Una situazione non facile. Francesca, pur non essendo litigiosa, si sente sprofondare nella logica del conflitto, come nelle sabbie mobili. Ma inizia a lottare contro la tentazione di sentirsi dalla parte della ragione, avendo chiaro in mente che kosen-rufu parte dalla realtà quotidiana
Ho iniziato a praticare ventitré anni fa. Lo scorso anno io e la mia famiglia abbiamo traslocato in un nuovo appartamento, che abbiamo trovato proprio alle condizioni che cercavamo: molto spazioso, con ampi terrazzi, nella zona dove già abitavamo, a un prezzo quasi equivalente al vecchio appartamento. Insomma, un beneficio.
L’appartamento si trova in una bifamiliare costruita e abitata da due fratelli che, ho scoperto solo dopo, hanno litigato per tutti i trentasette anni di convivenza fino ad arrivare alle vie legali. La situazione è diventata così pesante che uno dei due ha regalato l’appartamento alla figlia, la quale, pur desiderando la zona centrale ha preferito rimanere nell’appartamento fuori città. Così ha affittato a un inquilino, che solo dopo otto mesi se n’è andato.
Siamo arrivati quindi noi che, pur non conoscendo la situazione, l’abbiamo scoperta presto a nostre spese, con difficoltà di ogni genere. La mia reazione è stata simile a quella di mio marito: dato che non siamo litigiosi, abbiamo optato per ignorare completamente i vicini, pensando che fossero persone che non meritavano la nostra attenzione e della cui amicizia potevamo tranquillamente fare a meno.
Io però provavo un senso di malessere e di rabbia e, nel giro di pochi giorni, ho capito che i vicini mi avevano trascinata nella loro logica di conflitto, come nelle sabbie mobili. Non potevo accettarlo, se è vero che kosen-rufu parte dalla nostra realtà quotidiana… Cominciai quindi a recitare Daimoku per riuscire a rifiutare questa logica, per vincere sulla tentazione di sentirmi dalla parte della ragione. Ogni mattina davanti al Gohonzon chiedevo scusa per la mia arroganza, mi assumevo la responsabilità della situazione e recitavo per la loro felicità, determinando che la nostra presenza in quel piccolo condominio fosse per loro fonte di felicità.
Mi sforzavo anche di vederne i lati positivi e li mostravo a mia figlia, intimorita dalla situazione. Nel giro di pochissimo tempo sono cominciate le cortesie, i sorrisi a ogni incontro sulle scale, le torte fatte in casa. Per Natale ci siamo scambiati regalini e loro ci hanno invitati per la sera della Vigilia a cena. L’ultima gentilezza è arrivata il giorno della Befana, quando il capofamiglia si è presentato alla porta con alcuni doni per i miei figli, raccontando che la Befana doveva aver confuso i due appartamenti e aver lasciato per sbaglio a casa loro dolci e pupazzi.
Questa esperienza ha rafforzato in me la convinzione che nei rapporti interpersonali siamo noi a costruire i muri interiori che ci separano dagli altri e quindi solo noi possiamo buttarli giù e cambiare la situazione.