Dagli amici e compagni di Carlo Pellecchia, scomparso a Torino il 3 luglio scorso, riceviamo e pubblichiamo questi affettuosi ricordi
Carlo ha iniziato a praticare nel 1966 a Parigi, dove si trovava per lavoro. Nel 1971 si trasferisce a Torino dove inizia a lavorare in FIAT. Nel 1973 incontra Lucia e da lì a poco si sposano. All’apertura dello Sho-hondo (1972) lui e Dadina sono gli unici italiani a parteciparvi. Io e mia moglie Momi arrivammo a Torino nel 1976. C’erano insieme a Carlo e Lucia una giapponese (Hatsue Nicolosi) e un’americana (Viviam Houston) che da lì a poco avrebbero lasciato l’Italia. Per motivi di lavoro mia moglie e io ci spostavamo in continuazione. Bisogna aspettare fino alla fine del 1979 prima di costituire il primo gruppo stabile di praticanti. Cosa dire di Carlo? Un uomo semplice, sincero, allegro e soprattutto con una grande stabilità di fede. Per dieci anni ha praticato da solo, Carlo costituisce le radici di kosen-rufu non solo del Piemonte ma di tutta l’Italia.Il suo Daimoku forte ha chiamato uno ad uno i Bodhisattva della terra. Sappiamo quanto è difficile praticare da soli. Un’altra caratteristica di Carlo è la forte relazione con il presidente Ikeda, parlava sempre del maestro, che ha avuto la fortuna di incontrare personalmente diverse volte. Sono in molti ad avere dei preziosi ricordi di lui, era generoso e disponibile nel recitare assieme alle persone per risolvere i loro problemi. Personalmente ne ho tanti indimenticabili. Negli ultimi anni la grande lotta contro il demone della malattia, Lucia e Giancarlo hanno dimostrato una grande fede standogli fino all’ultimo vicino, ma, soprattutto l’atteggiamento di Carlo è la cosa che più mi ha colpito, nonostante il suo corpo ormai fosse malato, il suo spirito no. Ha dimostrato una fede pura, non si è mai lamentato, non ha mai dubitato del Gohonzon, ha continuato ad incoraggiarci, quando gli si parlava del maestro i suoi occhi brillavano ed emanavano una grande luce. Ha lottato contro la malattia con la forza di un leone, ha vinto perché la sua fede non è stata minimamente intaccata dal dubbio. Abbiamo tutti un grande debito di gratitudine verso di lui, ripaghiamolo costruendo un’organizzazione veramente meravigliosa e gioiosa. Grazie Carlo per tutto il Daimoku che hai recitato per noi. Con affetto, rispetto e profonda gratitudine.
Nino La Piana
• • •
Ho conosciuto Carlo circa sei anni fa, quando la malattia l’aveva già colpito. L’ho seguito nei suoi spostamenti di ospedale, quando il decorso della malattia peggiorava ed esprimersi verbalmente per lui era diventato difficoltoso. Non lasciava travisare la sua sofferenza fisica, causata da un susseguirsi di complicazioni. Non criticava, non serbava rancore per nessuno, nonostante le visite dei compagni di fede fossero molto, troppo sporadiche. Quando mi vedeva, sorrideva con serenità, ammiccava col suo sguardo dolcissimo ascoltando i miei scoramenti (ad esempio nel raggiungere un obiettivo che “tardava” a realizzarsi) e mi sussurrava: «Continua, va’ avanti, vedrai». Era lui ad incoraggiare me, quando, pensavo, avrebbe dovuto essere il contrario. Il suo stato vitale alto, sempre combattivo e allo stesso tempo immensamente sereno lo trasmetteva a chiunque gli si avvicinasse, personale infermieristico compreso. Carlo è morto, è morto fisicamente, ma è dentro di me, nel mio cuore, non mi lascia mai; continua a sorreggermi. È una commovente sensazione.
Valeria Gilli
• • •
Estate 1988, pratico da un anno, sono naitoku; so che splendida occasione questa condizione significhi per la mia vita da anni profondamente sofferente, ma so anche che mi sto avvicinando a una organizzazione fortemente strutturata e ne sono preoccupata; stiamo partendo dallo storico piazzale dell’ex zoo per il corso estivo a La Thuile; tra di noi c’è un signore con un sorriso smagliante che ci ringrazia e incoraggia con profondo rispetto, come tanti suoi figli e figlie, come fratelli e sorelle dall’infinito passato; per ognuno e ognuna ha un gesto, una parola, un sorriso speciale, come ci conoscesse uno/a per uno/a (e, in realtà, scoprirò negli anni che effettivamente ci conosceva uno/a per uno/a anche se eravamo alcune centinaia). «È Carlo», dice una persona che pratica da qualche anno. Non dice, come si faceva sempre allora per i responsabili “alti”, il ruolo o l’anzianità di pratica. Dice “Carlo” e “Carlo” e basta sarà sempre nel mio cuore.
Elsa Boni
• • •
Il ricordo di Carlo a me più caro risale agli ultimi anni. In quel periodo Carlo era malato, con poca mobilità nelle gambe e qualche difficoltà di parola. La sua malattia è stata lunga, divenne così una consuetudine per alcuni compagni di fede andare a casa sua il mercoledì sera per recitare Daimoku e Gongyo con lui. Quando entravo in casa loro, era palpabile la serenità, la tranquillità e la semplicità, respiravo un’atmosfera che mi faceva stare bene. Carlo ci accoglieva davanti al Gohonzon con un sorriso, felice di vederci. Era lui che decideva chi doveva (se voleva) guidare la recitazione, e chi doveva leggere gli articoli del presidente Ikeda sul Nuovo Rinascimento oppure un Gosho. Finita la lettura in un’atmosfera gioiosa, noi facevamo domande e lui (come poteva), con gli occhi,con le mani, articolando qualche parola spiegava. Tantissime volte ci rivolgevamo a sua moglie Lucia perché ci chiarisse quello che lui voleva dire. E Carlo voleva dire: «Pratica, studia e rafforza la fede per la tua felicità e per kosen-rufu».
Leonilde Torredimare