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Felici insieme agli altri: lo shakubuku - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:32

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    Felici insieme agli altri: lo shakubuku

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    L’aspetto più rivoluzionario dell’insegnamento di Nichiren Daishonin consiste nell’affermazione che tutte le persone – anche quelle ai nostri occhi più “malvagie”, egoiste, violente e distruttive – possiedono un immenso tesoro di ricchezza che può colmare di gioia la loro vita e quella degli altri, la “natura di Budda”. Non solo, Nichiren ci ha lasciato nel Gohonzon e nelle sue “istruzioni per l’uso” contenute nelle lettere e nei trattati indirizzati ai discepoli, la chiave, semplice e infallibile, per manifestare concretamente questo potenziale creativo nella propria vita.
    Va da sé che se ogni persona potesse possedere questa chiave per utilizzare ogni aspetto della propria vita – non solo le doti o le fortune ma anche i difetti e le disgrazie – allo scopo di creare valore e gioia per sé e per l’ambiente fisico e sociale in cui vive, il mondo diverrebbe un posto migliore, dove il conflitto incessante fra esseri umani, spesso infelici e frustrati, cederebbe il posto a una terra di Budda in cui ognuno potrebbe dedicarsi alla propria realizzazione e alla felicità degli altri.
    È proprio la felicità dell’umanità, fino all’ultimo dei suoi membri, lo scopo per cui Nichiren Daishonin iscrisse il Gohonzon e decise, a costo della vita, di propagare il suo insegnamento con tutte le umane forze di cui disponeva. E, fin dal primo momento, spiegò che l’unico modo per godere appieno dei benefici della pratica buddista era «praticare come me» (SND, 5, 62) cioè far proprio questo grande desiderio di diventare felici insieme agli altri e diffondere al meglio delle proprie possibilità «anche una sola parola o frase» (SND, 4, 235). Ciò significa che, per sperimentare onestamente la pratica buddista, occorre fin dal primo istante non solo testarne il valore sulla propria esistenza individuale tramite la recitazione di Daimoku e Gongyo, ma anche farla conoscere ai propri amici e conoscenti, svolgendo la pratica di shakubuku.
    All’inizio una persona non potrà affermare sinceramente cose che non sa o raccontare esperienze o benefici che non ha sperimentato e magari si limiterà a dire cose come: «Ho conosciuto questa pratica che attraverso la recitazione di Nam-myoho-renge-kyo permette ad ognuno di trasformare le proprie sofferenze in gioia… se vuoi provare anche tu non costa nulla». L’importante non è ciò che si dice ma lo sforzo, che all’inizio spesso scaturisce più da un atto di coraggio che da vera e propria compassione, di pensare non solo a sé ma anche agli altri, di offrire questa opportunità anche ai nostri cari con il desiderio che possano essere felici.

    Un gesto di supremo rispetto

    Ma, come ogni aspetto della pratica buddista anche il significato di shakubuku va costantemente approfondito man mano che ci si sforza di metterlo in pratica.
    Abbiamo detto che è importante essere sinceri, ma un altro ingrediente indispensabile, fin dall’inizio, che costituisce anche un indizio di quanto abbiamo capito perché si fa shakubuku, è un immenso rispetto per la persona che abbiamo davanti, che dovremmo considerare un Budda prezioso e insostituibile per l’umanità, non «uno che non ha capito nulla, adesso te lo spiego io che pratico il Buddismo come funziona la vita…». Se c’è questo rispetto, questo apprezzamento a priori per chi abbiamo davanti, per i suoi tesori nascosti, che a volte nemmeno lui sa di possedere, non c’è pericolo di sbagliare. Capiremo naturalmente quando è il momento di fare shakubuku, quando possiamo permetterci di insistere un po’ per incoraggiare un amico che non vede più alcuna via d’uscita ai suoi problemi, quando è meglio limitarci a una pacata esposizione della nostra esperienza o di un principio buddista, quando è il caso di correggere un’opinione errata e quando è il caso di tacere e ascoltare.
    Fermo restando che la pratica di shakubuku non consiste nel bussare alla porta degli sconosciuti per fare proselitismo. È basata sulla relazione umana, sulla sincera preoccupazione per il nostro interlocutore e quindi è importante conoscere coloro a cui facciamo shakubuku, ascoltarne i problemi per sapere meglio come aiutarli ed evitare per esempio di insistere a far praticare, con gravi conseguenze, una persona con seri problemi mentali, per la quale occorrono particolari accorgimenti. La relazione umana è essenziale anche perchè svolgere fino in fondo la pratica di shakubuku, non significa soltanto limitarsi a informare gli altri che «noi siamo buddisti» o gettare un piccolo seme dicendo a qualcuno che esiste Nam-myoho-renge-kyo, ma nell’avere poi la pazienza, il cuore e la dedizione – quando e se questo qualcuno decide di provare a praticare – di insegnargli, incoraggiarlo e accompagnarlo fino a ricevere il Gohonzon.

    Qual è il momento giusto?

    Verrebbe da chiedersi allora: «Esiste “il” momento giusto per fare shakubuku?» E ancora: «Esiste “il” momento in cui l’amico o l’amica che abbiamo più volte incoraggiato a provare a recitare Nam-myoho-renge-kyo decide di farlo?».
    «Sì e no» risponde Alessandro. «Partiamo dal no: non esiste un momento giusto in senso generale e onnicomprensivo; dato che ogni persona – noi per primi! – è assolutamente diversa, non esiste – e per fortuna! – una regola che valga per tutti. Ci sono persone che hanno iniziato a praticare spinte da un profondo dolore o un grande problema, ci sono persone che hanno iniziato a praticare per aiutare un familiare, persone che si sono avvicinate al Buddismo per fare “dispetto” a un amico o amica che li stressava con questa pratica, volendo dimostrare loro che essa non funzionava, e persone che si sono avvicinate per motivi molto concreti, come trovare il fidanzato o la fidanzata… Qual è la risposta “sì” a questa domanda, in tale varietà? La risposta sta in una famosa metafora di Nichiren Daishonin per cui i fiori di pesco si trasformano in pesche (e mai in susine), i fiori di susino si trasformano in susine (e mai in pesche) e così via, ma tutti, immancabilmente, al loro tempo generano frutti. Per cui dipende dal Daimoku che recito ogni giorno, sia per approfondire il mio percorso buddista sia specificamente per la felicità di quella persona, dalla profondità della mia fede, dalla sincerità del mio cuore nei confronti dell’altro e dal legame di fiducia e affetto che instauro con quella persona… Grazie a tutti questi vari ingredienti potrò comprendere e, in un certo senso, far “venir fuori” il momento giusto. Ancora un volta, come spiega Nichiren Daishonin, «è il cuore che è importante» (WND, 1000 – SND, 4, 194).

    L’immenso beneficio di shakubuku

    Spesso accade che pur avendo parlato del Buddismo a una persona con il massimo del rispetto, con tutto l’affetto, l’entusiasmo e la sincerità di cui eravamo capaci riceviamo in cambio, invece della gratitudine che ci aspetteremmo, una risposta ostile e un atteggiamento aggressivo. Insomma, veniamo attaccati e mandati a quel paese.
    In tal caso, oltre anzitutto a riflettere su noi stessi, sulla correttezza del nostro atteggiamento e la rispettosità delle nostre parole, conviene ricordare la storia del Bodhisattva Mai Sprezzante, un “campione di shakubuku” di cui si narra nel ventesimo capitolo del Sutra del Loto, che riveriva ogni persona che incontrava affermando che possedeva la natura di Budda e che sicuramente nel futuro avrebbe ottenuto la Buddità. In tutta risposta otteneva insulti, percosse e sassate a cui elegantemente si sottraeva portandosi a debita distanza e continuando poi la sua pratica di rispetto e di lode per la Buddità degli altri. Narra il sutra che i suoi benefici furono al di là di ogni immaginazione: ottenne la purificazione dei sei sensi, la vita eterna e rinacque in seguito come Budda Shakyamuni. Anche i benefici di ogni nostro piccolo sforzo concreto di shakubuku sono inimmaginabili tanto che spesso si spiega che la maniera più rapida per risolvere i propri problemi consiste nel “fare tanto shakubuku“. Ma il beneficio più grande, impossibile da realizzare con una pratica individuale ed egoista limitata allo studio e alla recitazione di Daimoku e Gongyo per i propri obiettivi personali, è il conseguimento della Buddità.

    «Ancora maggiori saranno le difficoltà di un insignificante monaco che tenti di propagare il Sutra del Loto nell’epoca di mappo. Il sutra lo dice molto chiaramente. Perciò, anche se la gente non presta ascolto o dice che non corrispondono alla propria capacità, bisogna persistere a esporre i cinque ideogrammi del titolo del Sutra del Loto, perché non esiste altra strada per conseguire la Buddita» (Il Sutra del Loto porta all’Illuminazione, SND, 8, 22-23).

    Conclude Alessandro: «Detto così può suonare un po’ forte, ma in effetti è quanto Nichiren ci promette, e Ikeda lo spiega benissimo: “Shakubuku è un’espressione concreta della nostra fede nell’esistenza della natura di Budda in noi e negli altri” (MDG, 2, 109). Se ricerco la Buddità in me, come posso non ricercarla negli altri? E viceversa, se la ricerco negli altri, come posso non riconoscerla in me?
    Questa condizione vitale libera e pura da ogni condizionamento, che si esprime tramite la saggezza, la fermezza, la purezza e la compassione, è la condizione essenziale per “curare” i mali della nostra epoca, cioè il disprezzo reciproco, l’odio, la violenza, le radici della guerra… per trasformare alla radice i veleni dilaganti di Stupidità, Avidità e Collera e far sì che il nostro ambiente diventi, come promette il Sutra del Loto, una terra dove tutti sono “felici e a proprio agio”.
    Il desiderio di condividere quella che Nichiren Daishonin chiamava la via diretta per la Buddità non è una sua invenzione. Il brano conclusivo del sedicesimo capitolo del Sutra del Loto che leggiamo mattina e sera nella cerimonia di Gongyo esprime proprio questo desiderio: «Questo è il mio pensiero costante: / come posso far sì che tutti gli esseri viventi / accedano alla via suprema / e acquisiscano rapidamente il corpo del Budda» (SDL, 16, 305).

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