Senza fare mai mancare a mia madre la mia presenza, lavoro e famiglia permettendo, il Daimoku è ancora oggi l’unico mezzo che mi permette di sviluppare la saggezza per decidere e scegliere il meglio
Pratico il Buddismo dal 1980. Da sempre ho avuto un rapporto conflittuale con mia madre – insegnante di latino e greco per quarant’anni -, accompagnato dalla sensazione di dovermi conquistare continuamente la sua stima. All’epoca andavo a lezione di pianoforte da un’insegnante del conservatorio che seguiva il perfezionamento di grandi pianisti internazionali; contemporaneamente studiavo medicina all’università, benché sapessi che nel mio cassetto c’era un sogno ben diverso. Il risultato è che mi sentivo in terribile ritardo per qualsiasi cosa: per fortuna, al colmo della frustrazione e confusione che accompagnavano i miei ventidue anni, incontrai Nam-myoho-renge-kyo.
Il primo beneficio fu quello di sentire che esiste un ritmo ben preciso nell’universo e, incuriosita, ho continuato a praticare.
Mia madre, delusa, mi tolse il saluto, perché lei e mio padre mi avevano educata con la libertà di… “non-religione”. Ma io continuai, certa che prima o poi avrebbero capito anche loro.
Il primo beneficio fu tirare fuori il mio sogno dal cassetto, avere il coraggio di guardarlo in faccia e realizzarlo: mi piaceva scrivere. Oggi sono giornalista professionista, lavoro in un famoso settimanale, ho due libri al mio attivo e tutto ciò senza aver mai avuto nessuna raccomandazione.
Anche mia madre iniziò a praticare, ma il suo, all’inizio, era solo un modo per cercare di capire, negli anni del terrorismo, a Torino, che cosa avesse in testa sua figlia. Recitavamo insieme, ma spesso, a metà Gongyo, lei si ricordava di aver lasciato… il latte sul fuoco, oppure di dover assolutamente telefonare all’amica che non sentiva da venticinque anni. Un disastro. Al punto che avrei preferito non avesse mai cominciato a praticare! Invece, quando decisi di non giudicarla più, e di considerare tutto quello che non condividevo di lei come un buon incoraggiamento ad agire io per prima in maniera diversa, lei cominciò a praticare regolarmente e decise, comunque, di diventare membro il giorno stesso in cui purtroppo mio padre morì, dopo aver recitato Daimoku anche lui per un anno.
Dopo essere stata “pioniera” a Torino – eravamo in sette praticanti in tutto il Piemonte!-, nel 1988 mi trasferii con mio marito a Milano, dove sono nate le nostre due figlie. Dopo un po’ anche mia madre si trasferì da noi, perché non voleva vivere da sola. Lei avrebbe avuto la nostra compagnia, il nostro affetto e ogni nostra attenzione, in cambio sarebbe stata un punto di riferimento per le due bambine, permettendo a me e a mio marito di fare tanta attività, e diventando lei stessa responsabile di capitolo. La convivenza non è stata facile, ma era un allenamento. Negli anni però, mamma, oltre ad astrarsi sempre di più dalle normali cose della quotidianità, aveva iniziato a non rendersi ben conto del tempo, a dimenticare le chiavi di casa in giro, a lasciare la porta aperta o il gas acceso, tendendo a isolarsi. Io cercavo di fare con lei cose che le facessero piacere, ma il suo disorientamento aumentava e la mente era come se iniziasse ad abbandonarla. Essendo figlia unica potete immaginare il mio dispiacere e la mia angoscia nel sentirla sempre più lontana.
Nel 2007 le fu diagnosticato una forma di parkinsonismo e un inizio di demenza senile: avrebbe avuto bisogno di stimoli appropriati, diversi, e di stare con persone della sua età. Fu una decisione difficile, avevo sensi di colpa e nessuna idea in merito eppure, recitando Daimoku, trovai una casa-albergo per persone anziane in una bella località sul lago, dove poteva essere accudita e stare in compagnia, al punto che ebbe anche uno spasimante ufficiale: Giancarlo, novant’anni. Tempo dopo purtroppo Giancarlo ci lasciò e le condizioni di mamma si aggravarono, costringendomi a cercare un’altra struttura, questa volta priva di barriere architettoniche. Non potevo che affidarmi di nuovo al Daimoku per trovare un altro posto adatto a lei: gli shoten zenjin, le funzioni protettive dell’universo, puntualmente si attivarono e trovai una residenza molto piacevole e familiare, che poteva accogliere solo nove persone. Scoprii, inoltre, che la titolare della struttura praticava e dato che la mamma aveva portato con sé il Gohonzon, ciò mi tranquillizzò.
Senza fare mai mancare a mia madre la mia presenza, lavoro e famiglia permettendo, il Daimoku è ancora oggi l’unico mezzo che mi permette di sviluppare la saggezza per decidere e scegliere il meglio: medici, persone che possano assisterla nel migliore dei modi.
A causa del progredire della malattia, il rapporto fra me e mia mamma è diventato sempre più esile, riducendosi a fare Daimoku insieme o poco più; lei ha bisogno continuamente di maggiore assistenza e sempre più impegnativa, ma nonostante tutto continua a godere di buona fortuna. Infatti, un anno fa, quando dovette essere trasferita in una residenza più attrezzata, ancora una volta gli eventi si svolsero in maniera particolare: la madre della titolare era a sua volta titolare di un’altra struttura più adatta alle esigenze di mia madre e c’era una lista di attesa dell’Asl, che da diciotto persone arrivò a zero nel giro di due sole settimane. Il trasferimento per mia madre non fu molto traumatico, ma dentro di me restava il dispiacere che lei, non riuscendo più a badare al suo Gohonzon in autonomia, fosse costretta a chiuderlo. Recitando, però, mi resi conto che ero io a non avere il coraggio di dire che mia madre è buddista. Questo dubbio arrivava dalla mia oscurità fondamentale. Allora decisi che dovevo parlare chiaro e chiesi alla nuova titolare se in camera di mamma si potesse mettere un altro mobiletto. Lei mi guardò perplessa. E io: «Dentro ci va una pergamena antica…». E lei: «Ah, il Gohonzon!». Così oltre a rimanere di stucco, scoprii che era stata proprio quella signora ad aver fatto shakubuku alla figlia! Ora in camera di mamma si recita: io, mia mamma, a volte le titolari o qualche infermiera o assistente, e anche qualcuno dei parenti che incuriositi entrano in camera e ci domandano: «Funziona?». E mia mamma che, proprio come dice il presidente Ikeda, fra tutte le cose della propria vita quelle che ricorda di più sono i membri e l’attività fatta per kosen-rufu, conferma: «Sì, funziona…».
Nel 2010 un problema ha improvvisamente capovolto l’equilibrio familiare che ormai davamo per scontato e il mio primo pensiero davanti al Gohonzon è stato per la giovane età delle mie figlie: una di quindici anni e l’altra di venti.
Sono passati quattro anni, e Ottavia, la più piccola, che aveva perso due anni di scuola, ha trovato la forza di recuperare, quest’anno ha superato con un bel voto l’esame di maturità e si è iscritta all’università. La più grande, Maria Sole, invece, che aveva reagito impegnandosi nello studio, avrebbe voluto iscriversi alla facoltà di Medicina. Non riuscendo a passare il test d’ingresso, si è iscritta alla facoltà triennale di Tecniche ortopediche per poter almeno restare nell’ambiente della danza che aveva frequentato con passione per tanti anni. Di certo non avrebbe mai immaginato che il suo presidente di corso era il medico del Teatro alla Scala e l’ortopedico di Roberto Bolle! Laureatasi con centodieci e lode, non si è fermata qui: incoraggiata dal suo professore, ha studiato il francese e ha sostenuto il test d’ingresso alla facoltà di Medicina di Louvain a Bruxelles, rientrando tra gli studenti considerati più idonei. La facoltà belga è una delle più prestigiose del mondo, vi ha studiato anche Rita Levi Montalcini e vi insegnano ricercatori della NASA e altri premi Nobel. La sfida che ha davanti è notevole, ma ha deciso di usare il Daimoku e ha già cominciato a dare i primi esami. Ha trovato un’ottima sistemazione, è già in contatto con i membri belgi e a gennaio scorso ha ricevuto il Gohonzon.
Tutto questo è potuto succedere grazie allo studio del Gosho, alle guide del presidente Ikeda e a tutta l’attività svolta in questi anni.
Scrive Nichiren Daishonin: «Una donna che si dedica al Gohonzon attira la felicità in questa vita, e nella prossima il Gohonzon sarà con lei e la proteggerà sempre. Come una lanterna nell’oscurità, come un forte braccio che ti sostiene lungo un sentiero infido, il Gohonzon ti proteggerà, signora Nichinyo, dovunque tu vada». E, io, da figlia e da mamma, lo sperimento ogni giorno.