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Dove si parla la lingua del cuore - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 09:30

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    Dove si parla la lingua del cuore

    “Essere un laboratorio di dialogo e di unità” è quello che si propongono i membri della regione TRENTINO-ALTO ADIGE/SÜDTIROL, storicamente terra di spaccature e di coesioni forzate. Forse è giunto il tempo per provare ad avvicinare le persone partendo da una rinascita spirituale

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    “Essere un laboratorio di dialogo e di unità” è quello che si propongono i membri della regione TRENTINO-ALTO ADIGE/SÜDTIROL, storicamente terra di spaccature e di coesioni forzate. Forse è giunto il tempo per provare ad avvicinare le persone partendo da una rinascita spirituale

    Questa bellissima e piccola regione ha grandi caratteristiche e spiccate particolarità. È composta di due province autonome, che hanno a loro volta le proprie specialità. Il Trentino, per esempio, accoglie solo tre piccole comunità ladine e tedescofone e ha in parte anche combattuto per il ricongiungimento con l’Italia dopo la Prima guerra mondiale. Al contrario l’Alto Adige/Südtirol, i cui abitanti erano quasi totalmente di lingua tedesca o ladina, è stato annesso all’Italia senza che la popolazione locale lo avesse richiesto, anzi. L’italianizzazione che ne è seguita ha creato fratture e divisioni, di cui ancora oggi si vivono alcuni strascichi. La speciale autonomia delle due province nasce proprio dalla necessità di ricomporre in modo pacifico e vantaggioso per le popolazioni residenti le tensioni e le difficoltà nate dal susseguirsi degli eventi storici. Il Trentino-Alto Adige/Südtirol, che fa parte dell’Italia dal 1918, è una terra di confine nella quale convivono lingue e culture diverse: tedesco, italiano e ladino. Oggi i giovani svolgono riunioni di discussione bilingui, dando prova del concetto di itai doshin, ma c’è voluto tanto per arrivare a questo risultato.
    Il Trentino-Alto Adige/Südtirol ha conosciuto il Buddismo negli anni Ottanta grazie all’arrivo di membri provenienti da altre regioni o di giovani del luogo che andavano a studiare o lavorare fuori regione. Questa mobilità portò idee nuove che attecchirono lentamente creando in seguito forti legami soprattutto con i Centri culturali di Milano e Firenze, due punti di riferimento costanti.
    Il primo gruppo a Bolzano era composto da giovani entusiasti, alcuni dei quali musicisti, altri artisti, come ricorda Silvana Fontanazzi che conobbe il Buddismo nel luglio 1983 grazie all’incontro con due praticanti al suo paese, Cavalese, dove loro si trovavano in vacanza. «Appena ho sentito Nam-myoho-renge-kyo mi sono emozionata – racconta – mi reputo tuttora una persona fortunata ad avere incontrato il Buddismo da giovane». Silvana si reca a Firenze nel 1983, dove l’attività pulsava. «Il ritmo del Daimoku mi dava energia, mi trascinava, sentivo la pratica e mi si apriva il cuore. Eravamo tutti giovani e pieni di carica».
    Tornata al suo paese, per Silvana cominciano gli ostacoli: la madre non vuole che pratichi e nel gennaio 1984 le viene riscontrato un sarcoma osseo. Bisogna operare e lei decide di reagire col Daimoku. La madre non la ostacola più e lei recita anche dieci ore al giorno fino all’intervento. Rispetto alla radiografia di qualche settimana prima, adesso la situazione clinica è ribaltata. I benefici che vive Silvana sono enormi, nel 1984 decide di ricevere il Gohonzon e intensifica lo shakubuku, svolgendo tanta attività anche nei Centri di Milano e Firenze.
    Intanto una rete sottile si stava creando e verso la metà degli anni Ottanta diverse persone entrano in contatto con la pratica, tra questi Ubaldo Bacchiega di Bolzano che la incontra in uno dei momenti più bui della sua vita, quando stava pensando al suicidio. Fin da piccolo era affetto da atrogriposi congenita ed era costretto a muoversi quasi esclusivamente sulla sedia a rotelle. A ventiquattro anni aveva già subito diciotto operazioni. Ubaldo, anche se di indole ottimista, colto da un momento di disperazione, afferra l’ancora che gli venne gettata: «Prova a recitare Nam-myoho-renge-kyo per tre mesi, partecipa a qualche riunione, poi decidi», gli dice un amico. E lui fiducioso prova. Era il 1984. Alla sua prima riunione sente raccontare un’esperienza molto forte riguardo a una malattia e decide di mettersi alla prova. Il suo primo obiettivo – che realizzerà dopo sei mesi – è quello di riuscire a rendersi indipendente nel mangiare. Sperimenta la pratica, è contento, tanto che decide di iscriversi alla facoltà di Giurisprudenza a Firenze, assistito dalla mamma che lo segue ovunque. Ubaldo a Firenze respira un’aria nuova, gli si apre un mondo, comincia a frequentare le riunioni: tutto diventa possibile e si rende conto sulla sua pelle che «più buia è la notte più vicina è l’alba». Nel 1988 riceve il Gohonzon e riesce a inserirsi nel mondo del lavoro. Da giugno 2010 è consigliere comunale a Bolzano, come referente alle diverse abilità, impegnandosi non solo per abbattere le barriere architettoniche ma soprattutto quelle culturali.
    Franco Bertoldi considera il Centro culturale di Firenze la sua “seconda casa”. Ed è in questa città, nel 1983, che conosce il Buddismo e inizia a praticare, ma solo nel 1987 decide di abbracciare la pratica per tutta la vita.
    In Trentino le prime riunioni risalgono alla fine degli anni Ottanta. Nei ricordi affiora una piccola stanza in un appartamento di studenti universitari, dove vivevano due giovani provenienti dal Sud. In quell’appartamento c’erano due Gohonzon e da lì passavano alcuni membri da Bolzano per sostenerli e incoraggiarli. All’inizio la crescita è lenta, poche persone di Trento si avvicinano alla pratica, fino a quando a Rovereto “scoppia” un interesse inatteso per il Buddismo. Roberto Colombo ricorda l’intensità di quei momenti ma anche l’ingenuità, l’improvvisazione, l’inesperienza che venivano compensate studiando tutto ciò che arrivava nelle loro mani. In tutto il Trentino si riunivano due gruppi e quello di Rovereto, dove praticava lui, era diventato in poco tempo talmente numeroso che si è diviso più volte. Racconta Roberto: «All’inizio quando mi parlarono di Nam-myoho-renge-kyo mi sembrò una meditazione austera e sterile. Uscivo da anni di filosofia New Age, che mi aveva deluso. Una totale confusione regnava in me, ma scoprii che tutti i miei amici più cari avevano iniziato a praticare questo Buddismo. Era meraviglioso sperimentare con gioia quel nuovo calore che avvolgeva le riunioni».
    Nel 1988 si decide di realizzare il primo mini-corso primaverile della regione a Costalovara nel comune di Renon. È una sfida. Carmen Monti durante il corso viene toccata profondamente. È una giovane taciturna e molto emotiva. «Non avrei fatto niente, né avrei avuto il coraggio di parlare e agire in pubblico durante le attività se non avessi sentito di avere a fianco il maestro» e aggiunge: «Il legame tra maestro e discepolo mi ha fatto sentire il mio valore; sensei lo percepiva prima di me e io sento un profondo senso di gratitudine nei suoi confronti». Il legame col maestro è un motore propulsore nella vita di Carmen che si dedica incessantemente all’attività di propagazione e quando riceve il Gohonzon nell’autunno 1988 tante altre persone lo ricevono insieme a lei. Tra queste anche Lorella Gallino; a lei si devono le iniziative per ottenere le prime sale pubbliche per attività collettive come meeting di studio o Gongyo di Capodanno.
    Nell’organizzazione delle attività è quasi sempre presente anche un altro pioniere altoaltesino, Antonio Cucinato, conosciuto per la sua risata travolgente. Al ritorno da un viaggio viene invitato a una riunione, verso la fine del 1985. Colpito dal ritmo della recitazione e dalle esperienze, Antonio decide di sperimentare: «Con questa pratica ho capito che tutto comincia e finisce con me, quindi è un allenamento per essere l’artefice della mia giornata!». La prima prova concreta la ottiene recitando per un amico che si era ammalato gravemente, decide di fargli conoscere il Buddismo, lo assiste e dopo un difficile intervento lo “ritrova” guarito. Affascinato dal potere di trasformazione della pratica, riceve il Gohonzon e accoglie a casa sua una parte del gruppo di Bolzano. Tra le attività e i ricordi di Antonio ci sono i primi contatti con membri di lingua tedesca degli stati confinanti: Austria, Germania e Svizzera. Questi, già dagli anni Novanta, organizzavano incontri sul Lago di Costanza e dopo il corso del Triveneto del 1993 l’allora vice direttore Tadayasu Kanzaki propone di invitarli in Alto Adige per coinvolgere anche persone di madrelingua tedesca. La sfida è importante e nonostante la barriera linguistica si decide di organizzare un corso internazionale a Ortisei nel 1998. Grazie al sostegno di tutti viene realizzato un memorabile corso autunnale con oltre centocinquanta persone.
    Ora ci sono gruppi anche a Lana, Merano e Bressanone e soprattutto durante le riunioni dei giovani si parla sia l’italiano sia il tedesco, gli incontri si fanno in armonia e nessuno bada alla pronuncia: si parla direttamente al cuore.
    Negli anni ’90 il settore Dolomiti diventa un capitolo e nel 1996 nasce il settore Trentino che nel 1998 diventa un capitolo all’interno dell’hombu Adige, con Vicenza e Verona. Nel dicembre 2003 inizia l’attività per la mostra dei Diritti Umani a Trento, la prima mostra realizzata nella regione, che vedrà dodicimila visitatori in sole due settimane. Alla mostra partecipa anche Manuela Ianes, una pioniera di Trento, che ricevette il Gohonzon nel 1988 a Firenze dove era andata per staccarsi dalle sofferenze che la città e la sua famiglia le creavano. Nel 1990 grazie al Daimoku decide di sfidarsi e torna a Trento consapevole del fatto che doveva lavorare dentro di sé per ricucire i rapporti con la famiglia e la città. Manuela viene messa subito alla prova perché suo padre si ammala di tumore e si ritrova a doverlo assistere, ma lei ora è determinata a vincere. Il tumore regredisce, lei trova un lavoro fisso e una casa. Le difficoltà che deve superare sono tante, soprattutto la sua negatività, ma il desiderio di abbattere i suoi muri prevale su tutto nella convinzione che «la rivoluzione umana di un singolo individuo contribuirà al cambiamento nel destino di una nazione» come afferma Ikeda. Manuela decide che lei e questa regione diventeranno felici e si dedica a fare attività con gli altri, l’aprirsi le dà forza, gioia e convinzione. «Oggi posso dire che sono diventata più padrona della mia mente e sono sempre più desiderosa di sentire la gioia assoluta che deriva dalla Legge». È anche grazie all’impegno di questi pionieri e di tanti altri membri se in quasi trent’anni dai primi nuclei ci sono ora in regione due capitoli, cinque settori e ventitré gruppi.
    Nel 2010 ha avuto luogo in Val di Fiemme il primo corso regionale, che ha visto emergere nuovi bodhisattva. Lo slogan era “Uniti realizziamo i sogni del nostro maestro. Ora! – Gemeinsam werden wir die Träume unseres Meisters verwirklichen. Jetzt!”. Uno di questi sogni è quello di diventare laboratorio di dialogo e di unità all’interno dei gruppi per riportare questa esperienza nella società, nel mondo multilingue e multiculturale e diventare campioni di ospitalità e di calore umano aldilà di ogni confine linguistico, culturale e sociale.
    Questo rappresenta la decisione di credere nella Buddità di ogni persona e impegnarsi sempre di più per non fare e non accettare discriminazioni di nessun tipo e per costruire unità e armonia, rafforzando sempre la relazione con sensei.

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