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Dal piccolo al grande - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:38

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Dal piccolo al grande

Per trasmettere la speranza, è necessario averla noi per primi. In questa seconda parte del resoconto del corso per responsabili tenutosi a gennaio, Suzanne Pritchard e Hideaki Takahashi offrono degli spunti su cui basare le attività per kosen-rufu

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Per trasmettere la speranza, è necessario averla noi per primi. In questa seconda parte del resoconto del corso per responsabili tenutosi a gennaio, Suzanne Pritchard e Hideaki Takahashi offrono degli spunti su cui basare le attività per kosen-rufu

L’intervento di Suzanne Pritchard

Nei suoi scritti più recenti il presidente Ikeda invita tutti a trasmettere speranza agli altri.
Quando recitiamo Nam-myoho-renge-kyo la nostra vita acquista energia e si rivitalizza. Portiamo dunque questa rivitalizzazione nella società, comunicando speranza a più persone possibili. E siccome per realizzare qualcosa di grande, occorre partire dal piccolo, se vogliamo rivitalizzare l’intera società iniziamo col trasmettere la nostra vitalità e la nostra speranza a ogni singola persona. La speranza è accessibile a tutti e ognuno di noi la può costruire insieme a sensei e ai compagni di fede. Questa dovrebbe essere la determinazione per quest’anno.
Alla luce degli ottimi risultati raggiunti, Ikeda ha detto che da questo momento l’organizzazione in Europa deve diventare incrollabile. Più un’organizzazione cresce, più è facile che crolli. «La Soka Gakkai sta realizzando un sogno che l’umanità ha sempre inseguito: assicuratevi che non si distrugga mai, consolidatene le fondamenta e fate sì che sia piena di speranza».
Verifichiamo allora quest’anno che le nostre fondamenta siano solide, nella vita personale e nell’attività buddista e per consolidarle occorrono anzitutto persone giovani e capaci. Per fare questo è necessario l’impegno e l’unità di tutte e quattro le Divisioni, e per realizzare questa unità occorre che ognuno abbia nel proprio cuore lo spirito di maestro e discepolo e la missione di kosen-rufu. Non è importante incontrare fisicamente il maestro, ma praticare in accordo con l’insegnamento buddista, e questo si può fare solo facendo proprio lo stesso spirito. Il nostro compito è aiutare le persone a comprendere profondamente la loro missione individuale per kosen-rufu.
Per sollevare le persone dalla sofferenza e per realizzare la pace nel mondo dobbiamo vivere con coraggio perché nel corso di questa impresa è normale essere criticati, guardati dall’alto in basso, o subire gli attacchi dei media. Il Budda, per definizione, è una persona che vuole rendere gli altri felici, mentre le forze demoniache operano per l’infelicità delle persone. Quindi se il Budda agisce, le forze demoniache cercheranno di ostacolarlo. Possiamo sviluppare il coraggio per vincere queste funzioni solo approfondendo la relazione di non dualità di maestro e discepolo. Qualcuno potrebbe pensare: «Io pratico il Buddismo, a cosa mi serve questa relazione?». Se si perde lo spirito di non dualità di maestro e discepolo il rischio è diventare egocentrici e arroganti e, invece di diffondere felicità intorno a noi, causeremo sofferenza. Rafforziamo la nostra capacità di capire il cuore, la mente e lo spirito di sensei e prendiamoci cura dei membri con questo atteggiamento, affinché si sentano veramente felici di aver incontrato il Buddismo. I princìpi essenziali per realizzare qualsiasi cosa sono l’unità di maestro e discepolo e l’unità di “diversi corpi, stessa mente”. Allora, in modo naturale tante persone avranno voglia di aggregarsi a un gruppo così caloroso e gioioso. Ciò che conta è quanti membri possono dire di voi: «Grazie al tuo incoraggiamento di allora, sono diventato felice. Nel momento più difficile mi hai offerto un caldo sostegno grazie al quale mi sono rimesso in piedi: non lo dimenticherò mai». Le critiche, le lamentele, i brontolii derivano dall’arroganza e dalla mancanza di spirito di ricerca che portano all’insoddisfazione e di conseguenza alla lamentela.
Per rendere le persone felici abbiamo bisogno di un forte spirito di ricerca, da cui nascono coraggio, compassione e saggezza. Se perdiamo lo spirito di ricerca nei confronti del maestro non riusciremo a vedere la grandezza degli altri ma solo i loro difetti, e cominceremo a lamentarci. Se invece siamo determinati a far crescere una persona, riusciremo a vedere in lei virtù e forza, ciò le permetterà di svilupparsi. C’è bisogno di spirito di ricerca per poter parlare alle persone del meraviglioso mondo della SGI e della grandezza del nostro maestro. Sviluppare continuamente tale spirito è la nostra missione.
Di recente, il vice presidente Shigeo Hasegawa ha messo in evidenza sette punti, una specie di test della salute e della solidità del nostro ambito di attività:

  1. I membri hanno una vita traboccante di benefici?
  2.  Sono pieni di gioia e convinzione nella fede?
  3. Sono pronti ad affrontare con coraggio le tempeste del karma?
  4. Si sfidano nello shakubuku?
  5. Regna un’atmosfera calorosa e piena di incoraggiamento?
  6. C’è un’unità basata su fiducia e rispetto? Ci sono buoni legami?
  7. Sono fieri della loro relazione con il maestro e desiderosi di rispondere alle sue aspettative?

Sì o No?
Accertiamoci sempre che i membri stiano bene. Hanno una nobile missione, noi tutti l’abbiamo e non dovremmo starcene con le mani in mano in un momento così importante per la realizzazione del sogno di kosen-rufu.

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Gli obiettivi delle Divisioni
Come si sostengono i giovani?

«L’obiettivo dei giovani è condividere con gli altri l’insegnamento buddista. Sensei ci sta chiedendo di acquisire anzitutto la capacità di fare shakubuku, la capacità di organizzare grandi eventi verrà dopo» ha ribadito Daniele Santi, vice responsabile nazionale dei giovani uomini che insieme a Silvia Larese, responsabile delle giovani donne, ha raccontato le impressioni e le risposte ricevute durante il recente viaggio in Giappone.
Parole preziose che rimangono nel cuore e che ognuno può scegliere di utilizzare per oncretizzare i propri obiettivi personali e di attività nel 2012. A proposito della consapevolezza profonda di ciò che ci stiamo impegnando nel rea­lizzare, Silvia ha ricordato che è importante imprimere nel cuore, e non nella testa, le parole di Ikeda e del Gosho e valutare su questa base ogni cosa che facciamo. Perché, in fin dei conti, la nostra responsabilità è quella di incoraggiare le persone a nome di sensei.
Infine Silvia ha citato un’ultima guida preziosissima per riuscire a trarre il massimo risultato dai nostri sforzi.
Ci sono quattro tipi di preghiera, ha riferito Silvia, per “non” raggiungere un risultato.
1) una preghiera basata su odio, risentimento o rabbia; 2) una preghiera basata su un atteggiamento che dipende dall’esterno per la rea­lizzazione dei propri obiettivi; 3) una preghiera basata su una fede senza convinzione assoluta; 4) una preghiera basata su una fede che critica gli altri, attribuendo a loro la colpa (cfr. BS, 128, 21). Se c’è antipatia e problemi fra due persone è cruciale recitare affinché ognuno si concentri sul motivo per cui sta facendo attività, cioè per la felicità propria e degli altri.
Indicazioni concrete sono venute anche dagli adulti, in particolar modo su come sostenere al meglio i giovani che, come ha spiegato Asa Nakajima «non significa “insegnare loro qualcosa”, ma fare attività insieme. Si parte dall’avvicinarsi a loro con calore, stabilire una bella amicizia. Per gli adulti fare attività con i giovani è una grande occasione, per imparare da loro e approfondire la propria fede». Andrea Bottai ha sottolineato che «le più belle esperienze nascono da una collaborazione armoniosa tra giovani e adulti» e che è importante «trasmettere ai giovani la nostra determinazione e non le nostre paure e la sfiducia verso i membri o peggio ancora verso il Gohonzon».
Quindi, in concreto, per gli adulti: andare a trovare i giovani per instaurare con loro dialoghi profondi; lasciarli il più possibile liberi di realizzare la loro missione senza caricarli di attività o responsabilità organizzative; evitare di appesantirli dando loro una responsabilità centrale in un gruppo di soli adulti.

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Domande e risposte

Molto spesso ci sono difficoltà nel condividere gli scopi nazionali con i responsabili di gruppo e settore, che li percepiscono come un’imposizione. Come possiamo fare per meglio condividere gli scopi con questi responsabili?
Risponde Hideaki Takahashi: Il punto cruciale è trasmettere il motivo per cui è stato scelto quel determinato scopo. Quindi anzitutto è importante farlo nostro e comprenderlo a fondo recitando Daimoku. Se ci limitiamo a riferire freddamente lo scopo è possibile che le altre persone la sentano come un obbligo. Inoltre, la cosa importante, ancora prima di condividere un obiettivo, è verificare se c’è una relazione solida, se c’è unità d’intenti con gli altri responsabili. Se non c’è fiducia reciproca è impossibile condividere anche un piccolo obiettivo.
Ma c’è un altro punto importante che ho imparato direttamente nella mia attività in Germania. Anni fa, sensei mi chiese di non lasciare la Germania finché non avessi raddoppiato il numero dei membri in quel paese. Dentro di me soffrivo, chiedendomi come avrei potuto realizzare questo obiettivo e pensavo che se lo avessi comunicato subito agli altri, sarebbe stato percepito come una imposizione. Per questo motivo iniziai a leggere quello che scriveva il presidente Ikeda, specialmente a proposito delle sue esperienze di campagne di propagazione come Kamata, Bunkyo, Osaka, in cui non organizzò grandi riunioni, ma andò in ogni gruppo a incoraggiare personalmente i singoli. Così mi ripromisi di non parlare dell’obiettivo nelle riunioni generali, ma solo negli incontri individuali con gli altri responsabili. Per un anno feci così. Poi, dopo un anno, abbiamo lanciato lo scopo nelle riunioni generali e grazie all’impegno di tutti, abbiamo raggiunto l’obiettivo. Ognuno di noi è in grado di trasmettere la stessa determinazione raggiungendo il cuore di ogni responsabile.
Riassumendo, ciò che ho imparato dalla mia esperienza, direi che il primo punto è la sincerità, cioè quanto noi per primi abbiamo veramente compreso e abbracciato quello scopo fino in fondo. Il secondo punto è creare una relazione cuore a cuore e parlarne in un dialogo approfondito, da persona a persona.

Come fare quando un responsabile ha un atteggiamento collerico ed esprime costantemente giudizi negativi sugli altri?
Risponde Suzanne Pritchard: Potete già trovare molte indicazioni nei brani del volume della rivoluzione umana Luce di felicità (puntate 51, 52, 53). Inoltre ho un’esperienza specifica in merito a un responsabile che aveva proprio questo tipo di atteggiamento e faceva soffrire i membri.
Provammo a dirgli di smettere di comportarsi così, ma non funzionò. Allora cercammo di incoraggiarlo a rafforzare la fede, ma anche questo non funzionò. Poi, durante un corso in Giappone, chiedemmo un consiglio su questo tema e ci fu risposto di approfondire la nostra comprensione della relazione tra maestro e discepolo e creare una nuova energia e un’atmosfera diversa nella nostra zona. Così si sarebbe visto palesemente qual era il comportamento basato sulla relazione tra maestro e discepolo e quale non lo era. Provammo a mettere in pratica questa guida, sforzandoci ancor di più di fare nostro il cuore e l’intento di sensei nella relazioni con gli altri, e ciò che accadde fu che i membri cominciarono a non dare più peso al comportamento di quella persona, a ignorare le cose che diceva. In realtà per questa persona sentirsi criticato era ancora accettabile, ma sentirsi ignorato in questo modo, era una sofferenza insopportabile. E così la situazione cambiò. Può sembrare il modo più lento, ma in realtà è stato il più efficace. Non abbiamo dovuto aspettare che l’altra persona facesse un cambiamento, è bastato che cambiassimo noi. Desidero ringraziare la persona che ha fatto questa domanda perché avrà un’opportunità per creare una nuova energia nella sua zona.

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