Ne La nuova rivoluzione umana si legge: «La nostra rivoluzione umana ha inizio quando individuiamo l’unico male della nostra vita e decidiamo di eliminarlo, recitando sinceramente Daimoku e sfidandoci per risultare vittoriosi». Cosa significa?
Il concetto di “unico male” è espresso da Nichiren Daishonin nel suo trattato Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese, che egli sottopose alla massima autorità politica del suo tempo:
«Piuttosto che offrire diecimila preghiere, sarebbe meglio semplicemente bandire questo unico male» (RSND, 1, 16)
Cosa si intende per “unico male”, che Nichiren individua come la causa fondamentale della sofferenza, del disordine dilagante in un diffuso senso di rassegnazione, e che dobbiamo bandire per raggiungere la prosperità e la pace nella società?
All’epoca di Nichiren Daishonin molte persone in Giappone avevano preso fede negli insegnamenti della Pura terra (o Nembutsu), che li esortava a ricercare la felicità dopo la morte. Questi insegnamenti avevano indebolito la volontà delle persone a impegnarsi a vivere nel “qui e ora”.
Di conseguenza, davanti ai conflitti e alle calamità che incombevano, il popolo giapponese era arrivato al punto in cui si era semplicemente rassegnato al proprio destino.
Tutto ciò è l’esatto opposto dell’insegnamento del Sutra del Loto, che incoraggia a rivelare in questa vita il supremo stato vitale che esiste dentro di noi, a trasformare il mondo reale in cui viviamo e a costruire un regno di pace e felicità. Il Sutra del Loto insegna che l’essere umano svolge un ruolo determinante nel corso della propria esistenza in questo mondo.
Nichiren individua come “unico male” ciò che impedisce alle persone di vedere quanto siano meravigliose e di riconoscere la natura di Budda insita in loro, ovvero l’oscurità o ignoranza fondamentale che esiste nella vita di ogni essere umano. Ikeda Sensei afferma a riguardo:
«L’oscurità fondamentale è l’ignoranza fondamentale inerente alla vita, che porta a non credere nella dignità e nel valore dell’esistenza umana e all’indifferenza per la vita degli altri. La più grande minaccia alla pace è di fatto questa ignoranza fondamentale» (I giovani e gli scritti di Nichiren Daishonin, pag. 65)
Nell’approfondire questo concetto Ikeda Sensei afferma che l’“unico male” appare nella nostra esistenza in vari modi: ad esempio quando ci convinciamo di non riuscire in qualcosa a prescindere da quanto ci sforziamo, oppure quando pensiamo in modo egoistico solo al nostro interesse.
Ne La nuova rivoluzione umana fa l’esempio di una persona che si ammala perché non dorme a sufficienza e non si prende abbastanza cura di se stessa. Per lei trascurare la sua salute è l’“unico male” della sua vita. Allo stesso modo, per ognuno di noi esiste un “unico male” che ci impedisce di compiere la nostra rivoluzione umana e diventare felici. Scrive Ikeda:
«L’unico male potrebbe essere per esempio quando ci trascuriamo o sminuiamo noi stessi quando le cose non vanno come avremmo sperato. Oppure quando ci rimproveriamo per i nostri fallimenti o quando rendiamo gli altri infelici, oppure se non riusciamo a lavorare in armonia per kosen-rufu insieme agli altri. Anche la tendenza a rinunciare e a fuggire ogni qual volta si presenti una difficoltà è un altro “unico male”. Esistono molti altri tipi di “unico male”: per ogni persona può essere diverso e ognuno di noi ha il suo. La nostra rivoluzione umana ha inizio quando individuiamo l’unico male della nostra vita e decidiamo di eliminarlo, recitando sinceramente Daimoku e sfidandoci per risultare vittoriosi» (NRU, 24, 165)
Questo incoraggiamento spinge a esaminare la propria vita con sincerità e a percepirne la vera natura. È importante guardare se stessi e diventare consapevoli delle proprie tendenze innate che impediscono la nostra crescita e felicità. Dobbiamo pregare sinceramente allo scopo di sfidarle e di riuscire davvero a cambiare. Ma non serve né preoccuparsene, né tanto meno nascondersi o fare paragoni con altri. È essenziale credere in se stessi e fidarsi del proprio cuore. Così come ci ricorda Ikeda Sensei:
«La nostra natura profonda non cambia ma la fede ci può aiutare a contrastare gli aspetti negativi della nostra personalità e a far emergere gli aspetti positivi. Nichiren Daishonin scrive: “[…] Ogni cosa – il ciliegio, il susino, il pesco, il prugno selvatico – nella sua propria entità, senza subire alcun cambiamento, è eternamente dotata dei tre corpi [del Budda]”» (Cos’è la rivoluzione umana, pag. 119)
Ognuno di noi porta il personale fardello della sua vita costituito dalle particolarità della propria nascita e del proprio ambiente. Quando riconosciamo il nostro “unico male” e decidiamo di superarlo, la ristrettezza delle nostre condizioni individuali, che non possono essere sostituite con quelle di nessun altro, si trasforma nella profondità con la quale realizziamo il nostro sé originale.
Recitando Nam-myoho-renge-kyo e sforzandoci nella pratica buddista per noi stessi e per gli altri, le nostre vite si riempiono di saggezza, coraggio e gioia, qualità che ci permettono di superare ogni difficoltà per quanto avvilente possa essere, dimostrando al contempo la validità degli insegnamenti del Buddismo di Nichiren e l’enorme beneficio derivante dalla nostra pratica.
Quando recitiamo Daimoku aneliamo a manifestare la nostra Buddità, ma se il centro della nostra vita viene occupato da tutte le cose per cui siamo infelici, non saremo in grado di riconoscere la nostra natura di Budda e diventerà più difficile vederla anche negli altri.
L’unica strada percorribile per uscire dal vicolo cieco in cui si trova la società è che le persone credano nelle proprie capacità e in quelle degli altri, e che lavorino insieme per farle emergere.
Il dialogo è il mezzo con cui possiamo riuscirci, grazie a interazioni che tocchino ciascuno di noi nel profondo.
Nella Proposta di pace del 2019 il maestro Ikeda evidenzia l’importanza di sradicare la “patologia della rassegnazione” celata nella profondità del nostro essere, dando voce al nostro potenziale interiore. E afferma:
«Il trattato Adottare l’insegnamento corretto per la pace nel paese ci invita a non rassegnarci di fronte ai mali della società e a raccogliere invece tutte le nostre capacità interiori per fronteggiare le dure sfide del nostro tempo come agenti di un cambiamento proattivo e contagioso» (BS, 194)
