«Quando ho scattato la foto che vi ho inviato, mi sentivo completamente oscurata e non riuscivo a trovare una via d’uscita alla mia situazione. In quel momento ho capito che dovevo accettarmi per quella che ero e affrontare questa sofferenza, illuminandola con il mio Daimoku. Sono riuscita così a provare una serenità nuova che mi ha accompagnato in questi ultimi giorni d’estate. Il Gohonzon è stato così per me veramente una “lanterna nell’oscurità”». Quando la diciottenne Giulia ci ha inviato la foto che accompagna la prima testimonianza di vita e di fede pubblicata in questo numero, ci siamo commossi davanti a tanta forza e sincerità. Come una goccia che cade con persistenza, il Daimoku può “rischiarare” l’esistenza illuminando il sentiero da percorrere.
La recitazione di Daimoku, e tutta la ritualità nell’insegnamento di Nichiren Daishonin praticato dalla Soka Gakkai, ha il chiaro intento di far emergere con una dedizione sincera la natura di Budda intrinseca nella vita di ciascuno.
E visto che «è umano costruire le proprie certezze intorno a gesti ripetuti, esse non dovrebbero mai diventare una gabbia: se si perde il senso profondo di ciò che si sta facendo, anziché aprire il proprio cuore e la propria mente, si rischia di far diventare la ritualità uno statico e sterile modello di riferimento», si legge nel Grandangolo il cui tema è, appunto, il rito.
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