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Cosa significa soka - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 11:35

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Cosa significa soka

Continua la serie dedicata ad alcuni principi-base della pratica buddista. In questa puntata diamo uno sguardo al concetto di “creazione di valore” e alle sue implicazioni e applicazioni pratiche

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Continua la serie dedicata ad alcuni principi-base della pratica buddista. In questa puntata diamo uno sguardo al concetto di “creazione di valore” e alle sue implicazioni e applicazioni pratiche

«Un’esistenza vissuta senza scopo o valore, senza conoscere la ragione per cui si è nati, è triste e debole […]. Agire, creare o contribuire a qualcosa che sia di beneficio alla società e a noi stessi, dedicandoci con tutte le nostre forze a questa sfida, è un modo di vivere che genera soddisfazione e valore» (D. Ikeda, Giorno per giorno, Esperia, 13 gennaio). La parola “valore” ricorre nei discorsi e negli scritti di Daisaku Ikeda, nelle esperienze di fede condivise dai membri della SGI, nei nostri scopi più grandi come in tanti obiettivi quotidiani. È così importante da essere parte del nome stesso della Gakkai: Soka, creazione (so), valore (ka).
Ma cosa significa valore? La visione soka, questa “rivoluzione del pensiero” che avrebbe avuto successivamente una straordinaria portata religiosa, ha inizio nei primi anni del secolo scorso grazie all’impegno e alla strenua ricerca di un maestro elementare, un geografo ed educatore che avrebbe fondato la Soka Gakkai: Tsunesaburo Makiguchi. Notando quale carico di tensioni, nozioni e aspettative schiacciasse gli allievi sin dalla più giovane età, Makiguchi dedica anni alla sperimentazione di un nuovo modello educativo basato sulla “Teoria del valore”, con un obiettivo preciso: «Propongo la felicità come scopo dell’educazione, basandomi sull’osservazione e l’analisi di quello che è per tutti lo scopo della vita. Il fine dell’educazione, quindi, dovrebbe essere il fine della vita stessa» (T. Makiguchi, L’educazione creativa, La Nuova Italia, Firenze, 2000, pag. 8). La riflessione filosofica di Makiguchi ribaltava totalmente la visione tradizionale, così come era stata impostata dal filosofo tedesco Immanuel Kant (seguendo una lunga tradizione che faceva capo già a Platone) sulla base dei tre valori considerati fondamentali: verità, bene e bellezza. Makiguchi sottolinea invece che la verità, lungi dall’essere un valore, è piuttosto uno scopo della conoscenza e delinea una nuova triade composta dagli elementi che insieme costituiscono il valore: guadagno, bene, bellezza. Se il guadagno consiste nell’utile personale e la bellezza nel valore estetico o emotivo che soddisfa aspetti specifici della vita individuale, il bene è ciò che porta a un miglioramento della comunità, del nostro ambiente.
Ad esempio, riferendosi all’ambito professionale, Ikeda afferma rivolgendosi ai giovani: «Il valore della bellezza consiste nel trovare un lavoro che vi piace, il valore del guadagno nell’avere un lavoro che vi dà da vivere come sognate, mentre quello del bene consiste nel fare un lavoro utile agli altri e alla società. […] L’ideale è trovare un lavoro che vi piace (bellezza), finanziariamente sicuro (guadagno) e che contribuisce alla società (bene)» (I protagonisti del XXI secolo, Esperia, vol. 1, pag. 78). Ma, sottolinea Ikeda, il valore non risiede solo nella realizzazione di questa condizione ideale: sta nel percorso che ci avrà portati fin lì, fatto di passaggi “intermedi”. Così, ogni volta che ci stiamo impegnando a diventare persone insostituibili laddove siamo, ogni volta che, indipendentemente dalla nostra posizione, ci stiamo assumendo la piena responsabilità in ambito lavorativo, stiamo aprendo la via della creazione di valore che ci porterà a condurre una esistenza felice e realizzata.

Il valore si crea insieme agli altri

Prima di essere un risultato, la creazione di valore è un atteggiamento, è ricerca costante del proprio miglioramento personale nella situazione presente, significa esplorare a fondo il proprio potenziale. Da questo punto di vista, anche un periodo cruciale come la crisi finanziaria globale, può diventare una occasione per esprimere la propria creatività, dare vita a nuovi progetti, anche attraverso percorsi non convenzionali. Come sottolinea Makiguchi, la felicità non può implicare l’abnegazione, la rinuncia a se stessi e alle proprie aspirazioni, né la tensione a perseguire obiettivi egoistici che creino danno alla società: «Cercare di annullare se stessi è una menzogna, cercare di diventare felici insieme agli altri è la via per essere veri. Non dobbiamo farci confondere dalla piccolezza o grandezza delle cose. Essa costituisce solo il punto di vista della realtà. Invece, è importante basarsi sul valore, ovvero su quanto è forte o debole la nostra relazione con le cose». Alla luce di questo, la domanda che dovremmo porci anche nei momenti di difficoltà o dinanzi a una sfida è: «Come posso creare il massimo valore da questa situazione?»; «Come posso migliorare la qualità della mia vita e dell’ambiente in cui mi trovo?». Può accadere infatti che la vita ci conduca alla “verità”, ma è grazie al valore che essa progredisce; non posso “vivere” la verità, ma posso vivere il valore, perché il valore è dinamico, mi pone in relazione, include la mia vita.
La teoria del valore è applicabile a ogni aspetto dell’esistenza, aldilà dello specifico ambito pedagogico. Una relazione sentimentale, ad esempio, può essere una fonte di creazione di valore, ma questo non è automatico. Se ci si basa esclusivamente su un forte coinvolgimento emotivo e sul benessere personale, si stanno certamente perseguendo i valori di bellezza e guadagno, ma può mancare del tutto il valore del bene, poiché ci si è chiusi in un mondo dove esistono solo i due innamorati. Per questa ragione, nei dialoghi con i giovani Ikeda indica un altro aspetto molto importante, che consiste nel “guardare in avanti, nella stessa direzione” condividendo un nobile scopo. In altre parole, essere “compagni d’armi” (Ibidem, pag. 60). Anche l’impegno ad apprendere dagli aspetti positivi che più apprezziamo nel nostro partner ci rende migliori, crea valore.
«La vita che conosce il bene sommo è degna degli sforzi che richiede, ma necessita di una religione corretta e assoluta, una religione che chiarisca perfettamente la natura della vita umana» (RU, 1, 205). Per questa ragione, sottolinea Ikeda, la logica di Makiguchi non poteva condurre che al Buddismo di Nichiren Daishonin.
Proprio in virtù del profondo legame con il Sutra del Loto e con Nichiren Daishonin, quando entra in contatto con l’insegnamento buddista, Makiguchi riesce a coglierne l’essenza, il cuore, come anche l’aderenza alla vita quotidiana, elemento, questo, che era stato sottovalutato se non ignorato dal clero. Non a caso è proprio Makiguchi a porre per primo l’accento sulla distinzione tra credenti e praticanti, sottolineando l’importanza della pratica attiva, impegnata in una trasformazione della realtà.
Anche lo studio, nella visione di Makiguchi, non è inteso come una teorica preparazione a un futuro lontano ma come una esperienza in costante relazione con la vita quotidiana. Per questa ragione il desiderio di creare un sistema scolastico Soka è nato insieme alla fondazione della stessa Soka Kyoiku Gakkai, nel 1930, sebbene sia stato Ikeda più di trent’anni dopo a metterlo in pratica. Nel 1967-68 nascono in Giappone le prime scuole basate sulla pedagogia della creazione di valore e sui princìpi del Buddismo di Nichiren; nel 1971 viene fondata l’Università Soka in Giappone cui segue, nel 1987 la fondazione della sede americana, in California. Oggi il sistema educativo Soka – basato sul rispetto della dignità umana e dell’ambiente naturale, sul dialogo e la valorizzazione di culture e tradizioni diverse – si sta diffondendo nel mondo, mantenendo, dalle scuole materne all’università, un unico scopo: contribuire a formare i nuovi costruttori di pace, quei cittadini del mondo creatori di valore che siano in grado di prendersi la responsabilità della loro vita e della società in cui vivono.

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La scuola di Soka / Educare alla creatività

Prima di incontrare il Buddismo il mio approccio al design era istintivo, nel senso che lo facevo perché mi veniva naturale, perché mi piaceva, perché mi dava gioia. Ma non avevo mai avuto una piena consapevolezza delle potenzialità e del significato profondo di questo campo artistico.
Quando insegnavo mi piaceva ripetere ai ragazzi alcuni concetti, alcune frasi, come quella dello storico dell’arte Giulio Carlo Argan: «Chi non progetta ha già scelto di essere progettato». Tuttavia, prima di incontrare la pratica, la intendevo in modo ristretto, più in senso “politico” che “umanistico”. Certo, la libertà di pensiero è la base di una società che si voglia chiamare democratica, ma la cosa più importante è che progettare – un edificio, una rivista o più in generale la propria vita – senza lasciarsi trascinare passivamente dagli eventi, è la base di una vita consapevole e nobile. Progettare è porsi degli obiettivi e trovare la strada corretta per raggiungerli.
Oggi, quando ripeto questa frase ai miei ragazzi, so che sto indicando loro una strada maestra che va al di là del semplice compitino scolastico. Non mi interessa più che sappiano fare un bel progettino di grafica: capisco che il mandato etico di un insegnante deve essere più grande. «Lo scopo dell’educazione deve essere quello di incrementare la creatività di valore dell’educato» diceva Makiguchi. La scuola quindi non può essere solo “istruzione” ma deve soprattutto essere “educazione”.
Educare significa condurre fuori, prendere per mano i ragazzi, instaurando un rapporto maestro-discepolo basato sulla reciproca fiducia, su un’autorevolezza che non è autoritarismo, sul dialogo.
L’arte ha da sempre un potenziale enorme nel guidare la rivoluzione umana. Così, da due anni, con i miei ragazzi non mi dedico più alla mera progettazione di grafica pubblicitaria. Non facciamo più etichette per bottiglie di vino o marchietti aziendali, ma ci dedichiamo soprattutto alla realizzazione di manifesti di grafica sociale. Abbiamo realizzato poster sulla pena di morte, sul maltrattamento delle donne, sulla xenofobia. E ogni volta il tema scelto è l’occasione per un confronto dialogico forte, per un vero “
zadankai scolastico”. I ragazzi si confrontano sinceramente, io cerco di liberarmi dei miei pregiudizi confidando nelle potenzialità del dialogo cuore a cuore.
La curiosità è l’arma vincente di un buon designer, ma è anche l’arma vincente di chiunque voglia intraprendere la propria rivoluzione umana.
Ogni tanto mi capita di essere chiamato a tenere una lezione in scuole e università all’estero. E quando capita cerco sempre di non limitarmi a dare solo informazioni. So che il mio scopo è sempre più vasto, coincide con
kosen-rufu. Così la mia lezione inizia sempre con la domanda: «A cosa serve fare design?». A cui fa seguito la risposta: «A cambiare le persone, a cambiare il mondo». Perché, come afferma Daisaku Ikeda: «Fare, creare o contribuire a qualcosa che sia di beneficio agli altri, alla società e a noi stessi, è un modo umanistico e nobile di vivere».

Sergio Olivotti
docente di progettazione grafica

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