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Giorno di maestro e discepolo - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 10:39

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Giorno di maestro e discepolo

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In questo giorno,
il giorno dell’arresto e della scarcerazione,
rifulge la via di maestro e discepolo.
(RU, 11, 330)

Nella storia della Soka Gakkai il 3 luglio è una data dal profondo significato. Per i membri di tutto il mondo questo giorno rappresenta la lotta condivisa di maestro e discepolo per il trionfo della verità e della giustizia.
E per ognuno di noi è l’occasione di rinnovare la promessa di realizzare un mondo basato sul rispetto della dignità della vita, ereditando il testimone della lotta portata avanti dai tre maestri eterni della Soka Gakkai.
Tutta la nostra forza come discepoli scaturisce dalla fede basata sulla relazione con il maestro. Ogni volta che ci troviamo di fronte a un muro invalicabile è il momento di tornare a questo punto di origine, alla relazione di non dualità con il maestro, che ci permette di far scaturire il coraggio per superare qualsiasi difficoltà.

Il tempo di realizzare kosen-rufu

Il 3 luglio del 1945 Josei Toda uscì dal carcere in cui era stato rinchiuso per due anni per mano delle autorità del regime militarista. Il suo maestro Tsunesaburo Makiguchi, che aveva avuto così profondamente a cuore il proprio paese e il benessere della gente, aveva perso la vita in carcere.
Di fronte alla devastazione causata dalla guerra, Toda fece il voto solenne di realizzare kosen-rufu.
«“Per quanto ancora continuerà questa follia?” si domandò Toda. La sua voce si perse nell’oscurità, ma il suo cuore bruciava di rabbia. Tutti gli esseri umani aspirano alla pace e alla felicità. Non ci dovrebbero mai essere guerre. Chi ne può gioire, chi ne trae vantaggio? Né i vincitori né i vinti».
Il suo cuore ardeva di convinzione e spirito combattivo. In quelle circostanze disperate, gli fu chiaro che era giunto il tempo di realizzare kosen-rufu. Nonostante lo stato di debilitazione, la sua determinazione era incrollabile. L’uscita di Josei Toda dal carcere segna l’avvio della ricostruzione della Soka Gakkai.
Per una “mistica coincidenza”, il 3 luglio è anche il giorno in cui il discepolo diretto di Toda, il giovane Daisaku Ikeda venne arrestato nel 1957, ingiustamente accusato di aver violato la legge elettorale durante la campagna di Osaka.
Nonostante non fosse in alcun modo colpevole, Ikeda si fece carico di tutte le accuse per proteggere il suo maestro, la Soka Gakkai e i membri. Dopo due settimane durante le quali subì durissimi interrogatori venne rilasciato, il 17 luglio.
Il maestro Ikeda scrive: «Ne L’apertura degli occhi Nichiren Daishonin afferma che sorgeranno sicuramente persecuzioni da parte del governante del paese (cfr. RSND, 1, 212).
In esatto accordo con la sua severa predizione, il presidente Makiguchi, il presidente Toda e io abbiamo subìto persecuzioni da parte delle autorità governative. Questo prova inequivocabilmente che la Soka Gakkai sta vigorosamente portando avanti l’eredità del Daishonin, cioè la missione di adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese e realizzare kosen-rufu».

L’impegno risoluto per i diritti umani

Il processo proseguì anche dopo la nomina di Ikeda a terzo presidente della Soka Gakkai (3 maggio 1960), per un totale di ottantaquattro udienze. In quell’arco di tempo, Ikeda fu chiamato a presentarsi in tribunale ventitré volte. Nonostante tutto, riuscì ad aprire la strada di kosen-rufu mondiale e a costruire le solide fondamenta della Soka Gakkai, senza mai mostrare la minima preoccupazione per quella lunga battaglia legale.
Infine, il 25 gennaio 1962 si aprì l’ultima udienza presso la corte distrettuale di Osaka. L’integrità della Soka Gakkai e l’innocenza di Ikeda erano state riconosciute.
Questi eventi sono narrati nel volume 11 de La rivoluzione umana.
«Pensando a questi fatti, Shin’ichi percepì chiaramente che l’inevitabile destino della Soka Gakkai era lottare contro la natura demoniaca dell’autorità. In quel frangente, senza che nessuno se ne accorgesse, sorse nel cuore di Shin’ichi Yamamoto l’incrollabile determinazione di battersi tutta la vita per i diritti umani» (RU,11, 328).
Quando fu raggiunto dal telegramma che comunicava la chiusura definitiva del processo, Ikeda si trovava al Cairo, in Egitto, dopo essersi recato in Iran, in Iraq, in Turchia e in Grecia.
«Il verdetto della corte era dunque definitivo. Quando lesse il telegramma nella sua camera d’albergo Shin’ichi sorrise e annuì con soddisfazione. I raggi del sole al tramonto proiettavano una luce rossastra all’interno della stanza. […] Percependo i profondi legami del destino che univa le vite di maestro e discepolo, Shin’ichi si sentì estasiato. “Sensei!” disse dentro di sé, ricordando ancora una volta il maestro. Fuori dalla finestra il cielo del Cairo era illuminato dalla luce soffusa del tramonto. La sfera del sole ancora dorata si avvicinava all’orizzonte» (Ibidem, 330).

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