Deprecated: Function strftime() is deprecated in /var/www/vhosts/ilnuovorinascimento.org/wp-dev.ilnuovorinascimento.org/site/wp-content/themes/nuovo-rinascimento/functions.php on line 220
Figlia e madre - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:28

300

Stampa

Figlia e madre

Francesca Puzzo, Carini (PA)

«Ho capito che tutte le volte che ho affrontato e risolto i problemi nel rapporto figlia-madre, ho risolto nel rapporto madre-figli»

Dimensione del testo AA

«Ho capito che tutte le volte che ho affrontato e risolto i problemi nel rapporto figlia-madre, ho risolto nel rapporto madre-figli»

Penso che il mio percorso di sofferenza sia iniziato nel momento in cui sono nata. Nacqui talassemica, così fui ricoverata per una trasfusione di sangue. La mia famiglia stava malissimo economicamente, eravamo quattro figli, due maschi e due femmine. Non potendo materialmente sfamarci tutti, i miei genitori scelsero di mettere in due istituti diversi me e mia sorella, tenendo invece con loro i due maschi, perché secondo il tipo di cultura in cui vivevano, i maschi erano più importanti.
Così, dall’età di due anni, vissi in orfanotrofio. Mia nonna, durante le feste, mi riportava a casa, ogni volta sentivo la differenza di trattamento rispetto ai miei fratelli maschi, l’unica cosa che ottenevo da parte di mia madre erano ordini di pulire la casa, insulti e, se qualcosa non le andava bene, botte. Lei passava quasi tutto il suo tempo a letto, mentre mio padre non faceva nulla per proteggermi dalla sua violenza. Soffrivo tanto che a un certo punto preferii restare con le suore piuttosto che tornare a casa.
All’età di quattordici anni, mia madre mi organizzò la classica fuitina, che comunque per me rappresentò una liberazione, sia dal collegio che dalla mia famiglia. Mi sposai e subito scoprii che mio marito era dedito all’alcool, era violento, mi picchiava e rompeva tutto quello che gli capitava a tiro. Nacque Gaspare. La notte non si dormiva perché il bambino piangeva; una di quelle notti, mio marito, esasperato, prese il bambino e lo gettò in aria. Fortunatamente cadde sul letto.
Pian piano sentivo che qualcosa si rompeva dentro di me, sentivo la morte dentro. Nacquero altri due figli, Giuseppe ed Emanuela. In occasione della nascita della femminuccia, alcune frasi pronunciate da mio marito, di inequivocabile perversione, mi fecero rimanere di ghiaccio.
Si ripeté il percorso che conoscevo molto bene, che già avevo vissuto nella mia famiglia di origine. I bambini furono messi in un istituto per proteggerli dal comportamento violento di mio marito, io che ormai ero in depressione per tutta quella violenza subita, non riuscivo più ad accudirli. Con noi rimase solo la piccola.
Cercai un lavoro, perché mio marito i soldi li spendeva per procurarsi da bere. Un giorno, tornando da lavoro, notai che la bambina era stranamente impaurita e attaccata a me, ma non capivo, credevo che fosse un malessere dovuto alla mia lontananza. Ma poi pian piano capii che il problema era ben altro. Ricordai le frasi che mio marito aveva detto alla nascita della bambina e tutto mi fu chiaro.
Lasciai mio marito e chiesi a mia madre di ospitarmi insieme ai miei figli. Lei si rifiutò. Trovai una sistemazione e vari lavori, di assistenza a persone anziane. Vidi che riuscivo molto bene in questa attività e allora decisi di aprire una casa di riposo per conto mio. Inizialmente le cose andavano bene, ma poi iniziai una relazione con un uomo nella quale ero talmente morbosa e ossessiva, che alla fine lui si allontanò. Caddi nuovamente in depressione, iniziai prendere psicofarmaci e fui costretta a chiudere la casa di riposo. Mi ritrovai senza casa, senza lavoro, senza figli, questa volta tutti e tre in istituto. Mi sentivo inutile.
Conobbi in quel periodo una famiglia, dove lavorai per accudire una signora anziana, in seguito passai ad accudire un’altra persona della stessa famiglia, malata terminale. Mi avevano messo in guardia, perché questa donna era di una religione strana e faceva delle cose strane, ma io, quando la conobbi, rimasi colpita dalla sua serenità nell’affrontare la malattia.
Incontrai così il Gohonzon. Recitammo insieme e leggevo le riviste che mi aveva prestato. Più recitavo, più problemi esterni uscivano, ma dentro cominciavo a sentirmi una forza vitale sempre maggiore. Il primo beneficio materiale fu che riuscii a trovare una casa con un affitto adeguato alle mie possibilità economiche, così mi trasferii a vivere a Carini, una cittadina a circa venti chilometri da Palermo. Per proteggere i miei figli dalla vicinanza col padre, trovai il coraggio di prenderli a vivere con me. Intanto avevo preso contatto con i membri di Palermo e iniziato a partecipare alle attività, Nel 1992 divenni membro della Soka Gakkai, nel 1993 ricevetti il Gohonzon.
Ma le sofferenze non avevano smesso di perseguitarmi. Scoprii che mio figlio Gaspare, durante il servizio militare aveva iniziato a drogarsi. Un giorno tornando a casa, la trovai svuotata, aveva venduto tutto per comprarsi la droga. Incoraggiata dagli altri membri, feci tanto Daimoku e decisi finalmente di assumermi fino in fondo la responsabilità dei miei figli. Sentivo la mia fragilità interiore, ma tutto il Daimoku che facevo lo sentivo come se andasse a rinforzare le pareti della mia vita. Facevo sei, sette ore di Daimoku al giorno, un giorno anche dieci. Dopo qualche giorno mio figlio venne arrestato per una tentata rapina. Io pensai a tutti il tempo che avrebbe sprecato dentro il carcere, ma proprio in quei giorni stavo leggendo La rivoluzione umana, e in particolare lessi l’esperienza di Illuminazione vissuta in carcere da Toda, così sentii dentro di me che mio figlio poteva creare valore anche lì dentro. Lo andai a trovare e gli parlai della pratica e lui, in parlatorio, recitò Daimoku con me. Iniziò a praticare, coinvolgendo nella pratica buddista anche i suoi compagni di cella ma uscito dal carcere, smise e ricominciò a drogarsi. Venne nuovamente arrestato. Non sapevo più che fare, chiesi un consiglio nella fede e decisi che stavolta doveva essere lui ad assumersi fino in fondo le sue responsabilità, così scelsi, pur soffrendo tantissimo per questa decisione, di non andarlo a trovare in carcere, né gli trovai un avvocato. Da quella esperienza doveva decidere di ricominciare. Dalle lettere che mi mandava, capii che aveva imparato. Riprese a praticare e iniziò a valorizzare la sua vita, frequentando in carcere dei corsi di pittura e ceramica.
Nel periodo in cui recitavo tantissimo Daimoku per il problema di mio figlio, mi fu affidata la responsabilità di un gruppo che si era creato a Carini, ma dopo pochi mesi la abbandonai, perché avevo dei problemi con i membri di quel gruppo e non mi ritenevo all’altezza del compito assegnatomi. Così andai a fare attività in un gruppo di Palermo. Mi fu riaffidata la responsabilità di gruppo e, poco dopo quella di settore. Questa volta le portai fino in fondo nonostante la mia insicurezza, sentivo che era questa la strada per superare i miei limiti.
Intanto avevo scoperto che anche l’altro figlio si drogava. Capii che solo se avessi messo insieme questo problema con la felicità di tutte le persone del settore, avrei risolto. Tra l’altro, in occasione di un esame cui fui sottoposta in quanto donatrice di sangue, risultai positiva all’epatite C. Decisi allora di aumentare il Daimoku, facevo visite a casa, incoraggiavo gli altri e a mia volta ricevevo tanto incoraggiamento. Ripetei l’esame e risultò ancora positivo, ma dentro di me cresceva la sicurezza che sarei guarita. Mi ripetevo le parole che il presidente Ikeda aveva detto a Firenze: «Non esiste un Budda povero né un Budda malato». Rifeci l’esame e quando andai a prendere il referto, l’analista mi comunicò con grande compiacimento che il risultato era negativo. Mia figlia e mio figlio, che nel frattempo era entrato in comunità per disintossicarsi, hanno incontrato i loro compagni e adesso mi hanno reso nonna di due bei nipotini.
Vista la crescita straordinaria del settore, venne diviso e quello comprendeva anche Carini dove io vivevo, e dal cui gruppo ero scappata un anno prima. Fui nominata responsabile di quel settore e “costretta” a tornare nel mio vecchio gruppo. Ritrovai i problemi che avevo lasciato, ma stavolta il mio atteggiamento era diverso. Decisi che solo io dovevo prendermi la responsabilità di quel posto, a prescindere da quello che potevano dire o fare gli altri.
A distanza di due anni questo settore ha triplicato le presenze, e insieme a quello di Trapani, forma un capitolo.
Adesso la mia situazione economica è completamente cambiata. I debiti sono solo un ricordo, ho ricucito il rapporto con mia madre, grazie alle parole del Gosho di Capodanno che dice che «l’inferno esiste nel cuore di chi disprezza suo padre e non si cura di sua madre». Questa frase mi permette di sforzarmi di rendere manifesto il mio amore per lei. Ho capito che tutte le volte che ho affrontato e risolto i problemi nel rapporto figlia-madre, ho risolto nel rapporto madre-figli. Mia figlia Emanuela, tutte le volte che ha un problema, recita e dice che chi incontra Nam-myoho-renge-kyo, non lo dimentica più. Mio figlio Gaspare sta praticando. Giuseppe ha smesso con la droga.
Ho ripreso il rapporto con quel compagno che era scappato a causa della mia ossessività, e questa volta su basi diverse. Vorrei al più presto realizzare il desiderio di vivere insieme, ma allo stesso tempo vivo ancora dentro di me il trauma del mio matrimonio. Durante l’ultimo corso donne tenuto a Chianciano, ho focalizzato il punto che devo affrontare. Ho capito che finora ho cercato di modellare lui in modo che rispecchiasse perfettamente i miei desideri, mentre in realtà è su me stessa che devo lavorare.
Per il futuro desidero anche che il settore possa nuovamente sdoppiarsi, ma soprattutto che tutte le persone che ne fanno parte siano felici. Quanto a me, ho scoperto di amarmi e di non volermi accontentare più.

©ilnuovorinascimento.org – diritti riservati, riproduzione riservata