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Chi ha deciso di realizzare kosen-rufu? - DEV - Il Nuovo Rinascimento
Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai

Buddismo per la pace, la cultura e l’educazione

6 dicembre 2025 Ore 14:53

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Chi ha deciso di realizzare kosen-rufu?

In occasione di un incontro ad Aurisina, il 27 settembre, con i membri del Friuli Venezia Giulia, il direttore generale Tamotsu Nakajima tocca vari punti salienti della pratica: uguaglianza fra i discepoli, superamento dei conflitti interpersonali, funzione dell’organizzazione. Il cuore di questi aspetti sta nella decisione personale rispetto al volere del Budda, cioè la diffusione di kosen-rufu

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In occasione di un incontro ad Aurisina, il 27 settembre, con i membri del Friuli Venezia Giulia, il direttore generale Tamotsu Nakajima tocca vari punti salienti della pratica: uguaglianza fra i discepoli, superamento dei conflitti interpersonali, funzione dell’organizzazione. Il cuore di questi aspetti sta nella decisione personale rispetto al volere del Budda, cioè la diffusione di kosen-rufu

Tutte le persone che si stanno impegnando nella pratica buddista sono uguali; non c’è alcuna differenza fra responsabili e non responsabili.
Di fronte al maestro, siamo tutti uguali. Noi abbiamo tre maestri: Makiguchi, Toda e Ikeda. Prima di loro c’è stato Nichiren Daishonin, che è vissuto per realizzare la missione di iscrivere il Dai-Gohonzon. Nei successivi settecento anni, è andata perduta la pratica corretta dell’insegnamento di Nichiren finché, nel Giappone degli anni Venti, Tsunesaburo Makiguchi ha sperimentato, con la sua stessa vita, la pratica del Buddismo di Nichiren. Makiguchi è stato poi incarcerato per la sua opposizione al governo militarista; insieme a lui è stato in carcere anche Toda, che una volta uscito, si è impegnato a propagare il Buddismo in Giappone. Non si trattava di un compito facile, dato che le religioni in Giappone erano completamente asservite al governo. A Toda è succeduto infine Ikeda, che ha portato il Buddismo di Nichiren al di fuori del Giappone; attualmente il Buddismo di Nichiren è diffuso in centonovantadue paesi del mondo, ognuno dei quali segue il ritmo impresso da Ikeda al movimento di kosen-rufu. Da questo punto di vista non ci sono differenze fra i discepoli. Il problema non è quale posizione si ricopre o in quale paese si sta praticando il Buddismo, ma che cosa si decide e come si agisce attimo per attimo. In questo preciso momento, abbiamo davvero deciso in cuor nostro di realizzare kosen-rufu?
Premessa l’uguaglianza di tutti i discepoli rispetto al maestro, il Buddismo ritiene che le differenze vadano apprezzate e lodate; invece, di solito, le differenze vengono disprezzate perché disprezzare gli altri ci fa sentire migliori. Piuttosto che correggere gli altri dovremmo dedicarci al miglioramento di noi stessi. Nel rapporto con gli altri occorre prima recitare Daimoku, poi discutere senza arrabbiarsi, perché arrabbiarsi non serve a niente. In mappo, l’Ultimo giorno della Legge, la tendenza dominante è il conflitto, ed è una tendenza che va sconfitta. Nel Gosho Le quattordici offese sono descritte le offese che noi commettiamo ogni giorno: occorre prestare attenzione a non commetterle, altrimenti siamo come Penelope, che di notte disfaceva la tela che aveva tessuto durante il giorno. Chiunque stia praticando in questa epoca è un Bodhisattva della Terra e merita tutto il nostro rispetto. Dobbiamo diventare capaci di valorizzare la differenza, chi non fa questo sforzo non è un vero praticante.
D’altra parte da soli non si può praticare bene. Chi fa solo quello che gli va, si limita a seguire la sua tendenza. Per modificare e migliorare le proprie tendenze occorre avere uno scambio con gli altri. L’organizzazione serve a questo, a scambiare opinioni e a migliorare se stessi, riflettendo sulle opinioni altrui e utilizzandole. Scambiando le opinioni si possono apprezzare le differenze. I problemi di relazione ci saranno sempre, ma la cosa fondamentale è riflettere su se stessi e impegnarsi ad agire rispettando gli altri in ogni momento.

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La pratica del Buddismo di Nichiren Daishonin consiste nella recitazione di Gongyo e Daimoku, nello studio e nel fare shakubuku. La riunione di discussione serve ad accogliere i nuovi invitati. Dopo la riunione, il responsabile dovrebbe riflettere su come organizzare le visite ai partecipanti nei quattordici giorni successivi per incoraggiare ogni persona. Il compito di un responsabile di gruppo non è semplicemente quello di preparare l’argomento della riunione e comunicarlo. Se, per esempio, l’argomento scelto è l’unità, occorre impegnarsi a mettere in pratica questo principio nelle due settimane che precedono la riunione insieme agli altri praticanti che frequentano il gruppo.
Il compito di noi responsabili è quello di aiutare e sostenere i membri. Non possiamo imporci alle persone o considerare i membri come una nostra proprietà. Chi fa shakubuku merita il massimo rispetto, perché mette in pratica la volontà del Budda. Ci sono persone che dicono: per me è difficile parlare del Buddismo, io sono bravo a curare gli altri. In realtà l’affermazione “non riesco a fare shakubuku“, riflette una decisione. Recitando Daimoku con il desiderio di riuscire a farlo, questa azione diventa possibile. Lo shakubuku non è uno strumento per aumentare il numero delle presenze; è il mezzo più efficace per trasformare il proprio karma e permettere alle persone di diventare felici praticando questo Buddismo.
Spesso, parlando con le persone, chiedo se fanno shakubuku e la risposta è: «No, perché non frequento persone al di fuori dell’organizzazione». Noi trascorriamo gran parte del nostro tempo a fare riunioni, a volte facciamo la preparazione della preparazione della riunione. Le riunioni dovrebbero avere lo scopo di migliorare la pratica per sé e per gli altri, invece tutte queste riunioni richiedono un grande sforzo e danno un piccolo risultato. Occorre cambiare questo modo di procedere.
In conclusione, l’asse portante della nostra fede è la relazione individuale con il Gohonzon e con il maestro. Ogni persona ha assunto il compito di realizzare la propria felicità. Ci sono e ci saranno sempre tanti problemi. Per migliorare dobbiamo andare sempre avanti, seguendo il nostro maestro. Ikeda ci ha indicato quattro punti essenziali nella fede: la preghiera, l’azione, l’unità e la non dualità di maestro e discepolo (vedi NR, 402, 5). L’ultimo di questi punti, la non dualità di maestro e discepolo, è il requisito essenziale per rendere efficaci i primi tre.

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I nostri desideri sono legati alla situazione contingente: ad esempio, se una persona ha il karma di essere povero, dovrebbe preoccuparsi di trasformarlo utilizzando la forza del Gohonzon. In relazione ai desideri terreni, è necessario uscire dal proprio punto di vista e adottare quello offerto dal Buddismo. Abitualmente si ragiona in modo contrario e se da qualche tempo si soffre per un problema che non si sa risolvere, si è soliti ritenere che si stia praticando male oppure che la pratica non funzioni. Forse questo equivoco nasce dal fatto che all’inizio ci hanno spronato a fissare un obiettivo e a recitare Daimoku per realizzarlo. Questo è molto importante per cominciare a costruire la fede, ma andando avanti bisogna capire che il Buddismo serve per ottenere l’Illuminazione e ha due aspetti che non possono essere separati, devono sempre procedere insieme, come le ruote di un carro: la pratica per sé e la pratica per gli altri. Senza la pratica per gli altri, non si può realizzare niente di notevole.

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