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È colpa mia, è il mio karma o è la mia missione? - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 13:44

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    È colpa mia, è il mio karma o è la mia missione?

    Trasformare il karma è, in sintesi, cambiare quelle tendenze vitali interiori che ci tengono intrappolati nella negatività e nell’infelicità. Ogni volta che ci poniamo di fronte alla nostra vita senza esprimere giudizi a priori, possiamo cambiarla in meglio senza preclusioni

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    Trasformare il karma è, in sintesi, cambiare quelle tendenze vitali interiori che ci tengono intrappolati nella negatività e nell’infelicità. Ogni volta che ci poniamo di fronte alla nostra vita senza esprimere giudizi a priori, possiamo cambiarla in meglio senza preclusioni

    Il concetto di karma era conosciuto e diffuso in India ben prima della comparsa di Shakyamuni e del Buddismo. Il termine nasce dal sanscrito karman che significa azione. In origine indicava l’atteggiamento di compiere rituali o cerimonie per assicurarsi circostanze favorevoli nel presente e nel futuro, ma col tempo è passata a significare che qualunque tipo di situazione avversa e sofferenza non possano essere altro che il risultato di azioni negative compiute nel passato. Il concetto pre-buddista di karma può quindi essere equiparato a quello di fato o destino, ma il Buddismo di Nichiren, che affonda le sue radici nel Sutra del Loto, propone un diverso punto di vista: «La dottrina del karma, nel Buddismo di Nichiren – scrive Daisaku Ikeda -, dà potere alle persone e può rivitalizzare la loro esistenza. Secondo il Daishonin non esiste karma negativo che, per quanto pesante, non possa essere trasformato positivamente» (BS, 131, 19).
    Il carattere giapponese di karma – shuku go – comprende i significati di “passato” e “azione”, dove “azione” comprende, oltre alle azioni vere e proprie, anche quelle compiute con la parola o il pensiero. Noi poniamo cause, positive o negative, in ogni istante. Quelle positive producono effetti positivi e ricompense favorevoli mentre quelle negative portano a vivere effetti negativi e sofferenza. Comunemente, però, quando parliamo di karma ci riferiamo prevalentemente alle sofferenze ed è veramente difficile che qualcuno parli in tono entusiasta dei risvolti meravigliosi sperimentati come effetto del karma!

    Causalità generale e causalità simultanea

    «Il Sutra dell’Osservazione della mente come la terra afferma: “Se vuoi conoscere le cause del passato, guarda gli effetti del presente; se vuoi conoscere gli effetti del futuro, guarda le cause del presente”» (L’apertura degli occhi, RSND, 1, 252).
    La concezione di karma descritta in questo brano è basata sulla legge generale di causa ed effetto e spiega il funzionamento della causalità da un punto di vista della linearità del tempo: compio un’azione adesso e dopo un certo lasso di tempo posso vederne gli effetti. Ma a ben vedere, nella citazione possiamo cogliere una certa enfasi sul momento presente. Se cambiamo atteggiamento mentale in questo preciso istante grazie alla pratica buddista non solo riusciamo a percepire diversamente la vita ma questo nuovo approccio ci fa vedere il futuro con occhi diversi. Si potrebbe parlare quindi di causalità simultanea o causalità della Legge mistica. Come afferma il presidente Ikeda: «La causalità con cui il karma delle esistenze passate si manifesta nella nostra esistenza presente viene definita “causalità generale”, ed è caratterizzata dalla non simultaneità di causa ed effetto. Diversamente, la “causalità simultanea” si riferisce alla causalità attraverso cui possiamo rivelare la nostra Buddità, cioè alla capacità di sconfiggere l’ignoranza nella nostra vita attuale e attingere immediatamente alla forza vitale della Buddità intrinseca. Il primo tipo di causalità determina un cambiamento di tipo sequenziale, mentre la seconda determina un cambiamento simultaneo» (BS, 131, 22).
    La causa principale che sta alla base del karma negativo è l’ignoranza o il non credere nella Legge mistica, vale a dire la nostra incapacità nel credere nell’esistenza della natura di Budda in noi stessi e negli altri. Questa incredulità impedisce l’emergere del mondo di Buddità ed è la causa fondamentale da cui hanno origine varie tipologie di karma perché alimenta l’illusione nella nostra vita sotto forma di Avidità, Animalità e Collera. La pratica per noi e per gli altri ci aiuta a diventare consapevoli di come agiscono i tre veleni nella nostra vita.
    A volte ci può capitare di considerare il karma negativo con un senso di colpa ma il Buddismo spiega che il karma negativo è il risultato inevitabile dell’ignoranza della Legge da cui origina l’illusione. La tendenza a pensare che una determinata sofferenza origini da una nostra colpa è in genere frutto della nostra cultura che interpreta tutto secondo un’ottica dualista: buono e cattivo, giusto e sbagliato sono considerati di frequente come poli opposti. Se a volte ci rendiamo conto di provare un senso di rimorso per avere rafforzato certe tendenze caratteriali possiamo subito porvi rimedio decidendo profondamente di cambiare in questo preciso istante e di vivere d’ora in poi rispettando la dignità della vita.
    Un altro brano del Gosho descrive il principio dell’alleggerimento della retribuzione karmica: «Nel Sutra del Nirvana si trova il principio dell’alleggerimento della retribuzione karmica. Se il karma pesante del passato non viene espiato in questa esistenza, si dovranno sopportare le sofferenze dell’inferno nel futuro» (Alleggerire la retribuzione karmica, RSND, 1, 173).
    Nei momenti più bui, è molto facile pensare che l’unica spiegazione possibile per le nostre profonde sofferenze sia una qualche orribile causa posta in un’esistenza passata. Ma il karma pesante non espiato di cui si parla nel Sutra del Nirvana non è altro che l’oscurità fondamentale che alberga nei nostri cuori e che ci impedisce di credere nell’esistenza della natura di Budda.
    Il Buddismo è una filosofia fondamentalmente pacifista e qualcuno potrà trovare un po’ fuori luogo, in un contesto buddista, l’uso di parole come lotta, battaglia, vittoria. Ma la lotta che si intraprende davanti al Gohonzon è per sostituire al dubbio e alla sfiducia la nostra natura illuminata e la vittoria non è sugli altri ma sulle nostre tendenze e sui modelli comportamentali che ci hanno portato a essere infelici e insoddisfatti.
    Il presidente Ikeda spiega: «Trasformare il karma non significa altro che cambiare quelle tendenze vitali interiori che ci tengono intrappolati nella negatività e nell’infelicità, dirigendo stabilmente la nostra vita verso un sentiero positivo. […] La cosa importante è come noi cambiamo il nostro atteggiamento o determinazione interiore in questo istante. Il motivo di ciò è che noi possiamo creare liberamente il nostro futuro attraverso la determinazione che manifestiamo e le azioni che compiamo esattamente in questo istante» (BS, 131, 20).
    Talvolta ci viene detto che il vero problema non è il problema in sé, quanto piuttosto lo stato vitale con cui lo affrontiamo.
    Nel Gosho leggiamo spesso che è proprio attraverso le difficoltà che possiamo rafforzarci, e che quindi dovremmo considerarle un’opportunità, ma anche se lo sappiamo bene, di fronte a una difficoltà reale tendiamo a dubitare del Gohonzon e della nostra fede e ci viene da chiederci: «Perché proprio a me?», «Perché questo problema continua a manifestarsi?». Sentirsi scoraggiati di fronte a certi problemi è una reazione del tutto comprensibile e umana, ma sfidarli con la pratica buddista ci porta spesso a scoprire che proprio grazie a quella situazione possiamo cambiare atteggiamenti radicati o modelli comportamentali che possono risalire, per esempio, alla nostra famiglia. Quando nelle difficoltà riusciamo a percepire davvero l’opportunità, siamo sulla strada della trasformazione del karma, ma basta vedere una volta l’opportunità per essere sulla via della trasformazione? Può accadere che riusciamo a intravedere per un attimo questa occasione per poi scivolare di nuovo nella tendenza di vittimismo («Perché proprio a me?»), o in una reazione emotiva («Perché dovrei essere io a cambiare quando è così chiaro che il problema si risolverebbe se fosse l’altro a cambiare per primo?»), o anche nel pessimismo («Per quanto possa avanzare nella mia rivoluzione umana, questa situazione non cambierà mai»).
    Soltanto grazie a una pratica energica e coraggiosa possiamo vincere il vittimismo, l’emotività o il pessimismo e cogliere veramente questa opportunità per creare un futuro meraviglioso: un comune mortale si preoccupa del futuro, un Budda agisce per crearlo. Trasformando così la nostra vita, ogni vittoria non servirà solo per essere sempre più felici, ma anche per mostrare agli altri la prova concreta della grandezza del Buddismo di Nichiren e del potenziale della Buddità di tutte le persone che si basano sulla Legge mistica. Questo ci porta diritti al voto del Budda: vivere in modo da essere esempio e fonte di ispirazione per le persone, aiutandole a comprendere che nella loro vita è insito lo stesso potenziale.

    Subire o scegliere?

    Dal punto di vista del voto, possiamo vedere il karma sotto una nuova luce: le nostre difficoltà non ci appaiono più come l’effetto di azioni negative commesse in passato quanto piuttosto come sofferenze con cui abbiamo desiderato rinascere per adempiere alla nostra missione. Questo principio, spiegato nel decimo capitolo del Sutra del Loto (“Il maestro della Legge”) è conosciuto come “assumere volontariamente il karma appropriato”. «Aspetta un momento – obietterà qualcuno -, stai forse dicendo che sono stato io a desiderare tutti questi guai?». È un’esperienza comune a molti membri aver lottato per trasformare circostanze molto dure, per poi scoprire che grazie alla loro vittoria sono stati capaci di incoraggiare tanti altri in situazioni analoghe trasmettendo loro convinzione nella fede. Ognuno di noi è stato incoraggiato da testimonianze che mostrano l’infinito potere del Gohonzon e della natura umana. In definitiva, potremmo definire la Buddità come quello stato vitale nel quale il senso di missione, o voto, è talmente radicato nella vita che qualunque difficoltà viene percepita non tanto come una sofferenza o come l’inevitabile manifestazione del karma, quanto come un’occasione per creare valore basandosi sulla Legge. Per coloro che vivono questa missione non esiste più il karma, ma solo opportunità per creare continuamente valore in qualunque circostanza.
    Come sempre, comunque, non c’è un “punto di non ritorno”. È del tutto normale vivere con un profondo senso di missione e sperimentare lo stato di Budda di assoluta libertà e poi, dopo poco, rendersi conto di essersene allontanati e percepire di nuovo la vita come sofferenza derivante dal karma. A questo punto sorge spontanea la domanda: «Ma il principio di assumere volontariamente il karma appropriato esprime una realtà della vita o è una sorta di pensiero positivo per aiutarsi a superare un momento difficile?». Per rispondere proviamo a ripercorrere la successione degli eventi.
    Prima fase: abbiamo un problema che ci spinge a pregare con forza. Tirando fuori la Buddità siamo in grado di agire in maniera illuminata per superare quella difficoltà. Seconda fase: forti di questa esperienza acquisiamo un senso di missione per condurre alla felicità tutti coloro che stanno vivendo la stessa difficoltà. Terza fase: cominciamo a vedere quella difficoltà iniziale come parte della missione del bodhisattva che noi stessi abbiamo scelto per cambiare la società e far progredire kosen-rufu. Questa consapevolezza altro non è, in realtà, che vivere il principio di assumere volontariamente il karma appropriato.
    Questa risposta può risultare singolare per noi occidentali, abituati a vedere la realtà come o bianca o nera. In realtà la risposta, alla luce del Buddismo, ci fa comprendere che è il nostro stato vitale ad aprirci una nuova prospettiva e un diverso approccio alla vita.
    Scrive Nichiren Daishonin: «La legge del Budda riguarda principalmente la vittoria o la sconfitta» (RSND, 1, 741). Come ha spiegato il presidente Ikeda, vincere significa diventare un Budda mentre perdere vuol dire rimanere un comune mortale. La vittoria si realizza in ogni istante, si trova nella determinazione di ogni singolo momento: «Indipendentemente da quello che accade sulla superficie della mia vita, io realizzerò la mia missione di Bodhisattva della Terra». Allora, saremo in grado sicuramente di vivere il karma come missione e arricchire la vita, nostra e degli altri.
    «È colpa mia, è il mio karma o è la mia missione?». La risposta la scegliamo noi.

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