattina del giorno successivo, il 13 gennaio, la neve continuava a cadere dalla sera prima. Camminando sotto la neve, i compagni di Akita si radunarono con grande entusiasmo, provenienti da ogni parte, come Noshiro, a nord-ovest della prefettura, fino a Omagari, nella zona centrale.

Nella bianca distesa
mentre infuria la tempesta di neve
noi siamo qui riuniti per lottare e
propagare la Legge.

Era una strofa della canzone della prefettura di Akita, Tempesta danzante, che i compagni cantavano appena ne avevano occasione.

[78] La mattina del 13 gennaio, dopo aver fatto Gongyo presso il Centro culturale di Akita insieme ai vari staff, Shin’ichi partecipò a una riunione in città per pianificare le attività future. Poi, nel tardo pomeriggio si diresse verso un parco di fronte al Centro culturale per delle foto commemorative.
Per l’occasione si stavano radunando allegramente nel parco i partecipanti alle due cerimonie di Gongyo tenutesi in mattinata. Continuava a nevicare, ma tutti sprizzavano di energia e vitalità.
Per diversi anni i compagni di Akita avevano sopportato ogni giorno una rabbia feroce. In cambio della loro presenza alle cerimonie funebri, i preti meschini erano soliti insistere con i membri affinché abbandonassero la Gakkai. Inoltre, durante i funerali a cui partecipavano familiari non praticanti, offendevano e calunniavano senza sosta la nostra organizzazione. Arrivavano a colpire i membri con affermazioni atroci, quali: «i vostri familiari defunti non hanno conseguito la Buddità!».
Erano trattamenti crudeli, spietati, ignobili, impensabili per un essere umano.
Dopo aver resistito e respinto tali oppressioni, ora quei preziosi compagni di fede insieme a Shin’ichi preparavano la nuova partenza verso il ventunesimo secolo con il cuore traboccante di gioia, e sentivano che finalmente la primavera era arrivata.
Shin’ichi apparve tra i fiocchi di neve con la giacca a vento bianca. C’erano 2 gradi sotto zero. Da una folla composta da circa millecinquecento membri si levarono grida e applausi gioiosi.
Egli salì su un podio appositamente predisposto e prese il microfono: «Grazie infinite di essere venuti, nonostante questa neve!».
«Nessun problema!» gli risposero voci allegre.
«La vostra presenza, così rassicurante e piena di vita, ricorda l’ardore dei versi della “Canzone della rivoluzione umana”:

Vai avanti con fierezza
affrontando bufere di neve

Oggi, per proclamare il trionfo di Akita, uniamoci tutti insieme in un grande coro e cantiamo la “Canzone della rivoluzione umana!”. Il coro ardeva di una tale passione che sembrò sciogliere la neve.

Alzati! Anch’io mi alzo.
Nella terra di kosen-rufu.
Alzati da solo…

Shin’ichi cantò insieme a loro. Il cuore di ognuno si infiammò di entusiasmo e della determinazione di continuare a lottare. Era il canto trionfale del maestro e dei discepoli Soka.

[79] Pensando alle lotte coraggiose portate avanti dai compagni di Akita, Shin’ichi fece  questa  proposta: «Lanciamo insieme delle grida di vittoria per tutti gli sforzi compiuti, e per celebrare il vostro trionfo!».
«Ok!» gridò qualcuno. Fu così che nel cielo innevato risuonarono grida vittoriose, come una potente proclamazione di trionfo della gente comune.
«Hip, hip, urrà!». Insieme espressero quella vittoria con tutto il corpo, levando con energia il braccio destro e urlando a squarciagola. La neve che scendeva sembrava una danza di candidi fiori, un messaggio augurale delle funzioni protettive dell’universo. In quell’attimo, un fotografo del quotidiano Seikyo che era salito su una piattaforma aerea, scattò una foto. Shin’ichi si rivolse ai membri: «Rimanete tutti in buona salute! Non prendete raffreddori o malattie. Incontriamoci ancora!».
All’una e mezza del pomeriggio si tenne la terza recitazione a partecipazione libera.
Shin’ichi dopo aver guidato Gongyo prese il microfono.
Nel suo intervento sottolineò che i cardini del Buddismo del Daishonin sono la fede, la pratica e lo studio, e che le attività della Gakkai costituiscono un allenamento. Affermò inoltre che attraverso tali attività non solo si porta avanti la pratica buddista, ma si può trasformare il proprio karma e conseguire la Buddità nell’esistenza presente.
Rese nota inoltre la fondazione del “Club degli educatori di Akita”, formato da rappresentanti del Gruppo educatori, di cui si era parlato al consiglio nazionale tenendo conto del fatto che nella prefettura di Akita c’erano molti ammirevoli educatori, ed espresse il desiderio che potessero diventare un pilastro a sostegno della comunità.
Nominò poi la cittadina di Ota del distretto Senboku, specificando che era una delle località giapponesi dove il movimento di kosen-rufu stava maggiormente avanzando; mise in luce il contributo dei membri che sin dai primi tempi del movimento ne erano i principali ispiratori, li elogiò per gli sforzi compiuti sino allora e li incoraggiò con tutto il cuore. Shin’ichi continuava a riflettere, prendendo in esame vari punti di vista, su come far avanzare efficacemente kosen-rufu nelle varie località valorizzandone le caratteristiche, poiché quello era il modo di agire adatto a un leader di kosen-rufu.

[80] Il primo responsabile di settore che nella località di Ota del distretto Senboku si distinse per il suo impegno nelle attività, fu Joryo Komatsuda. Egli sentì parlare per la prima volta del Buddismo di Nichiren Daishonin dal suo quinto figlio quando, nel 1953, tornò a casa da Tokyo dove studiava presso l’università.
Miyo, la moglie di Joryo, era cagionevole di salute; i figli del suo primogenito erano venuti a mancare uno dietro l’altro e anche la moglie era morta di setticemia dopo tre anni di matrimonio.
Joryo possedeva una risaia molto estesa ereditata dai suoi antenati, in cui crescevano spighe dorate, ma il suo cuore era sempre afflitto. Non riusciva a capire perché la sua vita fosse cadenzata dalle disgrazie; poi conobbe la Legge di causa ed effetto rivelata dal Buddismo e, pur non essendo completamente convinto, aderì alla Soka Gakkai insieme alla moglie e al primogenito. Nacquero così i primi membri nei dintorni di Ota (divenuta in seguito parte del comune di Daisen), nella prefettura di Akita. La moglie, che aveva cominciato a fare Gongyo, riacquistava di giorno in giorno la salute e nella loro casa, dove aveva sempre regnato un’atmosfera cupa, cominciarono a risuonare allegre risate.
La loro convinzione nella fede si approfondì anche grazie ai compagni di fede che andavano regolarmente a casa loro per incoraggiarli. Essi vivevano con forza, serenità e uno spirito positivo, nonostante le grandi difficoltà che affrontavano.
Joryo non vedeva l’ora di parlare di Buddismo alle persone intorno a sé, e il primo a cui fece shakubuku fu suo cugino. Anche la famiglia della moglie iniziò a praticare.
Appena trovavano un attimo di tempo, i coniugi si mettevano la tradizionale stuoia di paglia sulle spalle a mo’ di impermeabile e un ampio copricapo di vimini per ripararsi dalla neve, e partivano per incontrare e introdurre altre persone al Buddismo.
In quella zona avevano molti parenti, e così da un parente all’altro, da un conoscente all’altro, riuscirono ad estendere la cerchia di praticanti tanto che nel 1959 a Ota fu creato un settore, e Joryo ne divenne il responsabile.
Dopo una decina di anni da quando aveva aderito alla Soka Gakkai, quarantasette parenti e le loro famiglie ne erano entrate a far parte, e in tutta l’area meridionale della prefettura si contavano circa 4700 famiglie di praticanti. Tuttavia, non tutto procedeva a gonfie vele.
Nel 1963, mentre era fuori casa, Joryo venne a sapere che la sua abitazione era stata distrutta da un incendio. Aveva perso tra le fiamme la casa e tutti i mobili lasciati in eredità di generazione in generazione.
Quell’evento suscitò dubbi e sfiducia tra i membri che commentavano: «Non avevi detto che questo è l’insegnamento supremo, che saremmo stati sicuramente protetti?». Ma Joryo, sorridente e sicuro di sé, rispondeva: «Non temete. Non c’è nulla di cui preoccuparsi dal momento in cui abbiamo il Gohonzon!».
Il sole della convinzione che brilla nel cuore trafigge le nubi oscure dell’inquietudine che avvolgono le persone intorno a noi.

[81] La famiglia di Joryo Komatsuda si dedicava con impegno a recitare Daimoku davanti al Gohonzon collocato in un capanno per gli attrezzi da lavoro, che costituiva la loro abitazione provvisoria.
Andavano a tutta velocità in bicicletta sui sentieri tra le risaie per introdurre altre persone al Buddismo e incoraggiare i compagni più giovani nella fede. Alla fine riuscirono a costruire una casa nuova.
Tra quei membri della Gakkai, uniti da legami di parentela, c’erano numerose persone capaci che diedero validi contributi alla società; alcuni ad esempio si assunsero grandi responsabilità in uffici pubblici, e uno di loro divenne presidente del consiglio di amministrazione di un liceo.
Anche all’interno della Gakkai molti si impegnarono assumendosi delle responsabilità. Uno di questi era il responsabile di prefettura, Toshihisa Komatsuda.
Il segreto di Joryo nel far crescere così tante persone capaci era la massima dedizione con cui si prendeva cura di coloro a cui trasmetteva il Buddismo, finché non consolidavano la propria convinzione.
Spesso diceva ai suoi compagni di fede: «Noi abbiamo la responsabilità di far crescere le persone a cui abbiamo fatto shakubuku, di agire insieme a loro fino a che non sono in grado a loro volta di introdurre altre persone al Buddismo. In altre parole, l’azione di shakubuku dura tutto il tempo necessario per far sì che una persona comprenda e metta in atto la pratica per sé e per gli altri».
Shin’ichi si era fatto raccontare dettagliatamente dai responsabili di Akita  l’esperienza di Joryo Komatsuda, quel “primo seme” che aveva permesso la realizzazione di kosen-rufu tra i suoi parenti e nella comunità. Joryo aveva già ottantaquattro anni.
Shin’ichi fece una profonda riflessione: «Il grande sviluppo della Gakkai è stato realizzato grazie ai tanti “eroi sconosciuti” che, attraverso continui sforzi inosservati, con serietà e perseveranza hanno creato ed esteso ampiamente forti legami di fiducia con i propri familiari, i parenti e gli amici nella loro comunità».
Durante le recitazioni di Daimoku aperte a tutti, dopo aver espresso il suo profondo rispetto ai pionieri che avevano dato vita ai movimenti locali per le loro commoventi attività, Shin’ichi propose ai partecipanti della cerimonia del mattino il nome “Gruppo della tempesta di neve”, e a quelli del pomeriggio “Gruppo del vortice di vento”.
Scoppiarono lunghi e fragorosi applausi di gioia.
Al termine dell’ultima recitazione venne nuovamente organizzata una foto commemorativa nel parco di fronte al Centro culturale. Aveva smesso del tutto di nevicare.
Guidati dal responsabile di prefettura Komatsuda, i membri lanciarono tre «Urrà!». Quelle grida di vittoria rimbombarono fino al cielo. In ricordo di quel giorno, Shin’ichi offrì ai membri una poesia waka.

I fieri compagni di Akita
risplendono nel vento freddo,
con gioioso spirito di ricerca
volto a kosen-rufu.

[82] La sera del 13 gennaio, al termine della recitazione di Gongyo Shin’ichi partecipò alla riunione dei responsabili giovani della prefettura, che si tenne ad Akita. Il giorno successivo era in programma la riunione generale dei giovani della prefettura.
Shin’ichi dedicò molto  tempo  ad  ascoltare le opinioni e le richieste di quei giovani leader. Tra gli argomenti c’era la necessità di far crescere i gruppi soka-han, gajokai e byakuren per dare impulso a un grande sviluppo di kosen-rufu nelle comunità locali.
Vi fu anche la proposta di organizzare ad Akita una conferenza mondiale dei giovani sull’agricoltura.
Shin’ichi espresse il suo assenso e iniziò a parlare sorridendo: «Iniziative come queste sono importanti. L’alimentazione è un serio problema per il nostro pianeta. Questo è il momento del Tohoku, che ha sempre puntato sull’agricoltura.
È bene che le soluzioni a problemi cruciali che l’umanità si trova ad affrontare vengano individuate e diffuse non dalle grandi realtà metropolitane, come Tokyo, ma dalle comunità agricole, dalle provincie.
In questo modo sarà possibile aprire le porte a un nuovo futuro per Akita.
I giovani devono riflettere continuamente su quali siano i problemi comuni che affliggono la gente, su cosa sia necessario per la crescita della comunità e ricercare con flessibilità, le possibili soluzioni. Se riteniamo che una cosa sia impossibile, non saremo mai in grado di cambiare nulla. Solo se abbiamo  nel cuore la determinazione di riuscire assolutamente, solo sommando riflessioni su riflessioni, continuando a sfidarci con passione, tentando e ritentando, sarà possibile trasformare un’epoca. Questa è la missione dei giovani».
Shin’ichi proseguì come se  stesse  affidan do idealmente il futuro a quei giovani: «Il Tohoku e l’Hokkaido sono terre famose per  la produzione di riso, ma in passato la coltivazione del riso nelle zone fredde veniva considerato difficilmente realizzabile. Solo gli sforzi continui per migliorare la qualità dei semi, portati avanti per un lungo periodo, hanno prodotto il risultato a cui assistiamo adesso. C’è un membro dominicano, ad esempio, che ha realizzato un grande successo utilizzando il riso e ingegnandosi nel creare un dolce simile all’awa-okoshi giapponese [dolce di riso soffiato caratteristico di Osaka, n.d.t.]. Tornando ad Akita, un’idea interessante potrebbe essere di valorizzare la neve che abbonda in queste zone. Se riuscirete a trovare un modo efficace di utilizzarla, sono convinto che la situazione di Akita cambierà enormemente. La cosa importante è affrontare ogni singola questione con il massimo impegno. Ricordatevi che solo con una lotta seria si apre lo spiraglio verso il futuro. “Riuscirò assolutamente a trovare una soluzione”. Se questo è l’ichinen che anima il nostro cuore, di fronte a noi si apriranno infinite possibilità. E così si apriranno certamente nuove porte».

[83] Shin’ichi proseguì: «Ogni volta che pensiamo di voler realizzare, di voler trasformare qualcosa, ci troviamo a  sbattere contro un grosso muro o ci troviamo di fronte a numerose contraddizioni. Possiamo dire che la realtà sia, di per sé, piena di contraddizioni. Non vi è altra strada che continuare ad avanzare ogni giorno, con saggezza e tenacia. Ciò vale a maggior ragione per questo nuovo viaggio senza precedenti che è kosen-rufu nel mondo. Si tratta infatti di un’impresa che prosegue tra una miriade di difficoltà. Bisogna pensare che non si può fare affidamento su nessuno e alzarsi in piedi da soli! Ciascuno di voi deve diventare Shin’ichi Yamamoto. Se ognuno di voi si alza partendo da questa consapevolezza, il nostro diventerà un meraviglioso secolo di speranza. Facciamo quindi della riunione generale dei giovani di domani il punto di partenza per questo nuovo viaggio!».
Nella seconda e terza pagina del giornale Seikyo del 14 gennaio campeggiava a grandi caratteri il titolo “Akita: con fierezza gli amici danzano nella neve trasformando l’inverno in primavera”. Vennero inoltre pubblicate su entrambe le pagine le foto commemorative scattate il giorno prima.
Quel giorno la neve continuò a cadere fitta. Per tutta la giornata la temperatura scese sotto zero. Presso il Centro culturale di Akita Shin’ichi continuò a comporre e dedicare poesie waka ai pionieri di kosen-rufu della zona, e a compilare a mano gli attestati di ogni singolo capitolo.
L’esistenza di un individuo può risplendere magnificamente solo dedicando ogni singolo istante della propria vita alla realizzazione di un obiettivo.
Shin’ichi si mise poi a incoraggiare Joryo Komatsuda – che era stato il primo responsabile di settore nella zona Ota, nella contea di Senpoku – e sua moglie Miyo, che erano andati a trovarlo al Centro.
«Pregherò per la vostra buona salute e longevità. Il fatto che voi stiate sempre bene è motivo di orgoglio per tutti. Vi prego di vegliare sui compagni di fede» disse Shin’ichi.
Poi si recò alla capanna di neve (kamakura, in giapponese), che i membri locali, tra cui quelli del capitolo Sanno, avevano costruito in un angolo del parco antistante il Centro di Akita. Kamakura era il nome di un festival tradizionale della regione di Yokote che si svolgeva il 15 gennaio (del vecchio calendario lunare) e che dava anche il nome a queste caratteristiche capanne di neve costruite in quelle occasioni. Mentre componeva calligrafie per incoraggiare ogni persona, Shin’ichi vedeva dalla finestra i membri che stavano costruendo queste kamakura mentre la neve continuava a cadere fitta. Era rimasto colpito dalla nobile e calorosa premura dei membri che si sforzavano in un’opera così faticosa, spinti dal desiderio di fargli conoscere un momento tipico dell’inverno nella terra di Akita.
Shin’ichi desiderava rispondere con la massima sincerità alla loro sincerità.

[84] Shin’ichi espresse immediatamente in una poesia waka tutta la gratitudine che provava nei confronti di quei compagni che si erano così faticosamente impegnati nel costruire le capanne.
La scrisse su un cartoncino e ne fece dono ai membri.

Che gioia vedere gli amici che costruiscono le kamakura!
Già si ode la melodia che annuncia
l’arrivo della primavera di Akita.

Poi Shin’ichi visitò una delle capanne insieme a Mineko.
Entrarono chiedendo: «È permesso?». L’interno era un piccolo spazio di circa 4 tatami e mezzo [circa 7 metri quadri, n.d.t.] coperto da un tappeto e illuminato dalle candele. Shin’ichi si rivolse al membro dello staff che lo accompagnava: «Fin da piccolo ho sempre desiderato poter entrare un giorno in una di queste capanne. Sono veramente felice che il mio sogno si sia finalmente realizzato!». Mentre assaporava il dolce gusto del sakè caldo che i membri avevano preparato con tanta premura, udì un piacevole canto provenire da fuori.

La neve cade soave
La neve a fiocchi scende soave.

Il coro dei bambini dell’organizzazione locale cantava una canzone tradizionale giapponese.
«Grazie!», esclamò Shin’ichi, e strinse le loro mani facendo una foto insieme. Scattò foto ricordo anche con i ragazzi delle scuole medie e con le giovani donne accorse dalla prefettura di Iwate. Per onorare lo staff che aveva preparato le capanne, lo nominò “gruppo Kamakura”. Concentrare tutto il proprio cuore affinché ogni singolo incontro possa ispirare l’altro a determinare la partenza per il suo viaggio verso la Buddità: questo è lo spirito con cui incoraggiare le persone.
I compagni di Akita, da sempre  considera ti nella Soka Gakkai come gli “eroi del mar del Giappone, gli eroi del Tohoku”, in quel momento stavano spiccando con forza il volo verso il futuro.
La sera del 14 gennaio, sotto la neve che continuava a cadere, millecinquecento rappresentanti della prefettura di Akita si riunirono in un clima di grande gioia presso il Centro culturale per la prima riunione generale dei giovani della prefettura.
Durante la riunione venne annunciata la prima Conferenza mondiale dei giovani sull’agricoltura, in settembre, e il festival sportivo dell’amicizia che avrebbe avuto luogo in uno stadio all’aperto a maggio dell’anno successivo. Su proposta di Shin’ichi,  accolta da tutti, i partecipanti a quella riunione avrebbero poi fondato il gruppo dei “Compagni di fede del 2001”, e tutti sarebbero avanzati puntando al 3 maggio di quello stesso anno.
A ogni annuncio i partecipanti sentivano il loro cuore palpitare per l’emozione, e dispiegando le ali della speranza rinnovarono le loro determinazioni.

[85] La sera del 14 gennaio, dopo aver effettuato la quinta visita a casa da  quando era arrivato ad Akita, a un membro che si era distinto nelle attività, Shin’ichi si recò alla riunione generale dei giovani non vedendo l’ora di incontrare i suoi successori.
Entrato nella sala della riunione, si congratulò innanzitutto per la formazione del gruppo “i compagni di fede del 2001”, poi fece scattare due foto commemorative, con le giovani donne e con i giovani uomini, e si diresse verso il microfono con il desiderio di affidare ai giovani il futuro del movimento.
«Il modo in cui si impiega il proprio tempo è un tema di grande importanza nella vita di una persona. C’è chi afferma che si può avere successo nella vita a seconda di come si trascorre l’intervallo di tempo tra le sei e le otto di sera, dopo aver finito di lavorare. È giusto e necessario concentrare nella professione le proprie energie, ma coloro che riescono, dopo il lavoro, a compiere attività basate sulle proprie convinzioni, mostrano nella loro vita una differenza notevole rispetto ad altri che non lo fanno. Per noi si tratta del tempo che dedichiamo alle attività della Gakkai – ovvero ad azioni per la felicità e la prosperità eterna nostra e degli altri – all’impegno di contribuire alle nostre comunità e costruire una pace indistruttibile nel mondo intero. Attraverso tali sforzi possiamo scoprire la gioia di vivere e il significato dell’esistenza. In questo modo lavoriamo inoltre per unire i cuori degli individui, rompendo il guscio della solitudine che dilaga nella società contemporanea. Continuiamo dunque a impegnarci e a lottare per tutta la vita senza mai deviare dall’orbita sicura, rappresentata dalle attività della Gakkai!».
Le parole di Shin’ichi si animarono di una passione ancora più intensa: «Non c’è altri che voi giovani a cui io possa affidare la missione di kosen-rufu nell’epoca futura, che nei prossimi dieci anni sarà attraversata da profondi cambiamenti. Desidero che forgiate voi stessi attraverso lo sforzo e lo studio. In particolare, impegnatevi a fondo nello studio del Buddismo, la filosofia dell’arte di vivere. Coloro che eccellono nel loro ambito sono persone che si sforzano continuamente, che faticano e studiano molto più degli altri. Ora, il mio desiderio è che tutti voi, filosofi e leader della gente comune, approfondiate e mettiate in pratica la grande filosofia buddista che è alla radice di tutto. Tale è la “via reale” che porta alla vittoria degli esseri umani».
In quei momenti, il  giuramento  di  lanciare grida di vittoria nel ventunesimo secolo  era stato indubbiamente “piantato come un seme” nel cuore dei giovani di Akita e di tutta la regione del Tohoku.

[86] Se i giovani saliranno con il loro entusiasmo sul palcoscenico di kosen-rufu, indipendentemente dai cambiamenti  epocali, il maestoso fiume Soka scorrerà sempre più possente verso l’eterno futuro, senza alcun dubbio.
Shin’ichi gridava in fondo al suo cuore: «Giovani! Vi affido la Gakkai. Vi affido il mondo intero. Vi affido il ventunesimo secolo».
Lo scrittore Shugoro Yamamoto (1903-1967) afferma: «Anche nella più violenta bufera di neve, ciò che deve crescere, crescerà».
Shin’ichi era convinto che i giovani lì riuniti avrebbero determinato di diventare leader del nuovo secolo, si sarebbero sforzati di espandere nella società una rete di fiducia e amicizia, e avrebbero moltiplicato le schiere di persone capaci che adempiono alla missione di kosen-rufu.
Nichiren Daishonin scrive: «Anche un solo seme, quando viene piantato si moltiplica» (RSND, 2, 568).
Shin’ichi aveva continuato a piantare in profondità nella vita dei giovani i semi della determinazione di praticare il Buddismo, del voto di kosen-rufu e del coraggio. Era stato un lavoro faticoso a cui si era dedicato anima e corpo, senza il quale non ci sarebbe stato alcun futuro di speranza.
Un giardino pieno di “fiori umani” si può creare nella misura in cui ci si sforza per far crescere persone capaci.
Il giorno dopo, il 15 gennaio, Shin’ichi celebrò lo scambio tra le due prefetture di Akita e Oita, fece Gongyo insieme ai rispettivi responsabili e lasciò il Centro culturale di Akita per dirigersi verso l’aeroporto. Durante il tragitto chiese all’autista di passare davanti alla sede secondaria di Akita, dove si teneva La mostra delle azioni per la pace.
Appena il pullman su cui era salito si avvicinò alla sede, vide alcune decine di giovani che stavano aspettando con uno striscione su cui spiccava la scritta in caratteri rossi: “Sensei, grazie di tutto!”.
Egli sorrise e agitò la mano con energia.
Tutti gridarono in coro: “Grazie!”, “Akita lotterà!”, “Torni presto!”
Anche i giovani continuavano a salutare con le mani.
Quell’incontro durò un istante, attraverso il vetro del finestrino, ma divenne un dialogo cuore a cuore, come un capolavoro pittorico eterno, indimenticabile.
Shin’ichi rifletté che quei sei giorni trascorsi ad Akita avrebbero brillato luminosi nella storia di kosen-rufu, come una rappresentazione del contrattacco.

[87] Il 7 febbraio, un mese dopo le guide ad Akita, senza un attimo di riposo Shin’ichi si recò nella prefettura di  Ibaraki. Anche in quella zona, come un vento furioso, stavano imperversando gli ignobili attacchi alla Gakkai da parte dei preti dello Shoshinkai.
In particolare, nell’hombu che includeva la città di Kashima e l’area circostante, i membri continuavano a lottare difendendo con fermezza l’organizzazione, ma anche passando all’offensiva.
A Kashima, Itako, Uchibori, Hasaki e altre città, molte persone si erano fatte raggirare dalle parole dei preti e si erano affiliate ai loro templi divenendo membri danto. Durante i sermoni mensili e le cerimonie funebri, i preti continuavano a infierire contro la Gakkai, mentre i membri continuavano a sopportare gli insulti con tenacia.
Nel febbraio del 1979, a Kamisu, nel distretto di Kashima, venne completato un tempio grazie alle donazioni dei membri della Gakkai che speravano almeno lì di poter ascoltare discorsi basati su una fede pura. Invece, proprio durante la cerimonia di apertura del Gohonzon le parole proferite dal prete appena nominato responsabile di quel tempio non furono altro che imprecazioni sulle offese alla Legge di cui sarebbe stata secondo lui colpevole la Gakkai. La sincerità con cui i membri desideravano realizzare kosen-rufu e l’armonia tra preti e laici fu brutalmente calpestata.
Anche in altre località, come Ryugasaki e Tsukuba Sannanbu (attualmente parte della città di Tsukuba), le accuse e le calunnie nei confronti della Gakkai si fecero sempre più feroci. Ciò che faceva soffrire di più i membri era il cambiamento repentino dei compagni di fede, con i quali fino a poco tempo prima avevano condiviso la determinazione di dedicare la vita a kosen-rufu.
Senza capire che erano manovrati dai preti, essi avevano infatti lasciato che la loro fede ne venisse stravolta. Tuttavia i membri promisero di far luce su ciò che era corretto e ciò che era erroneo, e di dimostrare a ogni costo la verità della Gakkai.
Si dedicarono così con tutte le energie alle attività per kosen-rufu, richiamando “la primavera” nella loro terra.
In quel periodo i membri continuavano a cantare insieme la canzone della loro prefettura, Una vita come un canto di trionfo, che Shin’ichi aveva scritto per loro nell’ottobre del 1978.

Benché vi troviate in un momento doloroso, arriverà il giorno
in cui soffierà la brezza dorata di kosen-rufu
e le vostre grida di vittoria e i vostri canti di gioia saliranno al cielo.
Come sono valorosi i membri di Ibaraki!

Ogni verso della canzone trasmetteva con forza il pensiero di Shin’ichi, e nel cuore di tutti si faceva spazio la determinazione di diventare coraggiosi, di non arrendersi mai.

[88] Nel pomeriggio del 7 febbraio 1982, dopo aver visitato il Centro culturale delle donne di Mito, Shin’ichi si recò al Centro di Ibaraki, nella città di Mito, per prender parte alla riunione dei rappresentanti della prefettura per l’inaugurazione del Centro.
Nel suo intervento espresse il suo desiderio: «Durante questa visita desidero incontrare più membri possibile, indicare un obiettivo che possa essere di speranza per tutti e fare di questo una nuova partenza verso il prossimo secolo».
Il giorno successivo, l’8 febbraio, Shin’ichi partecipò alla riunione dei responsabili di prefettura per l’inaugurazione del Centro culturale di Ibaraki. Qui si soffermò sulle cause principali che portano le persone, che pure sono state responsabili della Soka Gakkai, ad abbandonare la fede: «L’elemento che accomuna tutti coloro che lasciano che la propria fede si indebolisca – affermò Shin’ichi – è una forte arroganza. Lì si cela la causa principale. In realtà l’arroganza da una parte, e la codardia e la pigrizia dall’altra, sono le due facce della stessa medaglia. Per questo le persone arroganti non si assumono la responsabilità di kosen-rufu ed evitano di intraprendere nuove sfide e ulteriori sforzi. Nella loro vita non vi è né progresso, né crescita. Alla fine la loro fede si intorpidisce, il cuore viene dominato dall’ego e si riempie d’ira. In molti casi questo atteggiamento le spinge addirittura a compiere azioni tese a distruggere il movimento di kosen-rufu. Inoltre, accade quasi puntualmente che le persone arroganti trascurino la recitazione di Gongyo. Avvelenate dall’arroganza, guardano con sufficienza persino agli aspetti basilari della pratica buddista. Vi sono alcuni che, divenuti responsabili da giovani, una volta assunta una posizione direttiva all’interno dell’organizzazione si illudono di essere persone capaci e diventano individui arroganti che guardano con disprezzo chi li circonda. Non è la responsabilità ciò che rende grande una persona. Solo nello sforzo di adempiere alla propria missione e ai compiti che ne derivano, un essere umano può divenire tale. La responsabilità non è che una posizione, non dimenticate mai che ciascuno ha la sua missione. Solo quando le persone si uniscono insieme, ricoprendo ciascuna il proprio ruolo, e riescono a esprimere il proprio potenziale, è possibile far avanzare kosen-rufu. Le cariche non sono in alcun modo espressione di un giudizio di superiorità fra le persone. Nel corso di questi trent’anni ho conosciuto tantissimi membri della Soka Gakkai. La mia conclusione è che coloro che nell’attività preferiscono ricorrere a stratagemmi, non durano a lungo. Le persone astute, abili solo a gestire le situazioni, finiscono per arenarsi da qualche parte. Chi agisce per interesse personale si lascia sviare dalle relazioni per opportunismo. I veri vincitori nella vita, alla fine, sono coloro che coltivano lo spirito di ricercare la Legge, che portano avanti con costanza e diligenza la propria fede e poggiano saldamente i piedi nella realtà quotidiana».

[89] Anche il 9 febbraio Shin’ichi prese parte alla cerimonia di Gongyo per l’inaugurazione del nuovo Centro culturale di Ibaraki e incoraggiò i duemila membri riuniti provenienti da Mito, Kashima e Hitachi. Shin’ichi ribadì: «Uno degli attributi del Budda è “Eroe del mondo”. In altre parole, è colui che guida con coraggio le persone. Questa è la ragione per cui noi, discepoli di Nichiren Daishonin, dobbiamo diventare leader capaci, in grado di conquistare la fiducia della gente proprio tra le avversità della realtà quotidiana. Un altro appellativo del Budda è “Colui che sa sopportare”. Il Budda è colui che, apparso nel caotico e tumultuoso mondo di saha, la terra della sopportazione, resiste con coraggio al male ed è capace di nutrire compassione per ogni persona. Paragonate alle avversità che dovette affrontare il Daishonin, le nostre sono irrilevanti. Fede significa perseverare. Se ci consideriamo discepoli del Daishonin, dobbiamo alzarci basandoci su una fede incrollabile, che non vacilla di fronte a nulla. Vi prego quindi di affrontare di petto le tempeste delle avversità, di perseverare con pazienza e infine issare la bandiera della vostra vittoria nella vita».
Il 10 febbraio Shin’ichi si recò nella cittadina di Hitachi, dove partecipò alla cerimonia di Gongyo per il quinto anniversario dell’inaugurazione del Centro culturale di Hitachi.
Durante il suo saluto fece questa proposta: «Si narra che il signore feudale di Mito, Tokukawa Mitsukuni, vedendo l’immagine del sole che al mattino sorgeva dal mare, lo celebrò come il più bel panorama del suo feudo e diede a questa terra il nome Hitachi (hi: sole; tachi: alzarsi). Propongo quindi di adattare i caratteri che compongono il nome dell’organizzazione locale con quelli utilizzati dall’antico signore di queste terre».
Tutti gioirono alla proposta di Shin’ichi e approvarono con un grande applauso.
Il giorno successivo, Shin’ichi fece una foto nel giardino Kyokugitsu del Centro di Ibaraki insieme a tremilacinquecento giovani che partecipavano alla riunione generale dei giovani della prefettura di Ibaraki, presso il Centro culturale. Da quella riunione nacquero poi i “Gruppi giovani uomini e giovani donne di Ibaraki dell’anno 2000”, costituiti dai giovani che parteciparono quel giorno.
Subito dopo, Shin’ichi visitò per la prima volta il Centro culturale di Kashima, la zona che era stata colpita più violentemente dagli attacchi del clero. Lì tenne una solenne cerimonia di Gongyo per celebrare il giorno del compleanno del  secondo  presidente  Josei Toda, e prese parte alla riunione dei rappresentanti dell’hombu delle zone di Kashima, presso la città di Hokota.
Il giorno successivo, il 12 febbraio, passando per la città di Ishioka, prese parte alla cerimonia di Gongyo che celebrava il terzo anno dell’inaugurazione del Centro culturale di Tsuchiura, e fece una foto all’aperto insieme ai partecipanti.
Shin’ichi continuò a incoraggiare i membri senza sosta.
Quei compagni di fede avevano vinto.
Il sole del mattino del loro canto di trionfo si levò nel cielo.
Il coraggioso impegno di Shin’ichi proseguiva. Egli fece risuonare in ogni angolo del paese le grida di vittoria della lotta condivisa di maestro e discepolo.

(fine del capitolo)

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