Ho ricevuto il Gohonzon nel 2005. Quel giorno mia sorella, che è stata la prima a parlarmi del Buddismo di Nichiren Daishonin, mi regalò il libro del Gosho con questa dedica:
«Una donna che fa offerte a questo Gohonzon attira la felicità in questa vita, e nella prossima il Gohonzon sarà con lei e la proteggerà da ogni lato, a destra e a sinistra, davanti e dietro. Come una lanterna nell’oscurità, come un forte braccio che ti sostiene lungo un sentiero infido, il Gohonzon ti circonderà e ti proteggerà, signora Nichinyo, dovunque tu vada»
(Il reale aspetto del Gohonzon, RSND, 1, 738)
Ricordo ancora la forza che ho sentito nel leggere questa frase la prima volta, quando ancora non sapevo quante volte l’avrei letta nei momenti difficili che avrei affrontato. Allora pensavo di non avere grossi problemi. Avevo un marito che amavo, due bellissimi figli e avevamo appena comprato una casa in campagna. Con mio marito facevamo quasi tutto insieme, appoggiandoci l’una all’altro. La mia vita si svolgeva serena tra casa, famiglia e lavoro.
La decisione di seguire mia sorella in una riunione del Gruppo donne non era nata da una sofferenza, bensì dalla curiosità. Il Daimoku e le attività della Soka Gakkai mi davano una nuova inaspettata energia e man mano capivo quanto, prima di iniziare a praticare il Buddismo, in realtà fossi insoddisfatta.
Nella primavera del 2007 mio marito mi disse di non essere più innamorato di me. Tutto ciò che avevamo costruito iniziò a franare. Da quel momento ho letto quella frase del Gosho centinaia di volte, mentre recitavo Daimoku davanti al Gohonzon, con l’obiettivo di salvare il mio matrimonio. Compresi chiaramente che la mia era una relazione basata sulla dipendenza. Quel “fare tutto insieme”, era un modo di aggrapparci l’una all’altro.
Scrive Ikeda Sensei:
«La famiglia è un nucleo di sicurezza e speranza, tanto necessarie alla vita, una fortezza di felicità e pace, un luogo in cui rivitalizzarsi, per ricaricare le batterie ogni giorno. Un insieme di legami positivi che crea le condizioni per il miglioramento e la realizzazione personale. È un castello di armonia e di crescita» (Le cinque guide eterne, Esperia, pag. 3)
In quel momento vedevo chiaramente tutto quello che non eravamo, ma d’altra parte il Buddismo insegna che possiamo cambiare la nostra condizione “da ora in poi”. Volevo rimanere con Franco a tutti i costi e riuscire nell’impresa in cui, ai miei occhi, avevano fallito mia madre e mia nonna, ma poi compresi che ciò non sarebbe stato sufficiente per essere felice. Il punto era come avrei affrontato il cambiamento.
Recitando Nam-myoho-renge-kyo acquisii fiducia in me stessa.
Mi dedicai con costanza all’attività e mi sfidavo nell’offerta per kosen-rufu, iniziai così naturalmente a provare gratitudine per aver incontrato il Buddismo e imparai a gestire meglio le mie finanze. Alla fine fui io a prendere il coraggio a due mani per la separazione e poi il divorzio.
Dividemmo la casa in due unità immobiliari e poco dopo ci venne pignorata.
Poteva essere il capitolo finale della sconfitta e invece, ormai capace di affrontare la notte più scura, lo trasformai in una ripartenza. Nonostante la separazione, la decisione di vivere ancora vicini fu una protezione per i nostri figli, permettendo loro di crescere accanto al padre e mantenere con lui una buona relazione. Nel frattempo la procedura di pignoramento dell’immobile durò a lungo, permettendo a tutti noi di trasformare le incomprensioni e migliorare i nostri rapporti.
Grazie al Daimoku si può attingere a potenzialità inespresse che ci permettono di dialogare anche quando sembra impossibile. Durante questo percorso entrambi avevamo iniziato una nuova relazione.
Il mio nuovo compagno, che pratica da molto tempo e che mi ha sostenuta in tutti i modi, è venuto a vivere insieme a me e ai miei figli, e anche Franco ogni tanto ospitava la sua compagna.
Per tutti noi è stata l’occasione di vedere come sia possibile vivere in armonia anche senza essere una famiglia “tradizionale”.
Ancora non sapevo che quello non era il lieto fine, bensì la base per affrontare la prova più dura.
Nel 2019, una mattina Franco si sentì male e io lo accompagnai al Pronto soccorso dove gli venne diagnosticato un tumore inoperabile al fegato.
La sera rientrando a casa iniziò la mia lotta davanti al Gohonzon. Pregavo perché potesse affrontare la malattia con serenità. Io l’avrei accompagnato insieme ai nostri figli, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Il mio compagno ci ha sostenuto come solo un bodhisattva può fare. In un momento di repentino peggioramento, come ultima chance a Franco venne fatto un trattamento che, contro ogni aspettativa, necrotizzò il tumore. E dopo alcune settimane ci fu un netto miglioramento.
Nel 2021 è stato operato definitivamente e quando è stato dimesso, non ancora autosufficiente, io e il mio compagno lo abbiamo accolto e assistito a casa nostra.
È stata una grande prova per tutti, la dimostrazione di quale rivoluzione si possa fare attraverso la pratica buddista. Ora Franco sta meglio ed è piacevole vedere con quale armonia si incontra la nostra famiglia allargata!
Desidero continuare la mia rivoluzione umana per incoraggiare sempre più persone a credere nella possibilità di trasformare ogni difficoltà in un grande valore.
«La famiglia è il fondamento di comunità e società prospere. La crescita di ogni suo membro attraverso il sostegno e l’incoraggiamento reciproco, e la creazione di un ambiente armonioso e collaborativo in una casa, la più piccola unità sociale, sono il punto di partenza per la pace»
(Le cinque guide eterne, Esperia, pag. 4)
