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Daimoku: il suono dell'armonia - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 08:11

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Daimoku: il suono dell’armonia

La recitazione del Daimoku dovrebbe essere «leggera, rigenerante e vibrante». Non ci sono regole sulla quantità di Daimoku da recitare, l’importante è farlo finché non proviamo un senso di piena soddisfazione. Mettersi di fronte al Gohonzon così come siamo, in modo autentico e sincero: questo ci permetterà di vedere chiaramente dentro noi stessi

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La recitazione del Daimoku dovrebbe essere «leggera, rigenerante e vibrante». Non ci sono regole sulla quantità di Daimoku da recitare, l’importante è farlo finché non proviamo un senso di piena soddisfazione. Mettersi di fronte al Gohonzon così come siamo, in modo autentico e sincero: questo ci permetterà di vedere chiaramente dentro noi stessi

La parola Daimoku è composta da due ideogrammi: dai che vuol dire “titolo” e moku che significa “occhio”. In altri termini indica il titolo del Sutra del Loto.
Dai, però, ha anche un altro importante significato: estrarre il succo da qualcosa. Quindi Daimoku non è solo il titolo, ma in senso più ampio e profondo, è il succo, l’essenza del Buddismo. È il nome della legge dell’universo che esprime i princìpi e le funzioni mistiche della nostra vita, e questo ci appare più chiaro quando andiamo a vedere i diversi significati degli ideogrammi che lo compongono.
Nam (contrazione fonetica di namu) indica devozione, sincera dedizione; in pratica rappresenta l’azione e lo sforzo che noi offriamo, giorno dopo giorno, dedicandoci a sostenere il Buddismo. Myo e ho indicano la Legge mistica, mistica perché non comprensibile solo razionalmente. Questo non significa magico o esoterico, ma usando le parole del Gosho: «È semplicemente la misteriosa natura della nostra vita di momento in momento, che la mente non può comprendere e le parole non possono esprimere» (Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza, RSND, 1, 4). Myo significa anche “morte”, vale a dire il potere della vita nello stato latente, invisibile. Se myo indica il potere invisibile o latente, la morte, ho rappresenta invece l’aspetto chiaro e manifesto, quindi la vita. Perciò myoho ci fa vedere una realtà fondamentale: l’alternarsi della fase di latenza e della fase manifesta, insita in ogni fenomeno dell’universo, dal più maestoso al più piccolo.
Poi c’è renge, vale a dire, la “simultaneità di causa ed effetto”. Noi siamo portati a credere che ogni cosa che pensiamo o facciamo, produrrà un effetto soltanto dopo un certo tempo, ma in realtà non è cosi; l’effetto è immediato, solo che, pur essendo già presente all’interno della nostra vita, al momento non appare e si manifesterà all’esterno solo quando ci saranno le condizioni adatte, ovvero una causa esterna.
Per chiudere c’è kyo, che sta per “trama di un tessuto”, e ci ricorda che tutti i fenomeni dell’universo, compresa la nostra vita, sono legati gli uni agli altri, in una relazione di interdipendenza. Kyo vuol dire anche “suono”, perciò la nostra voce è così importante per entrare in armonia con tutto ciò che ci circonda, grazie alla recitazione del Daimoku.

I due tipi di Daimoku

Ma è possibile comprendere cosa significa pregare e cos’è davvero il Daimoku, utilizzando solo le definizioni dei suoi ideogrammi? In questo ci aiuta Daisaku Ikeda, presidente della SGI, distinguendo due aspetti: il Daimoku della fede e il Daimoku della pratica.
«Il primo riguarda l’aspetto spirituale della nostra pratica e consiste essenzialmente nella battaglia che ha luogo nel nostro cuore per contrastare la nostra condizione interiore illusa, od oscurità. È una battaglia contro le forze negative e distruttive interiori per aprire un varco nell’oscurità che avvolge la natura di Budda e far emergere la condizione vitale di Buddità grazie al potere della fede» (BS, 119, 15). In sintesi è credere.
Ne L’apertura degli occhi si legge: «Se non nutriamo dubbi nei nostri cuori, raggiungeremo naturalmente la Buddità» e dunque è qualcosa che ha a che fare con la fede, una fede senza dubbi.
Ma una fede così, è una fede cieca, che non si fa domande? Nulla di tutto questo: si cresce facendosi domande e i dubbi possono essere qualcosa di molto positivo. Tutto dipende dall’atteggiamento: da quanto vogliamo trasformare un dubbio, una sofferenza; dalla sincerità che mettiamo in ogni Daimoku, dallo sforzo costante per riuscire a percepire la forza, il valore, l’armonia dentro e fuori di noi, a discapito della paura, della sfiducia, del disordine interiore.
Il male assume un valore quando viene trasformato, altrimenti di per sé è solo male e non genera nulla di buono. Nel nostro caso un dubbio diventa positivo quando ci porta prima a recitare Daimoku e poi, una volta trasformato, a una consapevolezza e felicità più profonde. Se allontana dal Gohonzon, al contrario, è qualcosa di negativo.
Quindi la felicità della nostra vita dipende da come impariamo a usare ogni situazione, da quanta gioia riusciamo a provare in ogni momento, anche in quelli difficili. Così, giorno dopo giorno, si costruisce una fede senza dubbi, con sincerità, con sforzo, a volte con sofferenza e con cuore. Perché un cuore che crede è un cuore che ha imparato a fidarsi del Gohonzon e questo possiamo farlo tutti, senza distinzioni, e possiamo iniziare a farlo subito, la prima volta che recitiamo, affidandoci. Allora, sperimentando con la nostra esistenza, si comincia a comprendere davvero il potere del Daimoku.
«Il Daimoku della pratica riguarda invece l’azione specifica di recitare Nam-myoho-renge-kyo e di insegnarlo agli altri, gli sforzi che compiamo, con le parole e con le azioni, per la nostra felicità e per quella degli altri, che sono la dimostrazione tangibile della nostra battaglia interiore contro l’illusione e la negatività interne» (BS, 119, 15). Quindi, recitare Daimoku e diffondere l’insegnamento.
La nostra preghiera, afferma sensei, dovrebbe essere “leggera, rigenerante e vibrante” (BS, 148, 38), come un cavallo al galoppo. Non c’è una quantità prefissata: dovremmo recitare Daimoku fino a quando proviamo un senso di piena soddisfazione. In ogni modo, mettersi un certo quantitativo di preghiera come scopo giornaliero è occasione di crescita.
È molto importante recitare Daimoku in modo autentico, senza fingere di essere ciò che non siamo, perché questa sincerità ci permetterà di vedere cosa c’è davvero dentro di noi.
E ancora, imparare a recitare Daimoku in ogni momento: quando siamo tristi, arrabbiati, quando abbiamo perso, e allo stesso modo, pregare per ringraziare quando siamo felici, quando la vita ci sorride e sentiamo che tutto ha un ritmo. Certo, pregare “qualunque cosa accada”, come insegna il Gosho Felicità in questo mondo (RSND, 1, 607), non è cosa semplice; richiede grande coraggio, a volte uno sforzo che in quel momento ci pare troppo grande per le nostre forze. Eppure, vestirsi dell’abito della perseveranza è possibile: basta pregare con senso di missione cominciando a pensare agli altri. Anche questo è un percorso, e come tutti i cammini è fatto di passi, di attimi.
Ma quanti attimi della giornata dedichiamo alle altre persone e cos’è per me l’altro? È qualcosa che è lontano da me, o in un senso profondo riesco a percepire che siamo in qualche modo tutti uniti? Perché quando recitiamo Daimoku immediatamente manifestiamo la Buddità ma l’efficacia della preghiera dipende da quanto è profondo il desiderio di felicità delle altre persone. La profondità di questo desiderio va di pari passo con il nostro impegno, con le azioni coerenti che facciamo non solo per risolvere i problemi, ma per sostenere sinceramente la vita degli altri.
Una prima azione, piccola in apparenza ma in realtà di grande sostanza, possiamo cominciare a metterla in pratica quando conduciamo una recitazione: è importante comprendere che in quel momento ci facciamo carico della felicità di chi sta pregando insieme a noi.
La fede si manifesta con le azioni: ecco allora come si comprende che il Daimoku della fede e il Daimoku della pratica sono due facce della stessa realtà, in costante interrelazione tra di loro. Più noi impariamo ad aprire il nostro cuore grazie al Daimoku e più il nostro Daimoku diventa efficace e potente, il vero motore della rivoluzione umana, in un circolo virtuoso che ci fa trasformare. Ogni giorno che noi recitiamo Daimoku, abbiamo la splendida occasione di evolverci, di rinnovare il nostro spirito di ricerca, i nostri sogni e possiamo imparare a fare quello che non abbiamo ancora fatto, cercare dove ancora non sappiamo.
Oppure possiamo ripartire da lì, da dove siamo caduti, magari per l’ennesima volta sullo stesso problema che ci accompagna da anni e, grazie a un Daimoku “disperato”, decidere di rialzarci, cercare dentro di noi tutto il coraggio e la saggezza che ci servono per vincere.
Daimoku è anche sentire la nostra bellezza, quella degli altri, arrivare a percepire che tutto segue un ordine e un’armonia ben precise, e che senza il Daimoku questo ordine e quest’armonia non ci sarebbero.
Il Daimoku, quindi, è qualcosa di meraviglioso che va sperimentato e non si può capire solo con la testa: bisogna farlo con la vita. Solo allora possiamo iniziare a sperimentare la gioia di cui parla il Gosho, e trasmettere agli altri la vera natura e la semplice bellezza di tutto quello che ci circonda.

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