Il messaggio è chiaro: «Tu sei un Bodhisattva della Terra», ricorda il maestro a chi intraprende il sentiero del Budda, ma per poter leggere e interpretare questo messaggio è necessario avere compreso la fortuna di avere qualcuno da cui imparare. Un maestro, appunto.
La relazione creata fra il maestro e il discepolo – che la Soka Gakkai celebra il 3 luglio – è speciale e, nel Buddismo, è considerata la più preziosa: è quella che permette agli individui di ricordare e di affermare a loro stessi il diritto e la profonda aspirazione a diventare felici, e aiutare gli altri a fare altrettanto. «Per me – dice Fabio nell’intervista nella quale racconta la sua esperienza nel judo – è una ricerca difficile e costante, attimo dopo attimo. Ritengo che sia importante avere una persona che ci dice con che spirito affrontare la vita: non le azioni da fare, ma l’atteggiamento da ricercare».
Col desiderio di capire meglio perché sia così importante e così difficile attivare questa relazione, leggiamo nel Grandangolo: «”Per essere un buon maestro non basta ottenere dei risultati buoni, o addirittura sorprendenti, durante l’insegnamento. Perché è possibile che un maestro elevi i suoi scolari a un’altezza per loro innaturale quando essi si trovano sotto il suo influsso diretto, ma non sia capace di guidare il loro sviluppo portandolo fino a quell’altezza; così che essi precipitano appena il maestro abbandona l’aula” (Wittengstein). Il vero maestro invece è colui che agisce con l’intento di essere superato dal proprio allievo; è colui che lo istruisce al massimo delle sue possibilità in modo che possa avanzare in autonomia pur tenendo sempre i suoi insegnamenti ben impressi nel cuore».
Questi allievi possiamo essere, anzi, siamo noi: tante persone che si sono risvegliate alla consapevolezza di essere Bodhisattva della Terra.
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