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Giovani, sempre - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:43

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    Giovani, sempre

    A Bologna esiste un gruppo che ha l’obiettivo di avanzare sempre, mettendo in campo le migliori energie fino all’ultimo istante. Per realizzare vite ricche di significato per sé e per gli altri

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    A Bologna esiste un gruppo che ha l’obiettivo di avanzare sempre, mettendo in campo le migliori energie fino all’ultimo istante. Per realizzare vite ricche di significato per sé e per gli altri

    «Lo scopo delle nostre vite, fino all’ultimo momento, è di realizzare qualcosa di valore» (D. Ikeda, L’età della saggezza, Esperia, pag. 23). Fino all’ultimo momento. Chi lo sa quale sarà l’ultimo momento. Oggi, domani, tra vent’anni… Perché allora perdere del tempo e domandarsi: «Ce la farò?», «Ho le energie necessarie?», «L’età me lo consente?». Non è questo l’insegnamento di Nichiren. Non è questo il messaggio che ci invia sensei. La vita è un contenitore infinito che va riempito di oggetti preziosi.
    A Bologna esiste un gruppo che si ritrova per continuare su questa strada. Confrontandosi e incoraggiandosi a vicenda. Chi ne fa parte? Donne e uomini dai settant’anni in su (anche se poi c’è qualche “infiltrato” sessantanovenne che non ha voluto aspettare la data di compleanno). Se capiti a una loro riunione rimani abbagliato dai sorrisi e dai colori. Rosso, azzurro, pervinca. E non è perché siamo in primavera. È il desiderio della gioia, anzi la gioia stessa che si manifesta nell’aspetto. Perché è fuori che “trasciniamo” quello che abbiamo dentro. Queste riunioni sono per loro una fonte di ispirazione. Tanto che sarebbe bello se a turno fossero frequentate da qualche giovane o qualche persona di mezza età. Così, giusto per ricordarsi come si dovrebbe affrontare ogni giorno l’esistenza.
    «Esiste un’età biologica e della mente, non solo anagrafica – dice Adriana Cavalieri Rivola, responsabile onoraria di territorio e praticante dall’83 – Goethe, Beethoven e tanti altri grandi non hanno realizzato le loro opere migliori in età avanzata?». Adriana cita poi Rita Levi Montalcini: «Ho perso un po’ la vista, molto l’udito, alle conferenze non vedo le proiezioni e non sento bene. Ma penso più adesso di quando avevo vent’anni. Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente».
    Ed è attraverso la mente e il cuore che interpretano la loro vita in questa esistenza. «Oggi la giovinezza viene idolatrata – spiega Maria Grazia Monizio – e non c’è spazio per gli anziani. Oggi gli uomini non muoiono sazi della propria vita, muoiono stanchi. Io, invece, voglio saziarmi della mia vita. In ogni momento».
    «Ho talmente tanti impegni da realizzare che morirò sazia e anche di stanchezza – interviene Amalia Medvedovskaja, di origine russa e ormai in Italia da molti anni, “per amore” -. Ho settantun’anni e ancora non ho deciso cosa farò da grande, c’è sempre tempo per cambiare la nostra esistenza. È questa la gioia di vivere, è questo che ci insegna il Buddismo che pratichiamo». «E poi – aggiunge – devo proprio dirvelo: quando ci siamo conosciuti sembravamo appassiti, ora siamo tutti rifioriti!».
    Queste occasioni di incontro sono naturalmente anche un momento per incoraggiarsi a vicenda, leggere passi interessanti da libri e guide e scambiarsi esperienze.
    «Pratico dal ’94, allora avevo cinquantaquattro anni ma mi sentivo “alla frutta” – racconta Anna Brandoli -. Ero in un forte stato di depressione, tanto che lo psicologo mi disse: “O lei fa qualcosa, o non si rialza più”. Ho fatto qualcosa: ho cominciato a praticare il Buddismo. E non dimenticherò mai il sostegno di tanti compagni di fede. Tra questi Iolanda Lambertini. Ero dirigente d’azienda e questa azienda è fallita. Poi mi è capitato un concorso indetto da un ente pubblico per una casa di riposo. L’ho vinto e allora ho cominciato ad avere a che fare con la vecchiaia, e così sono uscita dalla mia sofferenza e ho risalito la china». «A proposito – aggiunge – assisto mia mamma che ha novant’anni e mi fa impazzire, ma sono contenta perché tra le tante scoperte che ho potuto fare grazie a questa pratica c’è quella di saper dipingere e ora, con le mille cose che ho da fare, non ho davvero tempo per pensare alla mia vecchiaia».
    «Io pratico da nove anni – dice Mario Cerra – e sapete perché ho cominciato? Perché mia moglie finalmente sorrideva. Allora ho pensato che le cose potevano trasformarsi davvero. Certo, anche dopo ho avuto momenti difficili. Due anni fa ho smesso di lavorare ed è stata davvero dura. Sono caduto in depressione e volevo sempre stare a letto. Poi è stata la volta di un’embolia bilaterale polmonare che mi ha portato in ospedale e, ancora, la prostata. Io, che in vita mia non ero mai stato in ospedale. Eppure sto bene, non era tumore e non ho mai sentito tanto forte la voglia di vivere».
    La moglie, è qui anche lei. Maria, spumeggiante e con una bella giacca rossa. «Sì è vero avevo sempre il muso – ammette – ma ora, guarda qui, sorridere mi ha portato via le rughe. Ad avvicinarmi al Buddismo è stato mio figlio. Anche mia figlia pratica ed è stato mio marito a costruirle il mobiletto per custodire il Gohonzon».
    «Anche a me ha fatto shakubuku mia figlia – dice Renata Da Vià – io le ho dato la vita ma lei mi ha messo la mia vita tra le mani. Avevo quarantanove anni ed era un momento di grande sofferenza. Ora che sono trascorsi venticinque anni da allora mi accorgo di quante cose sono cambiate. Quando io e mio marito siamo andati alla cerimonia di consegna del Gohonzon a Milano (allora abitavamo a Torino) lui era ammalato e non usciva più di casa. A smuoverlo fu l’incoraggiamento di un membro di Torino che non dimenticherò mai: “Elio, noi abbiamo fiducia in te”. Queste parole hanno completamente cambiato l’atteggiamento di mio marito che il tragitto da Torino a Milano in macchina lo ha fatto cantando. Io so che in quel momento ha toccato la felicità».
    «Sì è vero, il Gohonzon ti cambia la vita e gli incoraggiamenti ti aiutano ad affrontare i momenti difficili – interviene Wilma Cavallo, ventitré anni di pratica e un passato d’attrice di teatro con Totò -. Avevo cinquantatré anni quando ho cominciato e, ovviamente, tanti problemi. A quaranta ero rimasta vedova con tre figlie. Cosa è successo? Ho trovato lavoro e a sessant’anni mi sono risposata con una cerimonia a Miami. Credo proprio che la vecchiaia sia un sentimento che nasce dalla mancanza di voglia di vivere. Prima mi sembrava di avere il mondo sulle mie spalle. Ora la situazione si è capovolta, i problemi sono in basso e io li guardo dall’alto».
    Maria Baldazzi è la più silenziosa, ma anche lei di cambiamenti nel corso di quattordici anni di pratica ne avrebbe tanti da raccontare. E di soddisfazioni, come aver superato gli esami del Dipartimento di studio due anni fa, a settantasei anni. «Mio marito mi prendeva in giro all’inizio perché recitavo Gongyo senza capirne il significato, allora gli dicevo che quando ero piccola la messa si celebrava in latino e anche in quel caso non capivo nulla». «Ho cominciato a praticare il Buddismo – dice – osservando mia figlia Angela recitare Daimoku, mi sono incuriosita e ho cominciato a fare domande e così… Oggi sono così felice quando le riunioni si tengono a casa mia».
    Le esperienze e i racconti vanno avanti. Quando cominciano nessuno li ferma più questi flussi di vita instancabile e potente. Giusy Versari dice semplicemente: «Continuerò a praticare finché avrò la facoltà di parola». Bruna Tortello, parla della sua lotta davanti al Gohonzon contro una diagnosi di celiachia: «Sarà una sciocchezza, ma io questo problema proprio non lo volevo. Allora l’ho combattuto con tutta l’intensità del mio cuore e ho vinto, a dispetto delle sicurezze dei medici». E Maria Luminetti trasmette un grande esempio di pratica per gli altri, per gli anziani che ha in cura e per la nipote. Lei, che non ha mai saputo chi fossero i genitori e che qualche anno fa ha perso una figlia ha trovato la sua strada e il Daimoku lo rivolge prima di tutto a coloro che vuol vedere felici. Sicuramente un modo per riempire di gioia e felicità anche la sua vita.
    Ci salutiamo, più allegri ed energici di quando eravamo arrivati, tornando al presidente Ikeda e a un suo consiglio: «Non dovete permettere a voi stessi di invecchiare prima del tempo. Vi prego di vivere con uno spirito giovane. Questo è l’insegnamento del Buddismo ed è il modo in cui si dovrebbe vivere. Se decidete di impegnarvi per il bene degli altri ringiovanirete. Se dedicate la vita ad aiutare gli altri, rimarrete giovani. È la promessa di Nam-myoho-renge-kyo» (da Giorno per giorno, Esperia, 17 marzo).

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    Come prendere la vita

    Elva Michelini, di Castelfranco Emilia (MO) riceve il Gohonzon lo scorso 23 gennaio, alla soglia dei novantuno anni. Ha iniziato a praticare nel lontano 1985, all’età di settantacinque, grazie a una nipote malata. Se ricevere il Gohonzon è un punto di partenza, cosa significa riceverlo a quell’età?

    Quando nel 1985 hai ascoltato per la prima volta Nam-myoho-renge-kyo, come hai reagito?
    Il suono mi ha riempito, mi piaceva davvero tanto, lo sentivo dentro.

    Non hai pensato: «Son tutti matti»?
    No. Ho iniziato subito a recitare Nam-myoho-renge-kyo, mattino e sera, e da allora non ho più smesso. Non sapevo niente del Buddismo, per me era una “stregoneria” che mi aiutava a sbrogliare la matassa. Uno dei miei due figli si era ammalato di esaurimento nervoso, e io cercavo qualche Dio che mi aiutasse. Ho iniziato a praticare per i miei figli. Per me cosa praticavo a fare? Mi sentivo vecchia, allora, avevo già settantacinque anni. Ho iniziato a praticare insieme a mio figlio, quello che soffriva di esaurimento nervoso. Dopo qualche tempo però, l’altro figlio che, sebbene non praticasse, mi accompagnava sempre alle riunioni buddiste, si è tolto la vita, invece di tirare avanti. A quel punto il figlio malato che stava praticando ha smesso di recitare e si è riavvicinato alla chiesa.

    E tu, che hai iniziato a praticare per il bene dei tuoi figli, che cosa hai fatto in quel momento?
    Non ho mollato. Ho continuato a recitare. Cosa avrei dovuto fare? Un figlio ormai l’avevo perso, l’altro si era spostato verso la chiesa. Mi sono detta: «Io tiro avanti».

    Se hai continuato anche in un momento di grande sofferenza come quello, penserei che la tua era una fede forte e sincera. Perché allora non ti decidevi a ricevere il Gohonzon?
    Perché io mi dicevo che il Gohonzon ce l’avevo dentro di me, era il Gohonzon che mi aveva donato mia madre, quando mi aveva messo al mondo. A cosa mi serviva ricevere un altro Gohonzon?

    Perché adesso, all’età di novantuno anni, hai invece deciso di riceverlo?
    Il Gohonzon dentro di me ce l’ho ancora, questo non mi scappa. Ho però sentito che era il momento di ricevere anche il Gohonzon di Nichiren.

    A una persona praticante che non ha ancora ricevuto il Gohonzon, tu che cosa diresti oggi?
    Direi che non è mai troppo tardi.

    Come ha reagito tuo figlio, così vicino alla chiesa, quando ha saputo che tu avresti ricevuto il Gohonzon?
    Mi ha detto: «Se ricevi il Gohonzon, io non vengo più a trovarti a casa». Io però non ho mollato, avevo deciso di riceverlo e l’ho fatto lo stesso. Mio figlio, ora, si è comunque riavvicinato a me.

    In che modo Nam-myoho-renge-kyo ti aiuta?
    Mi sento più forte. Oggi, quando incontro le persone, non ho difficoltà a salutare nessuno. Ho sempre la parola pronta, quella che serve per incoraggiare, senza fare troppo la spiritosa. Riesco a prendere la montagna e la pianura, gli alti e i bassi. Guardo le persone negli occhi.

    Vuoi dare un consiglio alle persone anziane?
    Alle persone anziane voglio dire che se recitano Nam-myoho-renge-kyo si faranno andare via tutte le cose brutte che hanno nella testa. Non pensare alla morte, pensa al domani. Dico sempre così.

    E ai giovani che consiglio vuoi dare?
    Anche ai giovani dico di recitare, e poi di andare avanti comunque. La vita è dura, bisogna saperla prendere. Ti viene incontro spesso alla rovescia, e devi saperla affrontare comunque. Io ho novantuno anni, io l’ho affrontata la vita, davvero.
    a cura di Wilma Massucco

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