Recitavo per la felicità di mio padre, affinché risolvesse i suoi problemi economici, così “io” non avrei più avuto imbarazzo a parlar di lui. Questa era la mia felicità, non la sua. Per lungo tempo mi vergognavo anche solo a dire, perfino alle persone più vicine, che lavorava in un garage, dopo avervi in passato parcheggiato auto di lusso, e questo perché fondamentalmente non ero mai riuscito ad ammetterlo a me stesso
Il mio incontro con il Buddismo risale al gennaio 2006, grazie a un mio carissimo amico. La recitazione di quella strana frase mi diede una carica eccezionale ed essendo alla ricerca di un punto di riferimento spirituale, decisi di provare. Era un periodo positivo: avevo conseguito la laurea triennale, mi ero iscritto alla specialistica in Storia dell’Arte e stranamente… non ero in preda a sofferenze d’amore.
Il giorno dopo in casa trovai un’altra copia del libro Felicità in questo mondo oltre a quella che mi era stata donata. Fu una grande sorpresa scoprire che lo stesso giorno anche a mia madre avevano parlato del Buddismo.
Nei primi due mesi fui poco costante, era come se attendessi un pretesto per iniziare seriamente, che puntualmente arrivò: in seguito all’accumulo di gravi debiti da parte della ditta di mio padre tutte le proprietà immobiliari di famiglia furono confiscate dai creditori. Si trattava di un’azienda di materiale discografico che fino alla fine degli anni ’90 ci aveva garantito un certo benessere economico ma che ormai aveva ben oltrepassato il limite del fallimento. Avevamo perso tutto: la casa, i locali e una piccola, ma funzionante, palestra che mia madre aveva creato dal nulla. Per me fu un colpo durissimo; difficilmente potrò dimenticare quel pomeriggio nel buio della mia camera sprofondato nella sofferenza. Inoltre, un altro grande problema affliggeva la mia famiglia: uno dei miei fratelli maggiori faceva uso di alcol e stupefacenti.
Presi la decisione di avanzare come indica Nichiren, quando scrive: «Credi profondamente in questo mandala. Nam-myoho-renge-kyo è come il ruggito di un leone. Quale malattia può quindi essere un ostacolo?» (Risposta a Kyo’o, RSND, 1, 365). Decisi di sperimentare attraverso il Daimoku la “forza del leone all’attacco” cercando di non farmi coinvolgere dal pessimismo che mi aveva accompagnato fin dall’adolescenza.
I primi risultati non tardarono ad arrivare: la seduta fissata per l’asta di vendita delle proprietà andò deserta e il trasferimento coatto fu rinviato di un anno; avemmo così il tempo di cercare un’altra sistemazione. Nello studio miglioravo ogni giorno, affrontavo qualsiasi esame con una tranquillità straordinaria e soprattutto le ansie e le paure che avevano sempre costellato le mie preparazioni sembravano svanite: il Daimoku aveva il potere immenso di farmi credere nelle mie capacità.
Nel frattempo mio padre, che aveva dovuto chiudere definitivamente la sua attività, decise di rimettersi a lavorare facendo i turni di notte in un garage, dato che la pensione di sussistenza non era sufficiente. Mia madre invece poteva ancora svolgere il suo lavoro fino all’asta successiva.
Quando arrivò la notizia ufficiale e definitiva dello sfratto, le lacrime di mia madre e la sua sofferenza mi fecero decidere di contribuire direttamente alla causa di kosen-rufu, a cominciare dalla mia famiglia, di cui mi assumevo pienamente la responsabilità. Con il Gohonzon e il presidente Ikeda al mio fianco non potevo avere ostacoli o nemici imbattibili, così eliminai la tendenza al lamento e decisi di rialzarmi.
A luglio mi fu proposta l’attività di protezione (gruppo soka-han) e poco dopo la corresponsabilità di gruppo: accettai entrambe con gioia. Sentivo il gran valore dell’attività per gli altri; aumentarono le occasioni di parlare del Buddismo, imparavo ad aprirmi e a comprendere la sofferenza altrui e l’importanza di avere forza ed energia per prendersi davvero cura di ogni singolo praticante. Arrivò anche il momento del trasloco. Con mia madre recitammo molto Daimoku per trovare un’abitazione che rispondesse alle nostre esigenze. Abbiamo trovato una casa grande almeno quanto l’altra nel centro di Bari, a un prezzo clamorosamente basso. Ho percepito che siamo un tutt’uno con l’ambiente e che, come ci esorta a credere Nichiren, “non esistono terre impure” di per sé e ora sono felice di vivere nella nostra attuale casa.
Lo scorso anno per me è stato particolarmente importante. A gennaio mia madre è diventata membro della Soka Gakkai. Il 16 marzo a Milano ho vissuto con altre migliaia di giovani europei lo storico giorno del secondo atto di kosen-rufu, un momento eccezionale per approfondire la fede. Quando abbiamo tenuto la riunione del gruppo Leonardo in Puglia, per l’occasione il presidente Ikeda ci ha inviato questo incoraggiamento: «Vi ringrazio di cuore per i vostri sforzi sinceri. Vi prego di svolgere un’attività piena di gioia e ricca di significato». Fare attività in questo gruppo ha stimolato in me lo stesso desiderio del maestro: far parte di una generazione che contribuirà sicuramente a un futuro mondo di valore.
Recitando Daimoku ho percepito una forte sofferenza legata alla mia famiglia: non accettavo l’attuale situazione di mio padre, mi stavo vergognando di lui e non riuscivo a capacitarmi del suo declassamento. Recitavo per la sua felicità, affinché risolvesse i suoi problemi economici, così “io” non avrei più avuto imbarazzo a parlar di lui. Questa era la mia felicità, non la sua. Per lungo tempo mi sono vergognato anche solo a dire, perfino alle persone più vicine, che lavorava in un garage, dopo avervi in passato parcheggiato auto di lusso, e questo perché fondamentalmente non ero mai riuscito ad ammetterlo a me stesso. Recitando profondamente ho sentito tanta compassione e un infinito senso di gratitudine nei suoi confronti perché i suoi continui sforzi sono degni di una persona di immenso valore. Mi ha donato la vita, la possibilità di praticare e ora la mia vittoria è aver recepito questo col cuore. Puntuale è arrivato il sostegno di sensei a scalfire il mio timore del giudizio altrui: «È importante tenere salda la propria fede senza essere influenzati o sviati da ciò che gli altri fanno o dicono. Coloro che vivono in questo modo sono forti e liberi dal rimpianto. Ciò che più importa non è come agisce chi ci circonda, ma come noi viviamo» (Giorno per giorno, esperia, 12 febbraio).
Anche nei confronti di mio fratello ora la mia battaglia non è più soltanto quella di recitare Daimoku affinché cambi la propria condizione, ma di farlo col profondo desiderio che sia felice, e gli sono grato per l’infinita possibilità che mi dà ogni giorno di praticare nella stanza che condivido con lui. Mio fratello sta decisamente meglio e sebbene non pratichi e non abbia completamente risolto il suo problema, l’effetto della protezione del mio Daimoku sulla sua vita è meraviglioso.
Mia madre ha chiuso la sua attività sportiva ed è stata subito assunta in una struttura molto più grande. Piccolo particolare… mia madre ha sessant’anni e parliamo del Sud Italia.
I miei propositi per il futuro sono conseguire a breve termine la laurea specialistica e avviare in Puglia un solido movimento di studi di arte contemporanea, proteggere e lodare la mia famiglia e soprattutto continuare a lottare strenuamente per kosen-rufu, con i miei coetanei della Divisione giovani, consapevole che la presenza del presidente Ikeda accanto a me sarà uno straordinario sostegno nelle lotte della vita.