Ci si affaccia al Buddismo spesso grazie a un incontro di gruppo che diventa l’occasione per porre le proprie domande. Prepararsi a rispondere è un’occasione di crescita anche per chi tiene la riunione. Questi sono alcuni spunti
Qual è l’origine di Nam-myoho-renge-kyo?
Nichiren Daishonin, un figlio di pescatori vissuto nel tredicesimo secolo, fin da ragazzo cominciò a studiare i sutra buddisti con l’intento di diventare “la persona più saggia del Giappone”. Il senso di precarietà della vita e la confusione che regnava nella società del suo tempo sia da un punto di vista politico che religioso, unito al suo animo di giovane sensibile, lo spinsero a intraprendere una seria ricerca spirituale. In un clima tumultuoso caratterizzato da lotte politiche per il potere tra i vari clan feudali e dalla minaccia di invasione da parte dei mongoli, confusione in ambito religioso e instabilità sociale dovuta a frequenti carestie, epidemie e terremoti, la fragilità e la vulnerabilità della condizione umana dovevano apparire in tutta la loro evidenza. Per trovare una risposta alle sue tante domande, Nichiren si dedicò con passione allo studio e alla comparazione dei vari testi buddisti, finché finalmente il 28 aprile 1253 annunciò la sintesi della sua ricerca: l’insegnamento principe del Buddismo era il Sutra del Loto e il suo titolo, Myoho-renge-kyo, ne rappresentava l’essenza. Utilizzò la traduzione in cinese del monaco Kumarajiva (344-413 d.C. circa) nella lettura giapponese dei caratteri e premise la parola nam, che significa «devozione», condensando in Nam-myoho-renge-kyo la Legge a cui questo scritto faceva riferimento.
In Conversazione fra un santo e un uomo non illuminato, Nichiren chiarisce che «nei due caratteri del nome “Giappone”, sono incluse più di sessanta province e le due isole. C’e qualche distretto, o qualche provincia, che non sia compreso in questo nome? Se si pronuncia la parola “uccelli”, la gente sa che si parla delle creature che volano nel cielo; se si dice “bestie”, la gente capisce che ci si riferisce agli animali che camminano sulla terra. Inoltre, i nomi hanno la virtù di richiamare le cose a cui si riferiscono e, a loro volta, le cose hanno funzioni che si accordano al loro nome. Così anche il nome o Daimoku del Sutra del Loto ha il potere [di richiamare la natura di Budda a cui si riferisce]» (RSND, 1, 118).
Nichiren restituisce il Buddismo alla gente, lo fa diventare una religione per tutti, lo fa uscire dai monasteri togliendo ai monaci del suo tempo l’aura di sacralità e rispettabilità della quale si circondavano per ingraziarsi il favore dei potenti e assicurarsi la devozione dei fedeli. Le persone comuni tornano a essere protagoniste della propria storia; a esse viene ridato il potere di attingere alla propria saggezza innata attraverso una pratica semplice e accessibile a tutti, perfettamente integrabile nella propria vita quotidiana.
Perché ripetere questa frase di cui non si capisce il significato?
Le parole hanno un potere. Le parole che usiamo di più parlano di noi: non è possibile slegare quello che siamo da quello che facciamo o diciamo, poiché esiste una coerenza “dall’inizio alla fine”, come ci spiega il principio buddista dei dieci fattori.
Noi dedichiamo una parte della nostra giornata a “ripetere” parole di ineguagliabile valore (Nam-myoho-renge-kyo), che hanno il potere di risvegliare la Buddità in noi e, di conseguenza, in tutto ciò che ci circonda.
La domanda che sorge spontanea è: come può una frase di cui non si capisce il significato avere un qualche effetto sulla nostra vita? Difficile da spiegare, eppure accade. Ci sono princìpi scientifici e matematici che rendono possibile, ad esempio, il funzionamento di un computer, di una televisione, di un forno a microonde, di un cellulare. Se ne studio i meccanismi riuscirò ad attivare più funzioni, ma anche senza capire niente del come e del perché, posso vedere un film, chiamare un amico, navigare in internet o scaldare il cibo.
L’interruttore che accende la Buddità non è la conoscenza teorica, è la fede. E la fede altro non è che la curiosità, la voglia di verificare se c’è una rispondenza tra teoria e realtà, è l’atteggiamento di chi si riserva il beneficio del dubbio e si concede di sperimentare qualcosa prima di decidere se valga o meno la pena di accantonarlo.
Recitare Daimoku significa rivelare la nostra condizione vitale più alta, fare appello al coraggio e alla saggezza che già esistono dentro di noi per far fronte a qualsiasi difficoltà o sofferenza e trasformarla in un trampolino di crescita, manifestare la Legge nella nostra vita e armonizzarla con la Legge universale. Il termine “legge” viene qui impiegato nella sua accezione scientifica piuttosto che giuridica: se agiamo in contrasto con la legge di gravità, ad esempio lasciandoci cadere da un tetto mentre tentiamo di camminare nel vuoto, subiremo danni gravissimi. Allo stesso modo, agendo contro la Legge della vita, per esempio negando il principio di causa ed effetto, prima o poi si manifesteranno le conseguenze sotto forma di sofferenza.
Semplicemente recitando Nam-myoho-renge-kyo, anche senza capire come funziona in via teorica, possiamo imparare a utilizzare la Legge universale per creare valore per noi e gli altri. In modo spontaneo e naturale, arriveremo anche a comprenderla.
Il tempo che dedichiamo alla recitazione è estremamente prezioso. Dà l’avvio alla trasformazione, crea una svolta, è il punto di origine a cui tornare ogni volta che la nostra nave perde la rotta. Il tempo di una preghiera seria e concentrata è il tempo del dialogo profondo con noi stessi, il tempo in cui rivitalizziamo la nostra vita, caricandola di energia e direzione come un arciere che tende l’arco e prende la mira prima di scoccare la sua freccia.
Cosa significa Nam-myoho-renge-kyo?
Scrive Nichiren: «Se vuoi liberarti dalle sofferenze di nascita e morte che sopporti dal tempo senza inizio e ottenere sicuramente la suprema Illuminazione in questa esistenza, devi cogliere la mistica verità che è originariamente inerente a tutti gli esseri viventi. Questa verità è Myoho-renge-kyo. Di conseguenza, recitare Myoho-renge-kyo ti permetterà di cogliere questa mistica verità innata in tutti gli esseri viventi» (RSND, 1, 3).
In questo contesto, mistico non significa magico, piuttosto indica qualcosa che, sebbene reale, sfugge alle categorie della logica e ai limiti dell’espressione verbale.
Pensando alle emozioni che un particolare brano musicale può suscitare in noi, risulta difficile spiegarle semplicemente esaminando i suoni che si susseguono in un determinato ordine: nessuna analisi della partitura può giustificare razionalmente l’influenza esercitata sui nostri stati d’animo. Per questo potremmo dire che la musica è “mistica”. Lo stesso avviene con la mistica verità originariamente presente in noi stessi, che possiamo cogliere appieno soltanto recitando Nam-myoho-renge-kyo.
Myoho, o Legge mistica, indica la relazione tra la natura misteriosa della vita, invisibile e di difficile comprensione intellettuale (myo) e le sue manifestazioni tangibili (ho). Tra i principali significati di myo troviamo “pienamente dotato”, “perfetto e completo”: noi esseri umani abbiamo la capacità di vivere una vita felice e creativa, a patto di coltivare e nutrire il nostro potenziale manifestandolo concretamente nella quotidianità.
Aprire, un altro significato di myo, indica la possibilità insita negli esseri umani di aprire la propria vita e di esprimerne appieno i talenti.
Ancora, myo è lo stato di Illuminazione, ho l’oscurità fondamentale che coestistono in noi.
Myo rappresenta la morte, ho la vita, a ricordarci l’eterna e armoniosa alternanza tra lo stato visibile che chiamiamo vita e lo stato latente, o invisibile, che chiamiamo morte. Il Buddismo afferma la non dualità di questi due aspetti, dal momento che ogni vita contiene la morte e la morte contiene una forza vitale latente per tornare a manifestarsi concretamente. È per questo che myo significa anche rivitalizzare, o tornare a vivere.
Il bellissimo e immacolato fiore di loto, o renge, cresce e fiorisce in uno stagno melmoso. Allo stesso modo la nostra natura di Budda emerge incontaminata da problemi, desideri e sofferenze quotidiane; anzi è spesso attivata proprio da realtà a volte difficili con le quali ci troviamo a confrontarci, che ci spingono a intraprendere una ricerca spirituale. Il fiore di loto, che possiede anche la caratteristica di produrre fiori e semi allo stesso tempo, simboleggia la simultaneità di causa ed effetto, uno dei pilastri dell’insegnamento di Nichiren Daishonin.
Molti fenomeni naturali, che in passato venivano attribuiti al caso, alla volontà divina o alla magia, sono poi stati interpretati alla luce della legge di causalità, e lo stesso avverrà probabilmente in futuro per ciò che la scienza non riesce ancora a spiegare.
Perché si parla di simultaneità di causa ed effetto?
Nel regno spirituale della vita, molte persone sembrano credere nella legge di causalità solo quando si può dimostrare oltre ogni dubbio. È tuttavia illogico pensare che il rapporto tra causa ed effetto possa esistere solo in certi ambiti e in certi momenti. Per il Buddismo non esiste un effetto senza causa e ogni causa produce un effetto, indipendentemente dal tempo che esso impiega per manifestarsi. A volte un effetto diventa visibile in pochi secondi (premo un interruttore e la luce si accende), altre necessita di tempi lunghi (come nel caso del seme di una quercia) o lunghissimi (la comparsa della vita umana sulla Terra).
Tuttavia, non importa quanto lungo sia l’intervallo tra la causa e il concreto manifestarsi del suo effetto, l’esperienza ci insegna che i due si susseguono in modo “lineare” nel corso del tempo.
Secondo il Buddismo invece, a un livello più profondo, causa ed effetto esistono contemporaneamente, perché l’attimo presente è il risultato delle cause passate e l’origine del nostro futuro. Ogni azione mentale, verbale o fisica, produce immediatamente un effetto latente, che si deposita all’interno della nostra vita. Uno stimolo adeguato che compare nel nostro ambiente funge da richiamo e aiuta a produrre un effetto manifesto. Attraverso la pratica buddista, possiamo illuminare la nostra vita e di conseguenza imparare a porre cause migliori da ora in poi, attivando un circolo virtuoso che ci porta a manifestare e accumulare gioia per noi e per gli altri.
Il carattere kyo letteralmente significa sutra, o insegnamento, ma può essere anche interpretato come “suono” e quindi sta a indicare la pratica della recitazione. Originariamente indicava anche l’ordito di un tessuto, così in seguito venne a significare il filo della logica e della ragione, un insegnamento che doveva essere conservato e tramandato. La trama del tessuto ricorda inoltre la continuità della vita attraverso passato, presente e futuro, ovvero l’esistenza di una verità eterna e immutabile. Infine nam, o dedizione, significa dedicarsi a praticare il Buddismo esattamente come lo insegna il Budda, senza distorcerne l’insegnamento, giungendo gradualmente a sviluppare il suo stesso atteggiamento compassionevole, e al contempo attingere l’energia capace di rivitalizzare la nostra vita.
Qual è il modo corretto di praticare il Buddismo?
Praticare vuol dire “mettere in pratica”, non solo aderire in linea teorica a princìpi generali che possiamo ritenere affini al nostro modo di pensare. Nel nostro caso si tratta di recitare il Daimoku, cioè Nam-myoho-renge-kyo, e alcuni estratti dai capitoli “Espedienti” (Hoben) e “Durata della vita” (Juryo) del Sutra del Loto, studiare i princìpi del Buddismo e condividerli con gli altri.
Ci si siede con la schiena ben diritta, le mani unite davanti al petto, gli occhi aperti e si ripete più e più volte questa frase ad alta voce, mantenendo lo stesso ritmo e scandendo bene ogni termine con voce chiara. La pratica di sostegno è la recitazione, mattina e sera, di Gongyo (letteralmente, “pratica assidua”).
Scrive Ikeda, presidente della Soka Gakkai Internazionale: «Recitare Nam-myoho-renge-kyo significa entrare in comunione con la Legge mistica; è la pratica buddista per fondere le nostre vite con la Legge mistica e al tempo stesso è una battaglia per vincere l’oscurità interiore che impedisce questa fusione. Quando sconfiggiamo l’oscurità dell’illusione e dell’ignoranza attraverso la fede e diventiamo una sola cosa con la Legge mistica, il potere infinito di questa grande Legge si manifesta nella nostra vita. Tale è il beneficio incommensurabile della recitazione di Nam-myoho-renge-kyo» (BS, 119, 28). Ci ricorda inoltre che la nostra forza vitale determina ciò che possiamo attingere da dentro di noi: salute, coraggio, saggezza, gioia, motivazione interna, autodisciplina; recitare Daimoku è la fonte che ci permette di sfruttare illimitatamente l’energia interiore che ci fa superare i momenti di stallo. La condizione è portare avanti la nostra pratica con voce vibrante e rinfrescante, ogni giorno e qualunque cosa accada, perché così facendo possiamo attingere al potere fondamentale dell’universo. Il nostro atteggiamento di fronte al Gohonzon dovrebbe essere rispettoso e solenne come al cospetto del Budda, ma senza dimenticare che poiché il Budda è dotato di compassione infinita, possiamo sentirci liberi di esprimere onestamente e sinceramente ciò che abbiamo nel cuore, continuando a recitare Daimoku per i nostri problemi, i nostri desideri e le nostre aspirazioni così come sono. Quando soffriamo, ci sentiamo tristi o stiamo affrontando difficoltà, dovremmo semplicemente andare davanti al Gohonzon con il cuore in mano, come un bambino che corre tra le braccia della madre e si aggrappa a lei, praticare come se stessimo portando avanti una conversazione, confidando i nostri più intimi pensieri. Alla fine, anche le sofferenze più infernali svaniranno come la rugiada al mattino, e sembreranno nient’altro che un sogno.
Liberamente tratto da:
D. Ikeda, La nuova rivoluzione umana, vol. 11, esperia, pagg. 104-106
R. Causton, La meravigliosa Legge del Loto, esperia, pagg. 20-21; pagg. 110-113; pagg. 191-196; pagg. 227-228