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Da via della seta a via della pace - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 12:31

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    Da via della seta a via della pace

    Dall’11 ottobre al 3 novembre la mostra itinerante “Senzatomica” è allestita nel capoluogo emiliano. Un’occasione per molti giovani per costruire una vera e propria cattedrale di pace e risanare le profonde ferite che hanno subito gli abitanti di questi luoghi a seguito dei disastrosi terremoti del 2012

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    Dall’11 ottobre al 3 novembre la mostra itinerante “Senzatomica” è allestita nel capoluogo emiliano. Un’occasione per molti giovani per costruire una vera e propria cattedrale di pace e risanare le profonde ferite che hanno subito gli abitanti di questi luoghi a seguito dei disastrosi terremoti del 2012

    Un mosaico di straordinaria bellezza: la Via Emilia, nastro d’asfalto che fin dall’Impero Romano allinea undici città, il rigoglioso fiume Po, il crinale dell’Appenino Settentrionale, l’argilla scolpita dalla natura in affascinanti calanchi, le spiagge chiassose della Romagna, il Delta ferrarese riconosciuto nel 1999 Patrimonio dell’umanità dall’Unesco.
    Dalle macerie del terremoto, che ha colpito la regione Emilia Romagna nel giugno 2012, emergono speranza, forza, unità, autenticità. Il Resto del Carlino scrisse: «Gli emiliani sono così. Devono fare una macchina? Loro ti fanno una Ferrari, una Maserati e una Lamborghini. Devono fare una moto? Loro costruiscono una Ducati. Devono fare un formaggio? Loro si inventano il Parmigiano Reggiano. Sono come i giapponesi, non si fermano, non si stancano, e se devono fare una cosa, a loro piace farla bene, bella e utile a tutti. Ci saranno pietre da raccogliere dopo un terremoto? Loro alla fine faranno cattedrali».
    L’Emilia Romagna ha deciso di non arrendersi mai: i giovani costruiscono cattedrali di pace che svetteranno infinite nel cielo. Mattone dopo mattone ora è il momento di “Senzatomica. Trasformare lo spirito umano per un mondo libero da armi nucleari”. La mostra, allestita dall’11 ottobre al 3 novembre a Palazzo D’Accursio, viene ospitata nella città di Bologna, culla dell’ateneo più antico del mondo e rinomata capitale della seta già dal 1272, quando fu costruito il primo filatoio, in virtù della fiorente produzione di questo prezioso tessuto.
    Oggi si traccia un nuovo percorso. Dalla Via della Seta, che trasse ispirazione dal commercio in oriente, alla via della pace, la via di un rinnovato umanesimo «che approfondendo gli scambi e superando ogni diversità etnica e di pensiero, riempia con la cultura la vena d’acqua sotterranea dei rapporti di amicizia tra i popoli […] verso una nuova alba della storia dell’umanità» (D. Ikeda, Ai miei cari amici italiani, IBISG, 2003, pag. 91; Università di Bologna, 1 giugno 1994).

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    Senzatomica a Bologna.
    La mostra itinerante, inaugurata per la prima volta a Firenze nel marzo 2011, ha come scopo la sensibilizzazione del visitatore sul rischio di guerra atomica che ha corso e tuttora corre il nostro pianeta. Il tema centrale quindi, oltre alla denuncia dei paesi più belligeranti e meno propensi allo smantellamento dei loro arsenali nucleari, è quello di un disarmo interiore. Per poter ottenere un cambiamento nell’ambiente è necessario innanzitutto un cambiamento individuale, del cuore. Sensibilizzare la società su come la guerra, e nella fattispecie le armi atomiche, siano quanto di più aberrante e inumano l’uomo sia stato in grado di creare.
    La mostra è stata insignita della “medaglia del Presidente della Repubblica” da Giorgio Napolitano (cfr. NR, 465, 22) e prossimamente sarà allestita a:

    1-21 ottobre: Civitavecchia (ROMA) – compact
    10-20 ottobre: Ischia (NA) – compact
    11 ottobre-3 novembre: Bologna – integrale
    12-20 ottobre: Greve in Chianti (FI) – compact
    22-31 ottobre: Montemurlo (PO) – compact
    28 ottobre-10 novembre: Fiumicino (ROMA) – compact

    Per le successive date e città in cui sarà presente la mostra e per qualsiasi informazione in merito, consultate il sito www.senzatomica.it

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    Dedicato a tutti gli studenti
    Marco C., Cavezzo (MO)

    Sto frequentando la facoltà di Scienze della comunicazione e, come da programma, ho dovuto sostenere l’esame di storia contemporanea attraverso la modalità telematica, cioè utilizzando in aula il computer. Il giorno dell’appello, dopo aver risposto a tutte le domande, le ho salvate nel sistema on-line e sono tornato a casa.
    Si tratta di uno degli esami più ostici della mia facoltà, che alcuni studenti hanno dovuto sostenere anche sei o sette volte.
    Dopo due settimane, mentre ero al lavoro, ho ricevuto una chiamata dal professore il quale mi comunicava che il mio esame era stato perso e che il giorno dopo avrei dovuto ridarlo. L’indomani, quindi, mi sono presentato all’appello ritrovandomi davanti delle domande diverse e anche abbastanza complicate. Sono venuto a sapere, inoltre, che non ero l’unico studente al quale era stato perso il compito e che anzi, negli anni precedenti, questa situazione si era ripetuta più volte. Finito l’esame, che non ho superato, ho fatto presente al professore che non mi era sembrato corretto cambiare il contenuto delle domande addirittura dandomi solo una notte per prepararmi; gli ho detto sinceramente ciò che pensavo sperando di arrivare al suo cuore. Sono uscito da quella stanza determinando che a giugno avrei risolto tutto. Il mio obiettivo non era semplicemente passare l’esame: volevo arrivare a far capire al professore che questa situazione non era normale, che qualcun altro avrebbe potuto affrontare un ostacolo ancora più grande, come pagare sei mesi di università in più o perdere un appello di laurea. Tutto questo non era accettabile, non era giusto: il mio desiderio davanti al Gohonzon era trasformare questa situazione per tutti gli studenti. Grazie all’attività fatta in questi mesi nella Divisione studenti e al sostegno dato per Senzatomica ho cambiato qualcosa dentro di me. Ho capito che questa campagna, che sensibilizza al disarmo interiore, è un’occasione per creare valore dove sono e in quello che faccio ora. È attuare davvero il dialogo in famiglia, con gli amici e nell’università. Ho capito che se vogliamo davvero cambiare il “grande” dobbiamo partire dal nostro “piccolo”. A giugno quindi ho sostenuto nuovamente l’esame di storia contemporanea. La prima cosa che il professore ha detto quando sono entrato in aula è stata: «Ho deciso, dopo tutti i disagi che sono successi in questi anni, di non fare più l’esame in via telematica, con il computer, ma in forma scritta con carta e penna. Così non si perderanno più i compiti e ognuno di voi potrà concentrarsi solo sull’esame facendo il suo dovere, com’è giusto che sia».
    Avevo vinto e, inoltre, sono riuscito a superare l’esame. Con il Daimoku e con il dialogo sono arrivato alla soluzione meno aspettata razionalmente, ma la migliore per tutti. Anziché rispondere all’ingiustizia con arroganza ho risposto con forza, la forza del coraggio di perseverare col Daimoku nell’essere certo che una soluzione c’era e sarebbe stata fonte di felicità per tutti.

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    Ho cura degli altri
    Chiara B., Gabicce Mare (RN)

    Nel 2006 mi sono laureata in Psicologia con centodieci e lode e l’anno seguente mi sono iscritta a una scuola di psicoterapia. Ho sentito subito il desiderio di lavorare al suo interno. Intanto svolgevo la professione di educatrice in comunità, un ruolo al quale non aspiravo e che non sentivo adatto a me, ma che mi permetteva di fare esperienza e soprattutto di mantenermi economicamente. Nonostante fosse un ambiente difficile, dove ho sofferto molto, non ho mai smesso di lottare per vincere ogni giorno. A un certo punto però il mio sogno ha bussato forte dentro di me: sentivo che anno dopo anno iniziavo a crescere come psicologa, e volevo tentare la difficile strada della libera professione. Penso alla storia dell’elefante nel circo, che vive dalla nascita legato a un palo; da cucciolo provava in tutti i modi a spezzare quella fune d’acciaio, ma senza risultato. Adesso è grande, ma non ci prova più, si è arreso, perché non sa che ora possiede la forza di spezzare quella catena e determinare il suo destino. Io invece ho deciso di spezzarla, quella catena. Dopo quattro anni di lotte, coliti e soprattutto tanto Daimoku e attività, un bel giorno ho sentito con ogni cellula del mio corpo che la mia esperienza in comunità era finita. Un giorno, in un luogo che tra l’altro frequento raramente, ho incontrato una psicoterapeuta affermata che ammiravo molto e che mi ha proposto di iniziare a collaborare con lei. Così ho iniziato questa bellissima esperienza: stare al fianco di questa professionista mi ha permesso di acquisire sicurezza, competenza, professionalità ma soprattutto umanità. Tuttavia la collaborazione con lei era da tirocinante e non percepivo stipendio. Crescevo professionalmente, ma a livello economico era tutto fermo. A un certo punto mi sono resa conto che, il lunedì mattina, tutti andavano a lavoro e io, invece, rimanevo nella mia camera a recitare Daimoku, ma il mio obiettivo non si realizzava. I colleghi mi inviavano pazienti, ma questi non mi chiamavano mai, era come se qualcosa dentro di me stesse “respingendo” il lavoro. Non lavorare, all’età di trent’anni quando sei nel pieno della tua maturità e forza, è stato molto frustrante. «E se non realizzo?», ho iniziato a pensare. Poi il mio cuore ha deciso: no, qui è il momento di offrire, aprire, credere di più. Ricordo quella preghiera disperata davanti al Gohonzon, dove ho sentito di essere così preziosa e importante per la società che dovevo esserci per forza. Era un peccato, ma non per me, per l’ambiente! Io avrei dato il massimo, avrei portato nel mondo il cuore, la lealtà e la determinazione del mio maestro, la sua attenzione per i dettagli, la sua dedizione. Da quel momento qualcosa è cambiato: la mia preghiera non era più una litania ossessiva per arrivare a quello stipendio o a quel tipo di lavoro, ma era una preghiera che si apriva come una cascata di acqua fresca, vasta ed energica, senza fine. Il presidente Ikeda dice: «La preghiera al Gohonzon, cioè la recitazione del Daimoku, non è astratta o teorica. È l’ardente desiderio interiore di essere vittoriosi. Se la fiamma della determinazione divampa nel nostro cuore nel momento in cui recitiamo, abbiamo già vinto» (NR, 426, 7). Ho iniziato a comprendere profondamente che kosen-rufu è molto più che fare attività; ho percepito che per me dedicarsi a kosen-rufu è avere un cuore che pulsa in ogni istante per la vita di tutti. Erano passati cinque anni da quando avevo iniziato a frequentare la scuola di psicoterapia e a desiderare con tutta me stessa di lavorarci. Proprio in quel momento, quando la mia vita si è aperta davvero a Nam-myoho-renge-kyo, mi hanno offerto un posto di lavoro. Ora ho un impiego part-time, con stipendio fisso, grazie al quale ho sistemato subito la mia situazione economica, e che mi permette di avere tutto il tempo per prendermi cura al meglio dei miei pazienti. Adesso appena un collega dà il mio contatto a un paziente, questo mi chiama immediatamente. È cambiato qualcosa in me che ha trasformato l’ambiente. Ora vado al lavoro felice, sento di poter incidere nella società, ed è una sensazione bellissima.

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    La gioia di aprirsi agli altri
    Giulia V., Bologna

    All’inizio di quest’anno avevo accompagnato il mio migliore amico a una riunione di discussione. Visto il suo forte e immediato interesse per il Buddismo siamo andati insieme al Centro culturale in occasione di un meeting principianti. Sono molto timida e così ho accolto la sfida di presentare quella riunione con il chiaro obiettivo di porre una causa per superare un esame all’università. Dato il mio carattere e la fatica che faccio a parlare davanti alle persone questo è stato importante: essermi impegnata in un’attività per me così difficile mi ha tirato fuori le capacità per esprimere al meglio ciò che avevo studiato con impegno riuscendo così a prendere trenta all’esame.
    Inoltre, con l’arrivo di Senzatomica nella regione si sono smosse tante cose nella mia vita – all’università, in famiglia, con il fidanzato, nell’attività – e ho iniziato un difficilissimo percorso di “disarmo interiore” nei confronti delle persone che mi circondano, ma soprattutto nei confronti di me stessa: fin da bambina, quando mi trovo in difficoltà, ho la forte tendenza a chiudermi come se fossi una chiocciola finché non arrivo da sola alla soluzione. Questo da un lato mi ha reso molto forte, ma dall’altro mi ha sempre fatta uscire da ogni battaglia esausta e con una grande solitudine nell’anima. Questa volta, invece, sentivo che il Gohonzon mi spingeva sempre di più nella direzione opposta e a fare questo passo per la mia vita; sentivo che era la cosa migliore. Quindi ho cominciato a parlare con le mie responsabili e compagne di fede e, anche se all’inizio è stato difficile, ciò mi ha permesso finalmente di aprire la mia vita agli altri.
    A luglio il mio amico ha ricevuto il Gohonzon insieme ad altre due giovani della Divisione futuro del nostro capitolo: è stata una giornata memorabile! Davanti a tutti ho preso la parola, andando contro la mia tendenza alla chiusura; ho condiviso le mie lotte e la gioia nell’essere lì quel giorno. Ho compreso la gioia che deriva dall’aprirsi agli altri, nel mostrare la nostra bellezza e nel decidere di vedere quella altrui. In quel periodo mi tormentava anche la relazione con mia madre con cui ho sempre avuto un legame molto forte, ma che negli ultimi tempi si era caricato di tensioni. Quel giorno ho percepito che potevo andare oltre qualsiasi situazione. Grazie alla forte decisione di aprirmi ho approfondito la mia fede e il dialogo con lei, creando un grande valore nella nostra vita. Ciò che ci divideva ha permesso di unirci ancora di più.
    Nel Conseguimento della Buddità in questa esistenza, Nichiren scrive: «Se cerchi l’Illuminazione al di fuori di te, anche eseguire diecimila pratiche e diecimila buone azioni sarà inutile, come se un povero stesse giorno e notte a contare le ricchezze del suo vicino, senza guadagnare mezzo centesimo» (RSND, 1, 4). Al di là dell’esperienza in sé, ciò che ho imparato in questi ultimi mesi è che devo cercare sempre dentro di me le cause e le tendenze su cui lavorare e soprattutto che posso fidarmi di ciò che la recitazione del Daimoku fa emergere dalla mia vita, anche se all’inizio non ne vedo la ragione o lo scopo.

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