Nuove sfide all’orizzonte per la Soka Gakkai: dai rapporti difficili con i preti, che per lungo tempo avevano tenuto le persone sotto il loro controllo, agli attacchi da parte della stampa
Prosegue la pubblicazione del secondo capitolo del volume 27, “Giustizia”.
Nella narrazione, l’autore, Daisaku Ikeda, rappresenta se stesso con lo pseudonimo Shin’ichi Yamamoto
[8] I certificati di affiliazione ai templi venivano richiesti per i matrimoni, i viaggi, per chi iniziava un apprendistato o per i cambiamenti di indirizzo. In altre parole, i templi svolgevano la funzione degli ufficiali dell’anagrafe esercitando un’autorità assoluta sul popolo attraverso i loro sistemi di controllo per conto dello shogunato dei Tokugawa. Secondo il sistema terauke, le persone, indipendentemente dal loro volere, venivano registrate automaticamente al tempio dei loro antenati e, di regola, non potevano cambiare tempio o credo religioso. Inoltre, i templi ricevevano numerose offerte e si arricchivano svolgendo cerimonie, come quelle funebri. I monaci, ai quali venivano assicurati potere e ricchezza, persero man mano lo spirito di impegnarsi a ricercare il vero insegnamento buddista e incoraggiarsi l’un l’altro, scivolando verso la corruzione e la decadenza. Preda di egocentrismo e autoritarismo, guardavano i fedeli dall’alto in basso e stravolgevano l’insegnamento, facendone un “Buddismo per i funerali”, dove si attribuiva la massima importanza a cerimonie, quali appunto funerali e funzioni commemorative degli antenati.
Agli inizi dell’epoca Meiji (dal 1868 al 1912) il sistema terauke scomparve, ma il mondo buddista, autoritario e sprezzante verso la gente comune, non cambiò natura. Il governo concesse ai monaci la possibilità di sposarsi, misura che li portò sempre più verso la secolarizzazione. In Giappone il Buddismo diventò una religione formale, priva di un vero significato: una religione per lo svolgimento di cerimonie, che aveva abbandonato il suo spirito originale, cioè quello di incoraggiare le persone che soffrono.
Yukichi Fukuzawa [1835-1901, scrittore e pensatore giapponese, considerato uno dei fondatori del Giappone moderno, n.d.r.], affermò: «Si può dire che in tutto il Giappone non esista più la religione». Il clero buddista non faceva eccezione.
Nel sistema terauke, il Buddismo divenne una religione per i riti funebri e nell’era Meiji venne riconosciuta la libertà religiosa, ma quasi nessuno fra i monaci si sforzava di diffondere l’insegnamento buddista e di farlo conoscere ad altre persone. Lo spirito di Nichiren Daishonin, ovvero realizzare kosen-rufu, stava perdendosi. Il Buddismo è una filosofia eterna e la Legge mistica di per sé non scompare. Tuttavia, se coloro che ereditano il corretto insegnamento dimenticano la volontà ultima del Daishonin, kosen-rufu, e se si perde lo spirito di non lesinare le propria vita per la diffusione della Legge, il Buddismo verrà sostanzialmente distrutto. Proprio in quel momento critico, quando l’insegnamento buddista stava per cadere nell’oblio, sono apparsi i maestri e i discepoli della Soka Gakkai, decisi a realizzare il grande voto di kosen-rufu.
[9] Nel 1928 Tsunesaburo Makiguchi rimase profondamente impressionato dalla filosofia buddista di Nichiren Daishonin e mosse i suoi primi passi nella fede diventando un fedele della Nichiren Shoshu. Tuttavia, non sopportava che quei preti ostentassero una fede meramente formale, una “fede per i templi”. Egli ricercò il cuore dell’insegnamento originario del Daishonin e, basandosi su quello spirito, intraprese il suo cammino sulla grande via del Buddismo come un vero discepolo di Nichiren. Il 18 novembre 1930 Makiguchi e il suo discepolo Josei Toda fondarono la Soka Kyoiku Gakkai (Società educativa per la creazione di valore). All’inizio quest’associazione si dedicò a una riforma pedagogica basata sui princìpi buddisti, ma in seguito le sue attività furono interamente mirate a una rivoluzione religiosa poiché, secondo Makiguchi, il Buddismo di Nichiren era “l’insegnamento fondamentale ed esaustivo che soggiaceva a ogni aspetto della vita quotidiana”.
Nel primo numero del mensile dell’associazione, La creazione di valore, pubblicato nel 1941, furono presentati gli obiettivi principali. In esso si trova il seguente brano: «”Se uno è amico di una persona, ma manca della compassione di correggerla, in realtà è un suo nemico. Chi la libera dal male, sta agendo come un genitore” (Errori della Vera parola e di altre scuole, RSND, 2, 409). Basata su questo principio, che rivela l’essenza del Sutra del Loto, la fede dei membri della Soka Kyoiku Gakkai dovrà dimostrare la prova concreta della trasformazione della vita quotidiana, realizzata grazie all’impegno profuso in una pratica per sé condotta attraverso la pratica per gli altri». Veniva dunque spiegata a chiare lettere non solo la pratica buddista per se stessi, ma anche la “pratica per gli altri”, ovvero shakubuku e la propagazione della Legge mistica. Nel periodo bellico la libertà religiosa era minacciata, ma la Soka Gakkai fece di shakubuku e della diffusione della Legge le sue attività portanti. In questo modo tramandava l’eredità spirituale di Nichiren Daishonin, il cui desiderio erano appunto kosen-rufu e la rivitalizzazione di una fede che stava per scomparire. È importante inoltre sottolineare che il punto chiave delle attività della Soka Gakkai era la prova concreta della trasformazione della vita quotidiana. Attraverso la pratica del Buddismo di Nichiren, ognuno si impegnava a mostrare la prova concreta trasformando la propria vita, trovando soluzioni alle proprie sofferenze e preoccupazioni e costruendo la propria felicità.
Una religione che distoglie lo sguardo dalle sofferenze della gente è una religione morta in partenza. Se invece ci si avvicina a coloro che soffrono e si vive al loro fianco, allora si può dire di professare una religione autentica.
[10] «Sperimentiamo e dimostriamo scientificamente che la Legge mistica, la quintessenza del Buddismo, è la legge che regola la vita quotidiana di tutti gli individui». Questo era l’intento di Tsunesaburo Makiguchi. Egli inoltre dimostrò che la Legge mistica «non si limita a essere la mera verità di qualche concetto astratto, dedotta attraverso migliaia e migliaia di prove e controprove su ciò che è felicità o infelicità, ma è la fonte inesauribile da cui trarre la forza di vivere, che si manifesta nelle prove concrete della vita». In altri termini, il Buddismo di Nichiren Daishonin diventava «qualcosa di dimostrabile in ogni circostanza, da qualsiasi individuo, alla luce di tutte le possibili leggi che regolano la vita».
Il Daishonin insegna: «Niente vale più della prova concreta» (RSND, 1, 419). La forza necessaria per realizzare kosen-rufu, più che in milioni di teorie, risiede in un’unica prova concreta. Makiguchi aggiungeva: «Oserei dire che la maggior parte dei preti spiega gli insegnamenti del Daishonin alla luce del Gosho o dei sutra, ma è deplorevole che non sappia farlo attraverso prove concrete. Inoltre li espone come pure teorie, come se non ci riguardassero minimamente, e non come basi teoriche per la creazione di valore, in stretta relazione con la nostra vita quotidiana. Perciò anche i princìpi di massima importanza rimangono impossibili da comprendere pienamente».
Quella di Makiguchi fu sicuramente un’osservazione molto acuta sui preti che non si preoccupavano minimamente delle angosce e delle sofferenze delle persone nel loro quotidiano, e non erano più capaci di credere fermamente che il Buddismo fosse la via che permette di superare ogni problema o sofferenza. Riflettendo sui princìpi buddisti, espresse inoltre dubbi sulla profondità della fede dei preti, i quali non erano di fatto attaccati dai demoni. Egli argomentava che se le persone hanno una fede sincera, i demoni dovrebbero fare a gara tra loro per attaccare, come un’onda furiosa che incombe. «Bisognerebbe chiedersi chi tra i fedeli della Nichiren Shoshu è in preda ai tre ostacoli e ai quattro demoni. Coloro che guidano gli altri nella fede senza essere attaccati dai demoni, non sono forse i guardiani dell’inferno che conducono la gente verso i cattivi sentieri? Se l’avvento dei demoni non fosse un criterio di distinzione, come si potrebbe capire la differenza tra coloro che hanno una fede solo formale nella Legge e coloro che la praticano effettivamente?».
In un’epoca in cui le scuole buddiste, compresa la Nichiren Shoshu, si spalleggiavano le une con le altre evitando i dibattiti religiosi indipendentemente dalla profondità dei loro insegnamenti, Makiguchi avviò un processo di verifica della validità delle religioni e diede il via a una vera e propria rivoluzione religiosa. Egli credeva infatti fermamente che dalla religione dipenda la felicità o l’infelicità dell’essere umano.
[11] Il movimento religioso della Soka Kyoiku Gakkai fondato da Tsunesaburo Makiguchi si rivelò un’autentica rivoluzione religiosa condotta da persone comuni e non da preti che per lungo tempo avevano tenuto la gente sotto controllo. Con il passare del tempo anche la Nichiren Shoshu era diventata un “Buddismo per i funerali” concentrato solo sulle cerimonie formali; in questo modo kosen-rufu, il mandato fondamentale del Daishonin, non si sarebbe mai potuto realizzare: questo era ciò che preoccupava Makiguchi.
A questo proposito egli commentò: «In definitiva, credo che il mio maggiore contributo stia nell’aver applicato, da laico, la teoria della creazione di valore ai princìpi della fede della Nichiren Shoshu, e che in ciò consista la singolarità della Soka Kyoiku Gakkai. Come ho precedentemente affermato, la Soka Kyoiku Gakkai è una magnifica organizzazione religiosa laica, la cui particolarità consiste nell’aver applicato al culto della Nichiren Shoshu la mia teoria della creazione di valore».
Makiguchi sottolineava quindi come la Soka Kyoiku Gakkai, con l’introduzione della teoria della creazione di valore sulla base dell’insegnamento di Nichiren Daishonin, fosse riuscita a spiegare le ragioni della felicità o dell’infelicità della vita umana: in ciò risiedeva la grande peculiarità che la differenziava dal clero. In sintesi, attraverso il conseguimento di una vita felice, aveva dimostrato il potere del Gohonzon e del Buddismo del Daishonin, e allo stesso tempo dato un forte impulso al movimento di kosen-rufu. Ma quando la Gakkai cominciò a sostenere che esistevano insegnamenti religiosi più o meno profondi, e che dalla fede nell’insegnamento corretto del Daishonin, la Legge fondamentale della vita, dipendevano le retribuzioni karmiche, positive o negative nella vita quotidiana, e conseguentemente le prove concrete della felicità o dell’infelicità, si attirò una forte avversione da parte del clero. I preti, che avevano perso lo spirito di shakubuku e che, come quelli di altre scuole, predicavano un “Buddismo per i funerali”, avevano paura di inoltrarsi nella via dell’insegnamento buddista corretto, secondo le parole del Daishonin. Nella vita di coloro che perdono di vista l’ideale di kosen-rufu e che non praticano con tale scopo, le difficoltà non si manifesteranno, ma ciò equivale ad abbandonare lo spirito del Daishonin.
Nel giugno del 1943 accadde un fatto sorprendente che provò tutto questo: l’accettazione da parte del clero della Nichiren Shoshu del kamifuda, il talismano scintoista.
[12] Il governo militarista, che si preparava alla guerra con il sostegno morale dello Shintoismo di stato, per controllare l’opinione pubblica aveva obbligato i templi buddisti, tra cui il tempio principale della Nichiren Shoshu, ad accettare il kamifuda, il talismano shintoista della dea Amaterasu [la “dea del sole”, considerata l’antenata diretta della famiglia imperiale giapponese, n.d.r.].
Verso la fine di giugno del 1943, i preti ordinarono al presidente Makiguchi, al direttore generale Josei Toda e ad altri responsabili della Gakkai di uniformarsi al comportamento del tempio. In presenza del patriarca Suzuki Nikkyo e di altri preti di alto rango, il responsabile dell’ufficio Affari generali del clero chiese se la Gakkai potesse, per precauzione, accettare il kamifuda, e disse che loro, i preti della Nichiren Shoshu, l’avevano già fatto. Temendo l’oppressione del governo militarista, si erano infatti conformati alle sue decisioni.
Accettare un talismano shintoista era non solo un’azione molto grave dal punto di vista dottrinale, rinnegando l’insegnamento corretto del Daishonin, ma significava anche rinunciare alla libertà religiosa e sottomettersi al controllo militarista.
Makiguchi rispose categoricamente: «Non possiamo obbedire. Non accetteremo mai il kamifuda». Rifiutò il talismano seguendo il diciassettesimo dei Ventisei ammonimenti di Nikko Shonin: «Non seguite nemmeno il patriarca se va contro la Legge buddista e propone opinioni personali» (Il Buddismo della gente, IBISG, 2013, pag. 110).
Le parole di Makiguchi conducevano la Gakkai verso il sentiero dell’insegnamento buddista corretto, la via gloriosa dei fedeli del Daishonin che propagano la Legge mistica “senza lesinare la propria vita”. Lasciando il luogo della riunione, Makiguchi disse al suo amato discepolo Toda, soffocando la collera: «Ciò che mi rattrista non è tanto la decadenza di una setta religiosa, quanto la visione di un paese che crolla davanti ai miei occhi. Mi preoccupo e non faccio altro che pensare al dolore che proverebbe il Daishonin. È il momento di ammonire questo paese!». Toda rispose: «Sensei, io lotterò a costo della mia vita. Qualunque cosa accada, resterò sempre al suo fianco».
I maestri e i discepoli della Soka Gakkai sono legati da un’unione spirituale volta a kosen-rufu, che trascende vita e morte. Dopo qualche tempo Makiguchi e Toda furono arrestati e incarcerati con l’accusa di lesa maestà e violazione della Legge per il mantenimento dell’ordine pubblico. Alla fine, compresi loro, furono imprigionati ventuno responsabili della Soka Kyoiku Gakkai.
[13] Non appena il presidente Makiguchi e gli altri furono arrestati, la Nichiren Shoshu, profondamente sconvolta, cercò di tagliare ogni legame con la Soka Kyoiku Gakkai, ad esempio vietando ai discepoli di Makiguchi di visitare il tempio.
Il limpido e puro corso del Buddismo di Nichiren Daishonin fu difeso strenuamente, a costo della loro stessa vita, da Tsunesaburo Makiguchi e Josei Toda, maestro e discepolo della Soka Gakkai, che portarono avanti fino in fondo il corretto spirito del Buddismo originale.
Il maestro Makiguchi morì martire in carcere, ma il direttore generale Toda, che aveva ereditato il testamento spirituale di Makiguchi per kosen-rufu, sopravvisse e uscì di prigione il 3 luglio del 1945. Egli si alzò da solo in questa sua battaglia tra le rovine di un paese prossimo alla sconfitta. Dopo la scarcerazione, mise immediatamente mano alla ricostruzione della Soka Gakkai. Ne cambiò il nome da Soka Kyoiku Gakkai (Società educativa per la creazione di valore) a Soka Gakkai (Società per la creazione di valore). Voleva mostrare chiaramente che essa non era un’organizzazione composta da educatori, che puntava a una riforma dell’educazione, ma un’associazione dedita a kosen-rufu, in cui le persone comuni si sarebbero organizzate ampiamente in una struttura.
Sei anni dopo la sua scarcerazione, il 3 maggio del 1951, Toda divenne secondo presidente della Soka Gakkai. Questo fu l’appello che lanciò in quella occasione.
«La consapevolezza che sento per la mia missione mi porta a dirvi francamente: sacrificherò questa mia vita per kosen-rufu. Da ora al termine della mia vita, realizzerò con le mie mani settecentocinquantamila famiglie di praticanti. Desidero raggiungere assolutamente questo traguardo entro quel momento, e mi auguro che il clero sia pronto ad accogliere tanti nuovi fedeli. Se non dovessi riuscirci, gettate pure i miei resti nel mare a largo di Shinagawa». Nelle sue parole riecheggiava l’ardente volontà che animava il suo cuore: risvegliarsi alla missione di Bodhisattva della Terra e alzarsi da solo per kosen-rufu.
Il grande voto di kosen-rufu può essere realizzato solo da un individuo coraggioso che si alza in piedi e comincia a lottare per questa causa. Una persona dopo l’altra si alzeranno in piedi, allora, seguendo l’esempio del maestro. È l’insieme di tutte queste persone che rende possibile la realizzazione di questo voto. Chiedere agli altri di perseguire obiettivi numerici senza agire per primi non produce altro che una massa disordinata, un gregge di pecore codarde. Con un atteggiamento simile sarà impossibile realizzare il grande voto della propagazione della Legge. Alzarci noi stessi insieme al maestro: questo è il grande cammino della Soka Gakkai.
[14] Quando Josei Toda diede inizio alla sua ricostruzione, la Gakkai era al collasso. Ma da quel momento, negli anni l’organizzazione si sarebbe rafforzata sotto la guida di Toda e avrebbe dato vita a una campagna di shakubuku senza precedenti, realizzando settecentocinquantamila famiglie di praticanti.
Nell’ottica dell’insegnamento buddista non c’era dubbio che la Soka Gakkai fosse l’organizzazione fedele al mandato del Budda, comparsa in questo mondo per preservare la Legge e per la realizzazione di kosen-rufu nell’Ultimo giorno della Legge, e che essa fosse composta dai Bodhisattva della Terra.
Ci furono però alcuni templi che, non vedendo di buon occhio il fatto che i membri laici della Gakkai avanzassero con gioia ed entusiasmo per kosen-rufu, si rifiutarono addirittura di consegnare loro i Gohonzon. Nel clero permaneva ancora una meschina tendenza a considerare i fedeli al loro servizio e a comportarsi in modo sprezzante nei loro confronti.
Toda lottò con forza contro questi preti malvagi. Era fermamente convinto che, trascurando questo male, esso alla fine sarebbe divenuto l’origine della distruzione di kosen-rufu, e si sarebbe trasformato quindi in un “grande male”.
«Per questo rispettiamo i preti venerabili, ammoniamo quelli malvagi, confutiamo i preti meschini, proteggiamo la Nichiren Shoshu dai suoi nemici esterni e preghiamo per la realizzazione dell’unità fra preti e fedeli laici. Dobbiamo proteggere la Nichiren Shoshu a costo della nostra stessa vita». Questo era lo spirito che animava Toda ed era il campanello d’allarme rivolto ai discepoli. Infatti la Soka Gakkai lottò risolutamente contro i preti malvagi, difese il clero e contribuì alla sua crescita per portare avanti il corretto spirito del Buddismo e per lo sviluppo di kosen-rufu.
Avvenne in seguito un episodio che la Soka Gakkai non potrà mai dimenticare. Era il 27 aprile del 1952, l’anno successivo alla nomina di Toda a secondo presidente della Soka Gakkai, e l’occasione fu il grande raduno che si svolse al tempio per la celebrazione dei settecento anni dalla proclamazione della Legge.
Un membro della Soka Gakkai scoprì al tempio principale della Nichiren Shoshu la presenza di Jiko Kasahara, un prete che aveva offeso la Legge perché durante la guerra era stato un sostenitore della teoria dello shinpon busshaku: per questo nell’autunno del 1942 era stato per questo allontanato dalla Nichiren Shoshu e depennato dall’albo del clero. Lo shinpon busshaku era una stravagante teoria secondo la quale la divinità (kami) costituiva la vera natura, mentre il Budda non era altro che una sua forma apparente e che questa era anche l’essenza del messaggio di Nichiren.
Si trattava di una teoria erronea che si piegava al volere del governo militare di sostenere la guerra, negando di fatto dalle fondamenta l’insegnamento del Daishonin e spingendo i fedeli confusi verso lo spirito nazionalista e lo Shintoismo.
(continua)