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Gli scritti di Nichiren Daishonin - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:57

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    Gli scritti di Nichiren Daishonin

    Sperimentare anche soltanto una delle frasi inviate da Nichiren ai discepoli permette di vivere lo spirito dello studio buddista. Studiare il Buddismo significa infatti avvicinarsi all’atteggiamento del fondatore. Può accadere allora che, studiando e vivendo i principi buddisti sulla propria pelle, come racconta Roberta, si possano trasformare anche i punti nodali della vita

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    Sperimentare anche soltanto una delle frasi inviate da Nichiren ai discepoli permette di vivere lo spirito dello studio buddista. Studiare il Buddismo significa infatti avvicinarsi all’atteggiamento del fondatore. Può accadere allora che, studiando e vivendo i principi buddisti sulla propria pelle, come racconta Roberta, si possano trasformare anche i punti nodali della vita

    «Ogni volta che rileggo lo stesso testo, scopro una profondità diversa e mi colpisce per qualcosa di nuovo». Studiando il Gosho insieme, può capitare di ascoltare commenti di questo tipo. Effettivamente, nonostante ci separino oltre sette secoli da quando Nichiren scriveva lettere ai seguaci, e sessant’anni da quando fu decisa la prima pubblicazione in giapponese per un pubblico di laici, il Gosho – ovvero gli “scritti” di Nichiren Daishonin – non hanno i capelli bianchi. Anzi, la freschezza e la profondità delle sue parole riescono a commuovere e si incidono ancora con forza nella vita di chi legge.
    «Il Gosho è un insegnamento che parla del cuore», scrive infatti Daisaku Ikeda, fondamentale per praticare correttamente gli insegnamenti del Budda. E per poter mettere in pratica le parole e lo spirito del Budda, è necessario che tutti possano rivolgersi direttamente alla fonte originale.
    Sono già trascorsi sessanta capodanni, come scrivevamo qualche riga sopra, da quando il secondo presidente della Soka Gakkai Josei Toda si incaricò di realizzare un’opera diventata poi una pietra miliare nella storia del movimento laico. Fino a quel momento chi voleva arrivare alla fonte diretta degli scritti del Daishonin doveva utilizzare i testi delle altre scuole perché neanche la scuola ortodossa Nichiren (la Nichiren Shoshu) era in possesso di una raccolta completa e le mancavano i testi affidati da Nichiren a Nikko. Ma, quando Toda propose al clero di preparare un’edizione completa dell’opera, il rifiuto fu netto. In un articolo del 2004, Laura Barbieri commentava questi fatti con chiarezza: «La visione umanistica che muoveva Toda a voler pubblicare la raccolta del Gosho, cioè l’idea che ognuno dovesse esser messo in condizioni di elaborare una propria personale conoscenza e convinzione in relazione alla fede, senza ricorrere a intermediari, libera dall’ignoranza e dunque indipendente nelle proprie valutazioni e scelte, ha maturato un notevole effetto sociale. Noi siamo gli ultimi beneficiari, in senso cronologico, di una rivoluzione religiosa di straordinaria portata, resa possibile anche grazie a un’azione apparentemente ininfluente come la pubblicazione di un libro. Da questo punto di vista la mancata collaborazione della Nichiren Shoshu all’edizione del Gosho voluta da Toda appare assolutamente coerente con un’idea di religione basata sulla completa dipendenza, sottomissione e inferiorità del fedele al clero. Nel settecentesimo anniversario della fondazione del Buddismo, Toda ha posto le basi perché ognuno di noi potesse praticare come Nichiren Daishonin ha insegnato e propagare il suo insegnamento» (NR, 301, 23).
    Si racconta nelle pagine della Rivoluzione umana che dopo un primo momento nel quale Toda dette sfogo alla sua ira, egli decise che il 28 aprile 1952, a ogni costo, la pubblicazione sarebbe stata pronta. E così fu. Ne vennero stampate seimila copie, anche se a quel tempo i membri non arrivavano alle cinquemila unità, ma già l’anno successivo si procedette alla prima ristampa, perché poter conoscere lo studio del Gosho permise a molte persone di avvicinarsi agli insegnamenti di Nichiren Daishonin.

    Un giacimento di speranza

    «Lo studio del Gosho – afferma Daisaku Ikeda nella “Prefazione” alla Raccolta – ha lo scopo di approfondire la fede arrivando al cuore del Daishonin. Ha lo scopo di sviluppare la convinzione che la propria vita possiede speranza, pace e felicità eterne, comprendendo i supremi princìpi del Buddismo. E ha lo scopo di far emergere dalla nostra esistenza il coraggio per sdare ogni avversità, imparando dalle azioni concrete del Daishonin che ha affrontato e superato qualsiasi persecuzione» (Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, xiv).
    Il Buddismo parla di ricerca della felicità, qualunque cosa accada. Per poter sviluppare e mantenere una condizione di gioia, proprio quando ci troviamo ad affrontare gli ostacoli, lo studio è di fondamentale importanza. Qualunque tipo di beneficio visibile si possa ricevere è ben poca cosa rispetto all’enorme beneficio che si trae dal sentirsi pienamente capaci di trasformare le avversità in una fonte di sviluppo personale, in altre parole, dalla “rivoluzione umana”. Per compiere la nostra rivoluzione umana sicuramente ci scontreremo contro difficoltà di qualche tipo come è ben spiegato nella letteratura buddista. In questi momenti, la saggezza vitale acquisita con l’approfondimento delle parole di Nichiren, emerge spontaneamente per offrirci il punto di vista dell’insegnamento buddista, aiutandoci a non soccombere nei momenti di difficoltà.

    Lo studio non è un accessorio

    Recentemente è stato pubblicato un libricino che contiene una serie di riflessioni e consigli su come portare avanti una responsabilità nella Soka Gakkai: «Vi affido i membri della Soka Gakkai» è il suo titolo, utilizzando una frase del presidente Ikeda che ben riassume la delicatezza di questo incarico. Dato che essere responsabili significa prima di tutto fare un cambiamento individuale, per promuovere le attività nei gruppi, nei settori, nei capitoli, compresa quella dello studio, è importante essere consapevoli del loro significato. Nel capitolo dedicato allo studio individuale e in gruppo, si legge: «Uno degli elementi fondamentali della pratica buddista è lo studio. Spesso i membri sono inclini a considerare la recitazione di Gongyo e Daimoku come pratiche fondamentali e lo studio come pratica accessoria, da fare se avanza tempo. Niente di più sbagliato. Per quanto possa sembrare sufficiente recitare Daimoku per innalzare la propria condizione vitale, la carenza di studio si farà immancabilmente sentire col passare del tempo. “Alcuni di voi si staranno domandando perché si debbano studiare complicate teorie buddiste, quando recitare Daimoku e ricevere benefici è invece una cosa semplicissima – scrive Daisaku Ikeda nella Nuova rivoluzione umana – Dovreste tener presente, però, che per quanto la fede corretta permetta di ottenere grandissimi benefici, è anche irta di ostacoli e di difficoltà. A meno che non abbiate delle solide basi dottrinali, quando sorgeranno dei problemi comincerete a dubitare […] Ma se studiamo a fondo gli insegnamenti del Daishonin, apprendiamo il motivo per cui la fede corretta è sempre accompagnata da ostacoli e persecuzioni, e comprendiamo come è possibile raggiungere l’illuminazione in questa esistenza. Grazie allo studio, inoltre, quando parliamo agli altri del Buddismo possiamo far capire la grandezza degli insegnamenti del Daishonin e spiegare chiaramente, logicamente e persuasivamente le basi portanti”».

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    Come ho sconfitto il drago della paura
    Roberta Volpe pratica il Buddismo da undici anni. La preparazione degli esami di secondo livello l’ha aiutata a scoprire che lo studio attivo è uno studio pratico da applicare alla vita quotidiana. Ed è così che ha imparato a vincere le sue paure

    «La cosa fondamentale è che voi non solo rafforziate la decisione di continuare a studiare gli insegnamenti del Daishonin per tutta la vita, ma vi sforziate anche di mettere in pratica quello che avete imparato studiando per l’esame, anche solo una frase o una parola» (NRU, 7, 101).
    L’anno scorso si sono tenuti gli esami di studio di secondo livello. Nei mesi precedenti, in tutta Italia, si sono organizzati gruppi di studio per approfondire insieme il Buddismo.
    Anche se lo studio è uno dei cardini della pratica che si snoda sui binari di “fede, pratica e studio”, alle parole “esame” e “studio” si ricade sempre “nell’ansia da prestazione”. Mentre la data dell’esame si avvicinava sentivo sempre più frequentemente frasi come: «Non so nulla», oppure: «Mi bocciano di sicuro!».
    Io, nel panico di non avere abbastanza tempo, la sera prima dell’esame in preda all’ansia mi ritrovai a parlare con Ilaria che mi incoraggiò a cercare l’atteggiamento corretto nello studio del Buddismo. Sempre di corsa tra mille impegni avevo partecipato a qualche meeting di studio e avevo imparato date e definizioni, ma sentivo che mi mancava qualcosa. Quella sera mi trovai a riaprire un volume della Nuova rivoluzione umana e lessi: «Lo studio buddista non consiste semplicemente nell’apprendere delle nozioni. Significa avere una filosofia di vita. In termini pratici, vorrei proporvi di sforzarvi con costanza nella lettura degli scritti di Nichiren Daishonin e di applicarli nella vostra vita. […] se abbiamo una fede assoluta in questi brani e continuiamo a sforzarci in esatto accordo con essi, riusciremo a sperimentare nella nostra vita la validità di queste parole e svilupperemo naturalmente una grande convinzione nel Gohonzon. Questa è la maniera corretta di studiare gli scritti del Daishonin. In altre parole, lo studio del Buddismo è uno studio pratico che va applicato alla vita quotidiana. Se riusciamo a incidere nel nostro cuore una singola frase, facendola nostra, saremo in grado di capire con facilità gli altri brani del Gosho. Ciò avviene perché la padronanza di una frase porta alla comprensione di tutte le altre» (NRU, 9, 96).
    Questo passo mi riportò alla mente un’esperienza che avevo vissuto i primi tempi. Ricordo che, pur non avendo ancora ricevuto il Gohonzon, andavo alle riunioni di studio, dato che ho sempre avuto un profondo interesse per la filosofia buddista. Cercavo sempre di leggere prima il Gosho e la sua spiegazione in modo da poter avere un ascolto attivo. Ma la paura a parlare in pubblico mi bloccava dal fare domande.
    Alla fine di una di queste riunioni, al momento di decidere chi avrebbe tenuto il prossimo incontro di studio, così, su due piedi, la mia responsabile Maria Carmen fece il mio nome. Io raggelai all’idea e lei mi sorrise.
    «Scordatelo, non se ne parla nemmeno, non so nulla, non sono membro, non so parlare…». «Wow, abbiamo la presidentessa del club “Io posso!”», mi fu risposto.
    Per me era davvero un problema insormontabile. Per chi, come me, soffre di balbuzie parlare in pubblico è uno dei peggiori draghi da affrontare. Per quanto tu abbia studiato, alla fine la salivazione si azzera e le parole si accavallano all’uscita. No!
    Ma lei non si arrese. «Roberta, tenere un meeting di studio sul Gosho non vuol dire essere bravi oratori. Significa avere a cuore le persone e desiderare di incoraggiarle sinceramente. Certo, bisogna prepararsi, per questo ti sosterrò io, lo faremo insieme. L’attività è proprio questo, sfidarsi in ciò che non si sa fare, come in una palestra. Allora, davvero, lo studio lo si mette in pratica, perché lo viviamo in prima persona». Ancora perplessa, decisi di raccogliere questa nuova sfida con me stessa.
    Studiammo insieme il Gosho e per la prima volta capii cosa significava. Al tempo soffrivo della sindrome da prima della classe, ma quell’esperienza mi portò a sfrondare la mia arroganza per non perdere di vista il vero obiettivo della riunione: incoraggiare gli altri.
    «Mi incoraggia molto pensare che gli scritti del Gosho, alla fine, sono delle lettere di incoraggiamento. Quindi mi viene da pensare che, se anche Shingo Kingo era in preda a dubbi, paure e cadute, allora posso farcela anch’io! È questo lo spirito con cui leggere il Gosho, Roby, sta parlando a te. Scegli una frase di Gosho e usala per la tua traversata nei mari in tempesta. Vedrai come non perderai mai la rotta», mi dissi. Scelsi una frase dal Gosho Il generale Tigre di Pietra, poiché per me parlare in pubblico era esattamente impossibile, come conficcare la freccia nella roccia per il generale Li Kuang. [«Il potente guerriero, il generale Li Kuang, la cui madre era stata divorata da una tigre, scagliò una freccia contro una pietra, scambiandola per la tigre, e la freccia vi si conficcò fino alle piume. Ma quando si rese conto che si trattava di una pietra, non riuscì più a perforarla. In seguito a ciò divenne noto come il generale Tigre di Pietra» (RSND, 1, 846)].
    Alla fine il meeting fu bellissimo. Per quanto incespicassi ogni tanto, vedevo le persone che mi ascoltavano e seguivano senza difficoltà. Compresi allora come spesso i nostri timori siano generati solo dalla nostra oscurità. Da quel momento presi fiducia in me stessa, sentii che un mattone era stato posato. C’era ancora tanto da fare, ma avevo compreso come affrontare il mio drago. Lo studio era diventato un aspetto concreto nella mia pratica e non ringrazierò mai abbastanza la mia responsabile che mi sostenne dietro le quinte e mi fece vivere quell’occasione. L’oscurità è una gomma che cancella le nostre esperienze, ci fa dimenticare le nostre determinazioni. Quella notte prima dell’esame di secondo livello mi trovai a chiudere i libri e a recitare davanti al Gohozon per ritornare al cuore dello studio e metterlo in pratica davvero.
    Indipendentemente dal risultato, ero già stata promossa dalle mie paure, i giudici più severi!

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    Frasi indimenticabili

    «Non c’è vera felicità per gli esseri umani al di fuori del recitare Nam-myoho-renge-kyo. Il sutra afferma: “…e là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio”. Potrebbe forse indicare qualcosa di diverso dalla gioia senza limiti della Legge?» (Felicità in questo mondo, RSND, 1, 607)

    «Quando una persona è illusa è chiamata essere comune, quando è illuminata è chiamata Budda. È come uno specchio appannato che brillerà come un gioiello se viene lucidato. Una mente annebbiata dalle illusioni derivate dall’oscurità innata è come uno specchio appannato che, però, una volta lucidato, sicuramente diverrà limpido e rifletterà la natura essenziale dei fenomeni e il vero aspetto della realtà. Risveglia in te una profonda fede e lucida con cura il tuo specchio notte e giorno. Come dovresti lucidarlo? Solo recitando Nam-myoho-renge-kyo» (Il conseguimento della Buddità in questa esistenza, RSND, 1, 4)

    «Potresti pensare di aver fatto offerte alla torre preziosa del ­Tathagata Molti Tesori, ma non è così. Le hai offerte a te stesso. Tu stesso sei un Tathagata da sempre illuminato e dotato dei tre ­corpi» (La torre preziosa, RSND, 1, 264)

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