La “dottrina corretta” cui si riferisce Nichiren Daishonin nel Rissho ankoku ron è il «vero veicolo, l’unica buona dottrina» (SND, 1, 45), cioè l’insegnamento del Sutra del Loto che dà a tutte le persone la capacità di schiudere il potere della natura di Budda contenuto nelle loro vite e ottenere la Buddità. A livello individuale “adottare la dottrina corretta” significa costruire una forte fede nel Sutra del Loto. Significa far sì che ogni persona aspiri a realizzare la propria felicità e quella degli altri (MDG, 1, 87-88).
Una delle primissime esperienze all’inizio della pratica buddista mi fece capire questo legame indissolubile fra felicità propria e felicità degli altri, rispetto degli altri e rispetto di sé.
Come per molti, il mio modello di relazione con l’altro sesso seguiva il seguente schema: 1) incontrare qualcuno; 2) dare inizio a una relazione; 3) essere felice per un po’; 4) cominciare a diventare infelice e porre fine alla relazione; 5) ricominciare dal punto 1).
Era un classico processo di “tentativo-errore” con un particolare accento sull’“errore”!
Dopo qualche anno di pratica incontrai un uomo meraviglioso che adesso è mio marito. Dopo aver recitato molto Daimoku decidemmo di sposarci e chiedemmo un consiglio nella fede. Ci spiegarono che anche se l’amore è un’emozione meravigliosa, proprio perché è un’emozione tende a essere estremamente mutevole. Come le onde sulla superficie dell’oceano: a volte sono enormi e travolgenti, a volte il mare sembra quasi completamente calmo. Per questo il Buddismo sottolinea l’importanza del rispetto. Il rispetto è come la corrente che scorre incessante nelle profondità dell’oceano, indipendentemente da quello che accade sulla superficie.
Quando ho cominciato a recitare Daimoku per rispettare la vita di mio marito, la prima cosa che ho capito è stata che ciò che nella nostra società abitualmente etichettiamo come rispetto in realtà si basa su quello che il Buddismo chiama stato vitale di Animalità. Di solito si accorda rispetto a chi ha potere, posizione sociale, autorità, fama o ricchezza mentre, per contro, il Buddismo rispetta tutti gli esseri viventi perché intrinsecamente possiedono il grande potenziale della Buddità. Ognuno è unico, nessun altro può offrire al mondo lo stesso contributo che ognuno di noi può dare. Questo, di per sè, indipendentemente da casa, automobile o lavoro ecc. rende una persona degna di rispetto.
La seconda cosa che capii è che si può veramente rispettare la vita di un altro solo nella misura in cui si comprende cosa sia il rispetto di sé. Dovevo comprendere cosa significava rispettare le qualità della Buddità in me stessa per riuscire a capire che il Gohonzon è una realtà che esiste nella vita di ognuno, me compresa.
È un’esperienza comune, all’inizio della pratica buddista, provare una sensazione di essere entrati in contatto con una sorgente di energia interiore e, anche se razionalmente si capisce ancora ben poco della teoria, intuitivamente si percepisce che questa è una cosa buona.
Un modo per spiegare questo consiste nell’immaginare la nostra vita come un puntino all’interno di un cerchio che rappresenta la consapevolezza della nostra capacità vitale (fig. 1). Via via che si continua a recitare, a partecipare alle varie attività buddiste, a studiare e a insegnare agli altri, si sviluppa una maggiore conoscenza teorica dell’immenso potenziale che possediamo. E però può darsi che in pratica non riusciamo a sentirlo. Quella che all’inizio ci sembrava essere una vita grande non si rivela grande abbastanza; si giunge a un punto in cui non si avverte più lo stesso senso di libertà ma al contrario di ristrettezza, in altre parole ci si sente incagliati e incapaci di andare oltre (fig. 2).
A questo punto è possibile giungere a una o più di queste quattro conclusioni:
1) Il Gohonzon non funziona. Sto praticando con intensità ma sembra che nulla funzioni.
2) Sto sbagliando. Apparentemente pratico come gli altri ma loro prendono benefici e io no.
3) Sto regredendo. Ero abituato a sentire la mia vita che funzionava a pieno ritmo, con i motori al massimo, ma ora ho perso quella sensazione. Invece di progredire nella fede mi sembra di tornare indietro.
4) Mi sono sbagliato. Pensavo di aver davvero cambiato o capito qualcosa ma ora non sono più tanto sicuro che fosse vero. Di fatto non sono sicuro di aver capito proprio un bel niente riguardo alla fede. (Di solito questa considerazione è seguita da una profonda e spiacevole sensazione di ipocrisia o disonestà al pensiero di tutte le persone che abbiamo incoraggiato a praticare).
In realtà nessuna di queste cose è vera.
La sola cosa vera è che la conoscenza che abbiamo della nostra Buddità che magari andava bene fino a un anno, un mese, una settimana o un minuto fa non è più sufficiente per ciò che vogliamo fare con la nostra vita. Perciò possiamo onestamente concludere che è tempo di crescere.
È buffo che spesso quando incontriamo altri che stanno affrontando difficoltà siamo immancabilmente incoraggianti e bravissimi a sostenerli. Abbiamo piena fiducia nella loro capacità di approfondire la fede e risolvere le loro difficoltà. Usiamo un linguaggio positivo e pieno di convinzione e affettuosa premura. Ma quando siamo noi stessi a incontrare difficoltà il nostro dialogo interno spesso è molto, molto diverso. Poiché il Buddismo insegna il principio di unicità della vita e del suo ambiente se vogliamo davvero accrescere la nostra capacità di sostenere gli altri è indispensabile che ci sforziamo di sviluppare nei confronti della nostra vita, un grado di compassione pari a quello che cerchiamo di riservare alle persone che ci circondano.
Un aspetto del vedere la propria Buddità è il desiderio di prendere coscienza delle proprie potenzialità, delle grandi capacità che esistono nella nostra vita. È lo stabilire una relazione con se stessi basata veramente sull’apprezzamento, e sull’occuparsi di sé e del proprio miglioramento personale. Insomma diventare i propri migliori amici. Inevitabilmente quando si recita per costruire questo nucleo interiore di compassione e rispetto di sé, si diventa subito esperti nell’individuare le situazioni e i comportamenti in cui non ci stiamo basando sul rispetto. Può essere una rivelazione sconcertante ma solo quando si riconosce che non stiamo rispettando noi stessi, possiamo impegnarci sul serio in un processo di trasformazione.
Per tornare al nostro diagramma (fig. 2) ci sono alcuni tratti caratteristici che si manifestano quando abbiamo raggiunto il limite di quanto siamo consapevoli della nostra Buddità. Incapaci di vedere le potenzialità della nostra vita, in quel momento, abbiamo l’impressione di non averne mai avuto alcuna vera conoscenza. Mi viene di immaginare questa specifica tappa della crescita personale come una sorta di “terra di nessuno”. Non si può fare affidamento sul livello di conoscenza che avevamo in precedenza perché non basta più ma non abbiamo ancora raggiunto il livello di consapevolezza di cui la nostra vita ha bisogno adesso.
Però per fortuna in questi momenti abbiamo l’opportunità di offrire sincere, oneste e di solito urgenti preghiere con lo spirito di «con unica mente desiderano vedere il Budda e non risparmiano la propria vita» (SND, 5, 4). Questa frase che recitiamo ogni giorno in Gongyo significa che dovremmo desiderare ardentemente di vedere la nostra Buddità, sforzandoci con tutto il cuore di aprire un nuovo livello di consapevolezza del nostro potere interiore, un livello al quale in precedenza non avevamo accesso. Io me lo figuro come una sorta di estrazione mineraria davanti al Gohonzon. Gradualmente si diventa capaci di aprirsi un nuovo spazio e sperimentare nuovamente la libertà di vivere basandosi sulla condizione vitale di Buddità (fig. 3).
L’errore che si può commettere in questo processo è pensare che basti farlo una volta per tutte! In realtà si giunge spesso a questo punto anche se, grazie a una forte pratica e a una costante attività buddista possiamo ispirarci a oltrepassare ogni volta il più rapidamente possibile il limite in modo da continuare a crescere costantemente. Allora diventano un po’ come gli anelli di crescita di un albero. Più se ne accumulano più si diventa forti, e più lussureggianti sono i rami più sono le persone che trovano rifugio sotto la loro ombra. La cosa bella è che non occorre aspettare che siano le altre persone oppure le situazioni a cambiare. La nostra felicità non deve attendere. Siamo noi che cambiamo, noi che diventiamo i Budda di assoluta libertà, capaci di accedere sempre di più all’autentico potere di cui l’essere umano è dotato (fig. 4).
Sono sempre più convinta che il processo di costruzione di un nucleo interiore di compassione e rispetto di sé non sia altro che lo spirito di shakubuku rivolto verso l’interno. Il vero spirito di shakubuku si basa su una grande generosità. È la volontà di vedere le grandi potenzialità degli altri e di intavolare con loro un dialogo costruttivo che li aiuti a prenderne coscienza. Nel Buddismo si dice che l’Illuminazione è completa soltanto quando diventa una base per l’azione. Quello che Nichiren Daishonin chiama “adottare la dottrina corretta” (Rissho), per ognuno di noi consiste nello sforzo costante di apprezzare se stessi e gli altri, di approfondire costantemente la nostra comprensione individuale della Legge, mentre cerchiamo di far sì che anche gli altri creino una relazione con essa.
Più il nostro desiderio di basarci sulla Legge si approfondisce, o in altri termini, più il desiderio di usare la nostra energia vitale per proteggere la Legge e l’umanità si approfondisce, più saremo in grado di trasformare le condizioni vitali dei nove mondi da Inferno a Bodhisattva in modo che rivelino il loro aspetto illuminato, la Buddità.
Ciò che ci permette di realizzare concretamente questa grande trasformazione interiore è la promessa solenne di usare la nostra vita per kosen-rufu. Il voto di proteggere la Legge e tutta l’umanità è la causa per l’Illuminazione di tutti i Budda.
È l’opposto del nostro consueto modo di pensare. Di solito pensiamo: «Quando avrò capito questo punto, quando avrò realizzato questa prova concreta potrò insegnare agli altri». Al contrario è lo sforzo di dedicare la nostra vita alla felicità degli altri che ci spinge oltre il nostro piccolo io, oltre quella parte di noi che desidera usare la propria energia vitale solo per proteggere se stessa. Quando siamo concentrati solo sul proteggere i nostri interessi alle spese degli altri, i nove mondi nella nostra vita sono incapaci di mostrare il loro lato creativo basato sull’Illuminazione fondamentale e invece rivelano l’aspetto negativo e distruttivo dell’oscurità fondamentale.
Pensare che tutta la nostra energia vitale, e l’energia vitale di tutto l’universo hanno la possibilità di essere sia positive che negative è molto differente dalla visione del mondo della cultura occidentale nella quale esiste una separazione rigida di origine religiosa fra il bene e il male. Ci può capitare di recitare per liberarci dalla collera o dalla paura ma questo non è possibile. Quello che è possibile è trasformarle. Se la nostra energia viene indirizzata alla protezione della Legge e di tutta l’umanità scorrerà in direzione della Buddità e dell’Illuminazione. Se d’altro canto, la usiamo solo per proteggere noi stessi aumenterà la tendenza a sminuire o disprezzare gli altri considerandoli solo mezzi per la nostra felicità individuale.
Viene la tentazione di pensare che possa esistere una posizione neutrale: «Non faccio voto di usare la mia energia vitale per proteggere la Legge e tutta l’umanità ma nemmeno rimango attaccato al desiderio di usarla unicamente per proteggere me stesso». Ma non c’è neutralità nel Buddismo. Nel preciso istante in cui si smette di desiderare di usare la propria forza vitale per proteggere la Legge e l’umanità, la nostra vita ritorna gradualmente a chiudersi in un atteggiamento conservatore di autoprotezione.
Perciò la chiave per una completa felicità si trova soltanto in una pratica abbastanza forte da trasformare l’oscurità fondamentale o illusione in Illuminazione fondamentale o Buddità.
Come spiega Ikeda: «I numerosi problemi dell’epoca attuale possono essere realmente risolti solo se affrontati con una profonda comprensione della natura della vita umana. Il Buddismo del Daishonin tratta approfonditamente della lotta fra la natura del demone e la natura di Budda all’interno della vita umana […] Solo attraverso questa battaglia fondamentale a livello della vita potrà esserci un cambiamento nel destino dell’umanità» (MDG, di prossima pubblicazione).
Crescita senza fine
Qual è il rapporto tra il rispetto degli altri e rispetto di sé? Perché all’inizio della pratica la nostra vita sembra magicamente rifiorire e poi, dopo qualche tempo abbiamo la sensazione di aver sbagliato tutto?
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