«Se vuoi liberarti dalla sofferenza di nascita e morte che sopporti dal tempo senza inizio e ottenere sicuramente la suprema Illuminazione in questa esistenza, devi cogliere la mistica verità che è originariamente inerente a tutti gli esseri viventi. Questa verità è Myoho-renge-kyo. Di conseguenza recitare Myoho-renge-kyo ti permetterà di cogliere questa mistica verità innata in tutti gli esseri viventi»
Nichiren Daishonin, Il Conseguimento della Buddità in questa esistenza (RSND, 1, 3)
Questo è stato il primo Gosho che ho sentito, alla mia prima riunione di studio, trent’anni fa. Non capii bene ma sentii che incideva le mie cellule, il mio cuore. Mi apriva la mente con un orizzonte nuovo, diverso da tutti quelli visti prima. E per tutti questi anni è stato il Gosho a cui sono tornata nei momenti difficili, ma anche in quelli belli.
In questi ultimi mesi è stato la mia linea guida per rialzarmi come discepola del maestro Ikeda, dopo una serie di eventi che mi avevano portato a vivere con grande sofferenza e che coinvolgevano tutta la mia vita: dall’ambiente di lavoro, alle relazioni, alla paura della solitudine che mi bloccava. Sentivo che nonostante facessi tante cose per distrarmi, in fondo mancava sempre qualcosa, non riuscivo a gioire della mia vita, ero terrorizzata dal tempo che passava, mi percepivo al capolinea.
La sofferenza raggiunse il culmine con un forte senso di inutilità che mi avvolgeva soprattutto la notte. Pensai di smettere di praticare, visto che il senso di vuoto non si era colmato in tutti questi anni. Apparentemente. Tuttavia, riconoscendo la funzione distruttiva che la vita mi mostrava decisi di approfondire la mia fede nel Gohonzon e la relazione eterna con il nostro maestro.
Determinai di recitare Daimoku fino a sentire la gioia che deriva dalla Legge, altrimenti avrei smesso, considerando questa pratica un’idealizzazione consolatoria. La mia lotta è stata quotidiana, in particolare con la paura di non farcela, e quotidiano anche il mio Daimoku per creare itai doshin e sentire compassione verso le altre persone, alle quali ultimamente non nascondevo la mia insofferenza.
Inoltre la fuga dalla città in cui vivevo mi sembrava l’unica soluzione possibile. Ma Nichiren afferma:
«Non ci sono terre pure e terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente»
Questa frase del Gosho era per me un monito a non scambiare l’illusione per realtà e a lucidare la mia mente. A piccoli passi, perseverando ogni giorno con un Daimoku concentrato e intensificando l’attività e lo shakubuku con un senso di gratitudine per Sensei, in quattro mesi ho conquistato una visione completamente diversa della mia vita.
Il risultato è stato l’apprezzamento di tutto ciò che sto vivendo e di tutte le persone che mi circondano, una condizione vitale che pensavo impossibile, ovvero l’essere felice qui e ora. E la sofferenza della solitudine è diventata una forza creativa per il mio lavoro.
La mia determinazione è di superare i miei limiti mentali per sentire ogni giorno la mia natura di Budda, perché la mia forza deriva da qui, non dal luogo in cui vivo, non dalle persone che mi circondano. Questa consapevolezza mi permette di godere di ogni attimo della mia vita, a patto di rideterminare in ogni Gongyo quotidiano. La pratica assidua è la mia ancora nella tempesta delle circostanze mutevoli della vita, che non mancano mai!
