Quando sono andato a ritirare gli esami ero sereno. Il medico mi spiegò con stupore che il midollo non stava più producendo “cellule pazze”. La mia guarigione era totale. Fu una vittoria assoluta. Da quel giorno decisi di dedicare ogni vittoria al presidente Ikeda sentendo crescere con naturalezza questo legame
Nei primi anni di pratica, la mia vita era sregolata, votata alla droga e all’alcool, per cui la mia mente, il Daimoku e lo studio erano incostanti. In più il mio carattere, forgiato in un rione popolare di Napoli, non lasciava spazio agli altri. Nel 2004 decisi di ricevere il Gohonzon per cambiare la mia vita. Mi trasferii a Faenza con mia madre dove mi venne proposta la responsabilità di hombu giovani uomini. Mi scontrai subito con i miei limiti: ascoltare veramente le persone, aumentare il Daimoku, vedere la Buddità in ognuno e soprattutto trasformare la mia tendenza a sopraffare gli altri. Dopo tante esperienze di fede, nel 2014 feci la più grande sulla malattia: mentre lavoravo, sentii una fitta alla schiena, faticavo a respirare. Andai al Pronto soccorso dove i medici dissero che avevo un’infiammazione tendinea. Ma la notte il dolore era così forte che non riuscivo a dormire. Decisi di fare Daimoku per la vittoria assoluta. Questa volta il medico dell’ospedale individuò il problema reale: collasso del polmone sinistro. Mi operarono subito. In ospedale recitavo Nam-myoho-renge-kyo la mattina presto per non disturbare gli altri degenti, e parlai del Buddismo a due persone. Per telefono incoraggiavo più persone possibili e dopo venti giorni mi dimisero.
Esattamente un anno dopo essermi ripreso dal collasso polmonare, una sera provai una fitta lancinante all’occhio sinistro che si era riempito di sangue. Chiamai subito l’ambulanza, nell’attesa mi accorsi che stavo perdendo la sensibilità al lato destro. Pensai che potevano essere i sintomi di un ictus, feci così una “manovra” che avevo letto in un libro di medicina qualche anno prima: contare da 1 a 10 e poi a ritroso, sorridere allo specchio per vedere se la bocca si storceva e ripetere l’alfabeto. In ospedale mi trovarono ben tre ictus. Dopo tre giorni il lato destro era completamente insensibile, mi dissero che ci sarebbero voluti nove mesi per un recupero del 75%. Fui assalito da una profonda tristezza. Perché era successo proprio a me? Tornato a casa, litigai con mia madre; succedeva spesso, ma quella volta decisi di utilizzare la malattia per trasformare il karma della mia famiglia. Lo feci con impegno anche perché mia madre è affetta da una forma di leucemia piastrinale e aveva bisogno di me. Tante cose iniziarono a migliorare: facevo tanto Daimoku, studiavo per approfondire la fede, seguivo una dieta specifica e tutti i giorni camminavo, per sette chilometri, cercando di aumentare la velocità. In tre mesi ebbi l’incredibile recupero del 90%!
Stavo meglio, così tornai al lavoro dove tutti mi aspettavano, ma qualche settimana dopo mi apparvero sul corpo lividi ed ematomi. Mi diagnosticarono una leucemia. La lotta per trasformare il karma della malattia non era ancora finita. Decisi di aumentare il Daimoku arrivando a tre ore al giorno, ripresi anche l’attività di protezione al Centro culturale, desideravo sostenere gli altri senza essere limitato dalle mie condizioni fisiche. Dovevo fare una biopsia per valutare la situazione e decisi di farla a Roma per poter sostenere una persona a cui avevo parlato del Buddismo, incoraggiarla a rafforzare la sua fede e farle conoscere altri praticanti. Avevo in testa solo una frase di Gosho: «Nam-myo-ho-renge-kyo è come il ruggito del leone. Quale malattia può quindi essere un ostacolo?» (RSND, 1, 365). Con una fede incrollabile, le parole e l’esempio del mio maestro nel cuore, il sostegno delle persone, il 27 novembre entrai al Policlinico per la biopsia. Quando il medico mi portò i risultati mi disse: “Questi sono i primi esami e sembra che tu abbia la leucemia; secondo quelli di una settimana fa dovresti essere morto; quelli di oggi mi stupiscono: sembra che il tuo corpo stia guarendo da solo”. Ero felicissimo. Decise di non operarmi, e mi diede da fare altri esami. I risultati sarebbero arrivati il 14 dicembre, ero sicuro che anche se l’esito della malattia fosse stato positivo avrei vinto senza lasciare la mia missione a metà: volevo vivere a lungo per vedere crescere mio figlio e non volevo lasciare sole le persone che lottano con me per kosen-rufu sulla strada di maestro e discepolo e a cui voglio un bene immenso. Quando sono andato a ritirare gli esami ero sereno. Il medico mi spiegò con stupore che il midollo non stava più producendo “cellule pazze”. La mia guarigione era totale. Fu una vittoria assoluta.
Da quel giorno decisi di dedicare ogni vittoria al presidente Ikeda sentendo crescere con naturalezza questo legame. Iniziai a percepirlo con forza mentre lottavo con tutto me stesso per debellare l’oscurità fondamentale, così come aveva fatto lui in gioventù. La mia occasione è stata la malattia e mi ha fatto capire che il sentiero che conduce alla felicità passa dalla strada aperta dal maestro. Nel realizzare la sua visione di kosen-rufu, sorge in maniera naturale tutto ciò di cui la vita ha bisogno. Così fece Ikeda con il maestro Toda e così intendo fare io tutti i giorni! La mia vita sarà lunga, prosperosa e soprattutto accompagnata da una gioia senza limiti.