Gli artisti delle quattro regioni del Centro Italia hanno attraversato le sofferenze fondamentali di nascita, vecchiaia, malattia e morte in quattro spettacoli tematici. Le scenografie erano dominate da colori comuni che dal rosso, nero e blu iniziali sono culminati gradatamente nel bianco avvolgente dell’ultimo spettacolo
L‘Emilia-Romagna entra in scena con il pianto e il sorriso della scoperta nell’incontro. Una slot-machine virtuale si ferma sui volti di alcuni soggetti, poi, sullo schermo l’infinito dell’universo raggiunge l’immagine intrauterina con una musica dolce e accogliente fino al trauma del parto. È la nascita e tutto ciò che ne segue. I cantanti si alternano e concludono con il quotidiano comico di una giovane coppia.
I tamburi battenti delle Marche, la voce forte e stanca del capitano Achab introducono vecchiaia e decadenza di una vita piena di rimpianti. Anche in questo caso ci viene indicata l’alternativa per vincere ed essere felici: «Siate forti, in ogni circostanza!» urlano a chiare lettere i nostri attori invocando gli dèi con la haka, la danza tipica del popolo maori. Pugni stretti, petto in fuori e visi aperti: questo è il segreto per accendere il respiro del guerriero!
«Nella preparazione del nostro spettacolo, dice Andrea Caimmi, uno degli attori, era nostro desiderio far passare il messaggio del presidente Ikeda “vecchiaia uguale forza”. Nella performance cadevamo e ci rialzavamo perché non importa quante volte cadi, se hai ogni volta la forza di rialzarti, sei un vincitore. Anche quando in scena non mi ha funzionato il microfono, ho vissuto un attimo lunghissimo in cui la mente ha smesso di avere paura, e invece di pensare “e ti pareva: la solita sfiga!”, ho semplicemente taciuto, e ho sentito che il mio unico desiderio era trasmettere il ruggito del leone, affinché tutte le persone davanti a me fossero incoraggiate a combattere con tutto il loro cuore. Ero lì per quello e allora m’è uscita una voce che non avevo mai udito in quindici anni di palco. Avevamo vinto tutti».
Il veleno che si trasforma in medicina è messo in scena dall’Umbria. Il demone della malattia entra vestito di nero tra calma e violenza di una nostalgica danza butoh, ma la voce del Budda non ammette rivali e la trasformazione che avviene col canto attrae altre meraviglie: la danza della carrozzina di un ragazzo diversamente abile accompagna la capoeira di una coppia. La vita riacquista il suo valore, la malattia dismette le vesti e si unisce alla danza finale.
La luce sospesa nel tempo ci fa entrare nella dimensione della non vita, così la Toscana ci regala una breve riflessione sull’impermanenza attraverso gli occhi di tre personaggi che raccontano come sono morti e come sono vissuti. Un intermezzo di voci confuse che si accavallano come onde: «Tutto è mutevole niente è costante, questa è la legge di nascita e morte» rende l’idea del ciclo vitale. Le percussioni chiudono la cerimonia con la marcia «Soffrire, lottare, gioire e vincere!» dei Bodhisattva della Terra che dal palco scendono in platea.