Paura che frena, che rimpicciolisce gli scopi, che restringe la nostra vita, che pone un limite, spesso fittizio e illusorio, alle nostre potenzialità. Una nube che offusca la gioia di vivere, da trasformare in amica e alleata
Quante volte guardandoci indietro si è costretti ad ammettere: «Ho perso in quella situazione perché, mentre decidevo, sono stato ottenebrato dalla mia paura». Anche nelle situazioni presenti, talvolta, se ci riscuotiamo dal vortice delle cose da fare, potremmo renderci conto che in cuor nostro risuonano queste “determinazioni devianti”: «Scelgo di fare così, perché temo che succeda…». Oppure: «Non faccio questo perché ho paura di non farcela o che… tutto vada storto!». In questo modo si sta decidendo di “volare basso”, nella convinzione di potersi mettere al riparo dal dolore e dalla sconfitta. Come se si potesse diventare più felici, mettendo i desideri veri, quelli che fanno battere il cuore, in freezer, per lasciar posto alla convenienza e alla sicurezza. Niente di più illusorio.
Tenere al guinzaglio i propri sogni, essere sotto tono rispetto ai propri desideri, è già una sconfitta. Quando si prendono decisioni sulla base della paura, quasi mai si ottengono dei risultati eccelsi. Perché? Perché quando ci troviamo a dover prendere una decisione è fondamentale avere quella lucidità, serenità e libertà mentale che permettono di lasciare aperte tutte le possibilità e la paura, al contrario, ci chiude la vita. Il Buddismo sostiene che è basilare scegliere sulla base della vasta condizione vitale della Buddità e non consigliati dal nostro “piccolo io” che purtroppo è di solito un conservatore dalla visione molto ristretta, odia i cambiamenti, talvolta manca di ottimismo e ci spinge a “ridimensionare” i nostri desideri.
La carenza di autostima e i sentimenti di sfiducia verso il futuro che derivano da un atteggiamento pavido ci impediscono di scegliere con coerenza e costituiscono un baluardo tra noi e la piena realizzazione dei nostri desideri. Nel Gosho Felicità in questo mondo si legge: «Non c’è vera felicità per gli esseri umani al di fuori del recitare Nam-myoho-renge-kyo. Il sutra afferma: “[…] e là gli esseri viventi sono felici e a proprio agio”. Potrebbe forse indicare qualcosa di diverso dalla gioia senza limiti della Legge? Tu sei ovviamente incluso fra gli “esseri viventi” e “là” indica Jambudvipa, in cui è compreso il Giappone. “Felici e a proprio agio” non vuole forse dire che i nostri corpi e le nostre menti, le nostre vite e i nostri ambienti, sono entità dei tremila regni in un singolo istante di vita e il Budda di assoluta libertà?». E più avanti, nello stesso Gosho è citata la frase: «Considera allo stesso modo sofferenza e gioia, e continua a recitare Nam-myoho-renge-kyo» (nuova traduzione, vedi anche SND, 4, 157).
Ecco quale dovrebbe essere la melodia di base delle nostre vite: “Budda di assoluta libertà”, “la gioia senza limiti della Legge”. Quando si mira all’obiettivo di sentirci “Budda di assoluta libertà” (vedi riquadro in alto) e quando si pratica con il profondo desiderio di sperimentare la “gioia senza limiti della Legge”, qualcosa cambia nel nostro modo di percepire i problemi, la sofferenza e la gioia vengono poste nell’ottica giusta e finalmente, dopo tanto arrancare, attribuiamo loro il giusto valore.
Le scelte importanti dovrebbero essere conseguenza del coraggio e della saggezza, propri della condizione vitale di Buddità. Un Budda è colmo di rispetto per s stesso e per tutti gli altri esseri viventi, manifesta in modo permanente la gioia senza limiti della Legge. E non dimentichiamo che la gioia è un sentimento antitetico alla paura. Quando proviamo gioia siamo portati ad aprirci verso gli altri, a sentire simpatia, benevolenza, partecipazione delle loro sofferenze. E dalla gioia nasce la vittoria, perché la gioia porta con sé un atteggiamento aperto, combattivo e ottimista. E quando la vita si apre, i benefici tanto agognati possono entrarvi naturalmente.
E quando tutto sembra immobile, statico, senza via d’uscita e temiamo che la nostra situazione non cambierà mai?
La risposta viene sempre dalle parole che il Daishonin scrive a Ikegami Munenaka, un suo discepolo che si trovava di fronte alla davvero paurosa prospettiva di perdere tutto ciò che aveva se non avesse rinunciato alla sua fede: «Non sentire la minima paura nel cuore. Sebbene una persona possa aver professato la fede nel Sutra del Loto molte volte sin dall’infinito passato, è la mancanza di coraggio che gli impedisce di raggiungere la Buddità» (SND, 4, 128).
Di certo “non sentire la minima paura nel cuore” è un’immensa gioia, una condizione di grande libertà. Lo scrittore di fantascienza Frank Herbert, nella sua famosa saga Dune, (Sperling e Kupfer, Milano 1965, pag. 216) dà una definizione calzante di cosa sia la paura e dei suoi effetti deleteri: «Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l’annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Permetterò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Soltanto io ci sarò».
Ma come fare per non sentire la minima paura nel cuore?
Nella prefazione alle lezioni su uno dei più importanti trattati di Nichiren Daishonin L’apertura degli occhi il presidente Ikeda ci dà un’indicazione fondamentale per risvegliare un sentimento di coraggio nel proprio cuore: «I membri di tutto il mondo hanno approfondito la loro comprensione della fede, della pratica e dello studio, hanno rinvigorito il proprio coraggio e hanno vinto le loro battaglie per kosen-rufu aprendo le pagine del Gosho – cioè degli scritti di Nichiren Daishonin – con lo spirito di ricevere consigli e istruzioni dallo stesso Nichiren. Se avanziamo con il Gosho come nostro fondamento non ci troveremo mai a un punto morto» (BS, 106, 38).
Quando ci sentiamo confusi e il “coraggio” ci viene meno, è ottima cosa trovare uno scritto del Daishonin che sia calzante alla nostra situazione per quanto possibile, cercare di approfondirlo, leggendone spesso, tutti i giorni e magari anche più volte al giorno, dei passi, da soli o insieme agli altri, tentando di metterli in pratica nella nostra quotidianità. In questo modo, l’incoraggiamento di Nichiren arriva, con la sua intatta potenza sino a noi e, come un balsamo, cura le nostre sofferenze e corregge le distorsioni che ci impediscono di interpretare correttamente la realtà.
Inoltre è fondamentale la decisione, rinnovata quotidianamente, di non lesinare la vita per il Sutra del Loto perché è proprio grazie a questa sincera determinazione che si può praticare correttamente.
In Lettera a Gijo-bo il Daishonin scrive: «La parte in versi del capitolo [Durata della vita] dice: “Con un’unica mente desiderano vedere il Budda e non risparmiano la propria vita”. Grazie a questa frase io, Nichiren, ho rivelato la Buddità nella mia vita» (nuova traduzione, vedi anche SND, 5, 3-4). Il Daishonin afferma che quello che gli ha dato modo di manifestare concretamente lo stato vitale di Buddità è stata la sua decisione di far conoscere a tutte le persone l’insegnamento che permette a ognuno di rivelare la propria Buddità e diventare felice, anche se ciò poteva significare essere perseguitato e forse perdere anche la vita, e in un altro Gosho, Sull’istituzione dei quattro bodhisattva come oggetto di culto, spiega chiaramente ai suoi discepoli che se si ricerca sinceramente l’Illuminazione questo è l’unico modo di praticare: «Coloro che si definiscono miei discepoli e praticano il Sutra del Loto devono tutti praticare come me. Se lo faranno, Shakyamuni, Molti Tesori e tutte le emanazioni di Shakyamuni nelle dieci direzioni, come pure le dieci fanciulle demoni, li proteggeranno» (nuova traduzione, vedi anche SND, 5, 62).
L’atteggiamento di dedicarsi a kosen-rufu senza “risparmiare la propria vita” fa emergere forza vitale e saggezza e quindi ci permette di fare scelte libere e coraggiose. Una persona che sinceramente ha chiarito il suo intento e recita costantemente Nam-myo-ho-renge-kyo, non viene sopraffatta dall’azione paralizzante della paura e, quando la prova, riesce a liberarsi velocemente dalla passività che questa induce, riesce a “usarla bene” trasformandola in un ulteriore strumento per realizzare se stessi e contribuire alla felicità degli altri, in un’ulteriore occasione di oltrepassare, ancora una volta, i propri limiti.
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La Testimonianza
Ogni volta un po’ più coraggiosa
di Sonia Carradori
Non sempre il sentimento di paura è immediatamente riconoscibile. Spesso cerca di nascondersi dietro altri “ragionamenti”: scelte dettate dal buonsenso, tenere i piedi per terra, non creare difficoltà ad altri ecc.
Quando mi sembra di essere bloccata di fronte alle situazioni, succede che mi sento confusa e impaurita, timorosa di ciò che può accadere ma anche di ciò che può non accadere. Diventa allora prioritario riconoscere che ciò che mi impedisce di prendere una direzione è in realtà questo sentimento viscerale, a volte tanto irrazionale quanto fisico, che ti prende alla bocca dello stomaco o che ti accelera i battiti del cuore e affatica il respiro.
Poi devo accettarla. Inutile dirmi che sono una vigliacca, che non valgo abbastanza o che devo essere coraggiosa. È molto più produttivo accettarla e accettarmi. «Sono così, la verità è che sono terrorizzata, ho paura di sbagliare, di non farcela e così via. Ma mi voglio bene lo stesso. Questa è la mia vera condizione e da qui riparto!». A quel punto, quando sinceramente l’ho lasciata emergere in superficie, quando capisco chi sono e come sono e quanto questo sentimento limiti la mia vita, posso con forza pregare per trasformare la paura in coraggio. È riconoscendola ogni volta che ottengo una vittoria sui miei limiti e divento un po’ più coraggiosa.
A volte sento che dietro ogni paura fa capolino la paura più profonda, la paura della morte, dell’abbandonare. In effetti, ogni volta che dobbiamo scegliere, esiste sempre una perdita: prendo una cosa e ne lascio un’altra. Così a volte diventa la paura di perdere ciò che già conosciamo, che ci è familiare, anche se ci crea sofferenza o ci impedisce di realizzarci completamente. Per vincere è necessario andare oltre, “fidarsi”. Fidarsi della propria potenzialità, del nostro diritto a essere felici, della nostra natura di Budda, della Legge mistica che costantemente fluisce in noi e nell’ambiente. È come chiudere gli occhi e spiccare un salto nell’abisso, credendo fermamente che se ci lasciamo andare, saremo in grado di volare sulle ali di Nam-myoho-renge-kyo e godere di una illimitata libertà.
Parlando della natura del male il presidente Ikeda cita un brano del Gosho Lettera a Ben-dono Ama che afferma: «Il Demone del sesto cielo, attaccando con i suoi dieci eserciti, combatte nel mare della sofferenza contro il devoto del Sutra del Loto per il dominio del mondo» (NR, 168, 23) e spiega che la paura è uno dei dieci eserciti. Essa non è dunque altro che una delle armi che il Demone del sesto cielo utilizza per cercare di fermarci nel nostro cammino verso la felicità e l’Illuminazione. Allora, “chi ha paura della paura?”.
Possiamo riconoscerla come una manifestazione della natura oscurata presente nella nostra vita e come una funzione negativa che ostacola il nostro progresso. Possiamo poi illuminarla e trasformarla con la recitazione del Daimoku fino a sentirla svanire ed essere finalmente liberi di agire per creare nuovo valore nella nostra vita e aiutare altri a fare lo stesso.
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Il Budda di assoluta libertà
Quello che nella versione italiana del Gosho Felicità in questo mondo viene chiamato il “Budda di assoluta libertà” corrisponde al termine giapponese jijuyushin (ji = proprio, se stesso; ju = ricevere; yu = utilizzare; shin = corpo) che viene tradotto con Budda di gioia illimitata o più precisamente con Budda di gioia personale. Indica uno dei tre corpi del Budda.
Nel Dizionario di Buddismo della Soka Gakkai, la cui edizione italiana è appena uscita per i tipi della casa editrice Esperia, leggiamo: «Budda di gioia personale (giapp.: jijuyushin): uno dei quattro corpi di un Budda. Questi quattro corpi corrispondono ai tre corpi. Essi sono (1) il corpo di natura propria, che corrisponde al corpo del Dharma; (2) il corpo di assoluta libertà, che corrisponde al corpo di retribuzione; (3) il corpo di benevolenza, anch’esso corrispondente al corpo di retribuzione; (4) il corpo di trasformazione, simile al corpo di manifestazione». Sostanzialmente dunque indica il corpo, ricevuto dal Budda in virtù delle pratiche precedenti, in grado di godere pienamente della vita senza alcuna limitazione. È un aspetto del corpo di retribuzione, detto in parole povere di “come” diventa la nostra esistenza concreta nel momento in cui decidiamo di dedicarla a praticare la Legge mistica e a farla conoscere agli altri “senza risparmiarci”. Il corpo di retribuzione che otteniamo di conseguenza, come spiega la definizione del dizionario ha due aspetti.
Da una parte c’è il corpo di assoluta libertà o di gioia personale, caratterizzato da una sensazione di assenza di paura e di assoluta libertà che deriva dalla consapevolezza della propria natura di Budda e dell’immenso potere della Legge mistica (la gioia senza limiti della Legge) che ci permette di apprezzare e valorizzare qualsiasi aspetto, anche il più apparentemente doloroso, della nostra esistenza. Dall’altra, c’è il corpo di benevolenza o di gioia per gli altri, la capacità di percepire le sofferenze degli altri di comprenderne i desideri e di predicare l’insegnamento adatto a loro; in parole povere di provare un caldo interesse per le persone che ci circondano e una spontanea capacità di incoraggiarle nella maniera migliore a rivelare insieme a noi il potenziale illimitato contenuto nella loro vita.