Non c’è vera felicità per gli esseri umani al di fuori del recitare Nam-myoho-renge-kyo. Il sutra afferma: «…e là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio»
tratto dalla Raccolta degli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 1, pag. 607
Deciso a credere
Avevo letto quella frase tante volte, distrattamente. Cercavo altro. Non che non risolvessi di volta in volta le questioni, anzi, se ripenso a come ero quando ho iniziato a praticare il Buddismo provo una grande e profonda gratitudine. Nel corso di quasi vent’anni avevo messo dei punti fermi che periodicamente approfondivo per progredire ma, quando compresi questa frase in modo nuovo, fu una folgorazione: Nichiren Daishonin mi stava dicendo un’altra cosa.
Non mi fermai all’approccio emotivo, ma cominciai a recitare Daimoku cercando quella felicità che non riuscivo a percepire nella mia vita, ma che, ormai l’avevo capito, era dentro di me. L’avrei tirata fuori con lo stesso atteggiamento testardo che si ha quando si cerca una cosa che sappiamo avere lasciato in una stanza, e si cerca finché non si trova. Avevo deciso di “trovare” e di sperimentare la frase di Nichiren: «Non c’è vera felicità per gli esseri umani al di fuori del recitare Nam-myoho-renge-kyo».
La recente spiegazione del presidente Ikeda di questo Gosho era diventata per me una fonte inesauribile di approfondimento. C’era un punto nel suo commento che sentivo lontano, ma capivo che era la chiave per percepire questa verità: «Chi mette in pratica questo principio è “il Budda di assoluta libertà”» (BS, 118, 11). Da quel momento il mio modo di studiare il Gosho cambiò. Non cercavo più conferme alle mie “intuizioni”, ma approfondivo la pratica fino a sentire “vero” quello che studiavo, applicandolo poi nella vita.
Quest’allenamento è stato molto prezioso. Quando nel 2003 sono dovuto passare attraverso il tunnel della malattia, sono stato in grado di costruire una roccaforte nella mia mente, utilizzando le parole del Gosho: «Un pentimento sincero sradicherà anche un karma immutabile, per non parlare di quello mutabile», «La vita è il più prezioso di tutti i tesori», «Hai ancora molti anni davanti a te, e inoltre hai incontrato il Sutra del Loto». Questa esperienza mi è servita a riflettere e a scoprire le zone oscure della mia esistenza, come ad esempio la mia tendenza a sottomettermi. Così ho potuto combattere un pensiero che albergava in me: mi sentivo obsoleto, inutile, pronto a essere escluso dalla vita. Era un pensiero nascosto ma condizionante, un pensiero infido che mi impediva di dare valore alle mie scelte, alle mie decisioni. Ho vinto questa battaglia solo grazie a una preghiera concentrata dalla quale ho fatto scaturire la forza necessaria a contrastare questi atteggiamenti. È stato davanti al Gohonzon che ho rotto le catene che mi imprigionavano da sempre, lì sono diventato “Riccardo di assoluta libertà”, sviluppando la consapevolezza che la mia vita era importante. Recitando Daimoku con la determinazione di credere, è emersa una forza vitale che mi ha permesso di riaffermare tutte le mie decisioni e i miei progetti. Con questa forza sono entrato in ospedale. Lì ho incoraggiato, parlando del Buddismo, tutti i degenti del reparto. Un mio vicino di letto, americano, ha recitato Daimoku con me fino alle sue dimissioni. Ho inciso le parole del Gosho dentro di me, difendendomi così dalle funzioni negative che mi sussurravano che non sarebbe stato possibile sopravvivere. La decisione di credere è stata la fortezza dentro la quale ho combattuto la battaglia tra le illusioni della mia mente e le verità del Gosho. La forza che ne è scaturita è stata enorme. Mi ha permesso di provare una gioia profonda, mai sentita prima, anche per il solo fatto di poter partecipare alla realizzazione, entro il 2010, del grande obiettivo comune. Una forza che mi ha fatto decidere che avrei accompagnato ogni anno almeno una persona a ricevere il Gohonzon. Così è stato, da allora cinque persone hanno aderito alla SGI, tra cui mia madre di ottantasette anni e altre sei, tra cui mio fratello e mia nipote, stanno comunque praticando.
Anche oggi, quando sento che la mia oscurità prende di nuovo il sopravvento, rileggo questa frase e cerco la felicità dentro me stesso, e lì, davanti al Gohonzon, ritrovo il coraggio di realizzare ciò che ho deciso e di trasformare ciò che sembra immutabile.
Non c’è gioia più grande del percepirsi liberi. Non c’è felicità più grande dello scoprirsi in grado di affrontare qualsiasi cosa e vincere. Le parole contenute nel Gosho sono assolutamente vere e una preghiera ferma e decisa ogni volta produce uno straordinario risultato.
Vittoria, gioia, vera felicità sono tutti sinonimi che vogliono dire forza e saggezza. Budda così come siamo, come sono. Proprio quello che ci dice Nichiren Daishonin. Credere, decidere di credere alle parole del Gosho. Cercare questa verità e mostrarla a più persone possibili è quello che continuerò a fare con tutto me stesso per molto tempo ancora. Vita dopo vita, insieme a sensei.
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In questo brano…
Nichiren scrive questa lettera a Shijo Kingo il 27 giugno del 1276. Nel 1274 al Daishonin viene condonato l’esilio dalla sperduta isola di Sado e dopo un breve periodo trascorso a Kamakura, si ritira ai piedi del monte Minobu dove rimane fino al 1282. Kingo, suo discepolo prediletto, in quel periodo stava affrontando il momento più difficile e pericoloso della sua vita perché i suoi colleghi samurai, a causa dell’invidia che provavano verso di lui, stavano tramando per ucciderlo. Nel frattempo il suo signore continuava a disapprovare la sua fede nel Buddismo del Daishonin. L’anno precedente Nichiren lo aveva comunque avvertito di tenersi pronto a incontrare numerosi ostacoli e avversità. Gli spiega che la sofferenza è inevitabile e incoraggia Kingo con queste parole: «Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo». Questo è il solo modo per sperimentare la «gioia che deriva dalla Legge», cioè lo stato di Buddità. Il presidente Ikeda commentando questo Gosho scrive: «La pratica del Buddismo serve a godere pienamente della vita, a condurre un’esistenza quanto più felice possibile e Felicità in questo mondo spiega “l’insegnamento” che permette di farlo. Pur essendo molto breve, la lettera espone in modo completo i princìpi fondamentali della fede: comprenderla profondamente significa interiorizzare il segreto della fede e della vita» (BS, 118, 9).