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Come acqua di ruscello - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 15:17

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Come acqua di ruscello

Laura Lorenza Sciolla, Torino

Mi sentii avvolta dal calore del sangha, e pensai che i miei compagni di fede e io eravamo viandanti alla ricerca della felicità, che era già dentro di noi, come la gemma nascosta nelle vesti del viandante, ma non lo sapevamo ancora

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Mi sentii avvolta dal calore del sangha, e pensai che i miei compagni di fede e io eravamo viandanti alla ricerca della felicità, che era già dentro di noi, come la gemma nascosta nelle vesti del viandante, ma non lo sapevamo ancora

Conobbi il Buddismo dodici anni fa, attraverso un’amica, alla quale sarò grata per sempre.
Da tempo Teresina mi invitava a frequentare le riunioni di gruppo, ma io ero scettica e diffidente. Cambiai idea dopo aver letto La vita, mistero prezioso di Daisaku Ikeda, che lei mi aveva regalato. Quella lettura mi aprì un mondo. Essendo via per le vacanze di Natale, cominciai a ripetermi da sola Nam-myoho-renge-kyo, senza sapere neppure come si pronunciava, confidando nelle parole di Nichiren Daishonin: «Quando con la bocca recitiamo la mistica Legge, la nostra natura di Budda viene richiamata e immancabilmente emergerà» (Come coloro che inizialmente aspirano alla via, RSND, 1, 789), anche dicendolo una sola volta.
Era un periodo difficile della mia vita. Stavo crescendo una figlia di cinque anni praticamente da sola, perché mio marito, fiammingo, lavorava presso un’università belga ed era solo saltuariamente in Italia, ma anche quando era con noi si occupava molto poco di nostra figlia e questo rendeva la mia vita particolarmente difficile. Anziché alleggerirmi l’esistenza, la sua presenza la rendeva ancora più gravosa.
Non consideravo l’idea di separarmi, perché non volevo fare del male a mia figlia, che aveva già tanto sofferto alla nascita avendo trascorso i primi mesi di vita all’ospedale e subìto due operazioni, e non volevo condannarla a un’esistenza da pendolare fra Italia e Belgio. Mio marito insisteva perché mi trasferissi in Belgio con la bambina, ma io non me la sentivo di abbandonare il lavoro, diventando economicamente dipendente da lui, né avevo voglia di cercarmi un lavoro in Belgio. In realtà, mentivo a me stessa: il motivo vero per cui non volevo trasferirmi, era che non amavo abbastanza mio marito. Fingevo con lui e con me stessa, facendo del male a entrambi e dando a mia figlia un esempio di vita non autentica, dominata dalla finzione.
Un altro nodo riguardava la mia grande passione: la scrittura. Fin da piccola, ho sempre desiderato essere una scrittrice, e alla scrittura ho spesso dato il tempo libero dal lavoro e dagli altri impegni. Contemporaneamente, però, non “credevo” abbastanza in me, e anziché dedicarmi alla scrittura con tutta me stessa, cercavo continue conferme, e mi chiedevo se ciò che stavo facendo non fosse solo una perdita di tempo.
Ricordo ancora la sera della mia prima riunione di discussione. Per parteciparvi, avevo dovuto chiamare una baby-sitter, ma una volta tanto non mi sentivo colpevole verso mia figlia: ciò che stavo facendo avrebbe cambiato in meglio anche la sua vita. Già dalle scale mi colpì il suono del Daimoku: pura armonia, acqua di un ruscello che ti lava dentro. Una donna narrò come la pratica le avesse permesso di migliorare il rapporto con il marito, deponendo l’ostilità che lo aveva sino allora avvelenato. Si parlò dei desideri, e io mi ripromisi di praticare per la realizzazione del mio grande desiderio di scrivere. Mi sentii avvolta dal calore del sangha, e pensai che i miei compagni di fede e io eravamo viandanti alla ricerca della felicità. Che era già dentro di noi, come la gemma nascosta nelle vesti del viandante, in una famosa parabola buddista: ma non lo sapevamo ancora.
Il percorso è stato lungo, e di fatto non finirà mai: la Buddità non è un traguardo da raggiungere, ma una potenzialità da risvegliare e mantenere attiva attraverso la fede, la pratica e lo studio. Quando penso al viaggio che ho compiuto con i miei compagni – per molti anni, sono stata responsabile di un gruppo che si riuniva a casa mia, in incontri che mi spronavano a proseguire con sempre rinnovato entusiasmo -, mi viene in mente una favola nella quale si racconta di una donna che partì alla ricerca del pelo di luna, dotato del potere di frenare la collera del marito. Dopo innumerevoli peripezie lo trovò, ma quasi subito dopo perse il prezioso pelo. Al ritorno, però, si accorse che le difficoltà superate l’avevano cambiata e messa in grado di fronteggiare la collera del marito, trasformandola in energia positiva.
Anch’io, come lei, mi posi alla ricerca del pelo di luna, senza capire che il mio fine non era il raggiungimento di un oggetto esterno, ma il risveglio della parte più vera e profonda del mio essere. I miei peli di luna erano la pace con mio marito e la pubblicazione di un libro: ogni volta che stavo per ottenerli, mi sfuggivano. Non mi accorgevo che avevo elevato questi obiettivi a oggetti di culto, trascurando il vero oggetto di culto, il Gohonzon, la rappresentazione della nostra più profonda essenza.
Molte sono state le avventure, i benefici, le traversie che mi hanno portato a capire che la chiave dei miei problemi era la mancanza di amore. Verso me stessa innanzitutto, in quanto non mi consideravo degna di vivere come desideravo, ma anche verso i miei obiettivi: per essere una scrittrice dovevo scrivere per amore della scrittura, e non per essere pubblicata, e per avere un matrimonio felice dovevo amare mio marito.
Proprio quando mi diedi alla scrittura per il puro piacere di farlo, mi ritrovai a vincere un concorso di una grande casa editrice (sono stata prima fra millecinquecento partecipanti!): ciò ha portato alla pubblicazione del mio primo romanzo che narra un percorso di libertà e scoperta di sé e che, spero, infonderà speranza ed entusiasmo a tanti lettori. È mio desiderio, inoltre, contribuire in modo più significativo all’offerta per ripagare l’enorme debito di gratitudine che ho nei confronti dell’Istituto Buddista.
Quando ho avuto finalmente il coraggio di dirmi che non amavo più mio marito, ho capito che avrei fatto meglio a lasciarlo, invece di tenere in piedi una situazione fasulla. Pur con dolore, ho chiesto e ottenuto la separazione, che ha dato a me la pace e la libertà che avevo sempre cercato, a mio marito una nuova compagna che, diversamente da me, gli sta vicino, e a mia figlia un’atmosfera di vita serena, senza le tensioni che l’avevano spesso minata.
Non so dove mi porterà la strada che ho intrapreso. Di certo, so che a guidarla sarà il suono più dolce e potente, acqua sui ciottoli dei fiumi, armonia degli abissi della Buddità: Nam-myoho-renge-kyo.

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