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Da Kamakura a... Bagnara Calabra - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:27

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Da Kamakura a… Bagnara Calabra

Takaaki Shibuya, cuoco giapponese originario di Kamakura arrivò in Italia con un sogno che oggi è diventato realtà: aprire un piccolo ristorante di pesce sul mare. Lasciare il proprio paese ha significato affrontare sacrifici e superare le diversità culturali. Il suo cuore sincero è stato l’alleato migliore per sviluppare la capacità di adattamento senza smettere di guardare lontano

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Takaaki Shibuya, cuoco giapponese originario di Kamakura arrivò in Italia con un sogno che oggi è diventato realtà: aprire un piccolo ristorante di pesce sul mare. Lasciare il proprio paese ha significato affrontare sacrifici e superare le diversità culturali. Il suo cuore sincero è stato l’alleato migliore per sviluppare la capacità di adattamento senza smettere di guardare lontano

Da quanti anni fai il cuoco?

Dal 1988, da quando ho cominciato a lavorare mentre frequentavo l’università in Giappone. Mio padre sperava che la laurea mi aprisse altre possibilità di lavoro, ma io volevo fare il cuoco. Così, finita l’università, ho continuato a lavorare in cucina cercando di imparare il più possibile. Circa dieci anni dopo ho incontrato il Buddismo di Nichiren Daishonin e da allora è cambiato molto il mio rapporto con i colleghi e con il datore di lavoro.

Come ti trovi a lavorare in Italia da straniero?

Beh, non è facile neanche qui, ma ho sempre desiderato imparare i segreti della cucina italiana e sapevo che venire in Italia avrebbe significato maggiori sacrifici. Appena arrivato a Firenze, non avevo molti soldi e gli affitti erano molto cari. Poi, per lavorare avevo bisogno di imparare la lingua. Ho frequentato un breve corso di italiano, cercando di risparmiare il più possibile per poter andare a mangiare fuori e valutare il ristorante migliore dove poter offrire la mia collaborazione.
Un giorno ho mangiato in uno dei migliori locali di Firenze: tutto era buonissimo e ho deciso che volevo lavorare lì. Sono tornato per parlare con qualcuno, ma la prima volta mi hanno letteralmente cacciato. Dopodiché sono andato subito al Centro buddista e ho recitato molte ore di Daimoku con l’obiettivo di tornare ancora a chiedere lavoro nello stesso posto. Il giorno dopo mi sono ripresentato e sono riuscito a parlare col titolare che mi ha concesso un mese di stage senza paga. Alla fine del mese il titolare era così contento che ha deciso di pagarmi e mi ha offerto di lavorare nel suo ristorante. Ci sono rimasto quasi quattro anni, maturando una grande esperienza con dei colleghi fantastici. La mia determinazione aveva vinto e le parole di Nichiren mi avevano incoraggiato a cercare la mia missione sul posto di lavoro.
Negli anni seguenti ho lavorato in altri locali, con altri colleghi e in condizioni economiche meno felici, ma mi sono sempre impegnato per offrire agli altri la parte migliore di me.

Cosa ti ha spinto a cambiare di nuovo rotta e trasferirti dalla Toscana in Calabria?

Due cose: avviare un’attività in proprio e vivere sul mare. Le mie finanze erano ridicole per l’offerta del centro Italia e a me piaceva il mare del sud. A Firenze avevo amici calabresi che mi avevano ospitato nella loro terra, in quelle occasioni avevo visto un paesaggio naturale molto simile a quello a cui ero abituato in Giappone: le colline verdi sul mare, le insenature, i pescherecci; me ne sono innamorato.
Nel 2009 ho lasciato il lavoro che avevo a Firenze e mi sono trasferito in Calabria per fare esperienza sul posto. Si è ripetuta la stessa storia di quando ero arrivato in Italia: mi sono recato in uno dei locali migliori del versante tirrenico e dopo una settimana di prova mi volevano già assumere.
Ho lavorato un anno con sacrifici immensi, senza giorni liberi né orari regolari, ma guadagnandomi una grande fiducia da parte del titolare e dei colleghi. Al momento di andare via mi volevano promuovere. Dopo un anno avevo deciso di mettermi in proprio e avviare un locale tutto mio a Bagnara Calabra, una cittadina sul mare che somiglia tanto a Kamakura.

Un progetto azzardato, non hai avuto paura ad affrontarlo da solo?

Sì, ma mi sono affidato al Gohonzon che “racchiudeva” i miei sogni. Per aprire il locale ho dovuto affrontare cose per me impensabili e tutte nuove, in questi anni sono stato a guardare e mi sono fatto una buona esperienza come cuoco, ma fare l’imprenditore in un paese straniero per me rappresentava davvero l’impossibile.
Il mio spirito giapponese mi ha permesso di non mollare di fronte alla lentezza della burocrazia italiana, ai pettegolezzi della piccola città in cui avevo scelto di vivere nonostante la curiosità della gente che ancora si chiede che cosa ci stia a fare un giapponese a Bagnara Calabra. A me interessa avere un rapporto diretto con le persone con cui lavoro, non solo con i clienti, ma anche con i contadini e i pescatori del posto.
Adoro la cucina genuina e cerco sempre i prodotti migliori. Mi rendo conto che nel mondo della globalizzazione io sto andando contro corrente, ma col mio lavoro sperimento ogni giorno l’unità fra l’individuo e l’ambiente. La mia è una cucina a chilometri zero, per quanto è possibile, e questo mi riempie di gioia. I miei amici hanno anche creato un gruppo del locale su un social network, su cui di solito io pubblico la foto del pesce di giornata e i clienti fanno i loro commenti; fra i vari post, un cliente ha apprezzato il fatto che rilascio sempre la ricevuta fiscale, che secondo me è una cosa normalissima.
Per me essere onesti nel lavoro equivale a propagare questo Buddismo. In altre parole, se io creo un ambiente di lavoro ideale posso essere d’esempio per altre persone, in una terra dove c’è molto bisogno di incoraggiare gli altri, e non solo a parole.

Il tuo locale si chiama “I Dieci Mondi”. Perché?

È una domanda che mi fanno in molti e io non perdo occasione per spiegarlo. In Calabria sono in pochi a praticare; c’è bisogno di diffondere il Buddismo di Nichiren per poter migliorare la condizione lavorativa di tutti. Ho chiamato l’osteria “I Dieci Mondi” perché deve essere un luogo di trasformazione dello stato vitale delle persone. Per esempio se una persona che entra nel locale non sta bene, dopo aver assaggiato i miei piatti deve uscire con uno stato vitale più elevato, o almeno questa è la mia intenzione. Un altro motivo per cui ho scelto questo nome è la possibilità di far incontrare nelle mie ricette cibi di culture differenti, di altri mondi.

Qual è il valore più importante per un cuoco?

Fare del bene. Per un cuoco vuol dire offrire un cibo di qualità a un giusto prezzo. La soddisfazione mia e dei clienti ha lo stesso identico peso. Cucinare per loro equivale a giocare una partita sul piatto: mi pagano per cucinare e io in cambio offro loro soddisfazione. I clienti più importanti sono quelli che esprimono la loro opinione spassionata. Apprezzo molto quando mi dicono cosa hanno gradito, ma soprattutto quando mi riferiscono cosa non gli è piaciuto: questo mi permette di migliorare il servizio.

Un consiglio che puoi dare ai cuochi buddisti?

Cercare di non perdere le riunioni di discussione. L’orario di lavoro dei cuochi può essere un problema per partecipare allo zadankai. Io ho sempre recitato per “creare” il tempo per praticare questo Buddismo. Ho sempre lottato molto per non allontanarmi dall’organizzazione a causa dell’orario di lavoro, anche cinque minuti di Daimoku insieme a un compagno di fede mi aiutano a sentirmi vicino al mio maestro.

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