Nel centenario del fondatore del Club di Roma, Aurelio Peccei, ricordiamo le sue straordinarie capacità intuitive con cui precorse le attuali lotte ecologiste. Insieme a Daisaku Ikeda, nelle foto durante i loro incontri a Parigi (in alto) e a Firenze (nella pagina a fianco a destra), a metà degli anni Ottanta dette alle stampe un libro che sarebbe rimasto il testamento spirituale del grande economista innamorato del nostro pianeta
«State sottovalutando il surriscaldamento della Terra e l’urgenza di un’azione internazionale». Così scrive Pascal Acot, uno dei massimi esperti mondiali di scienze climatiche e ambientali, in un suo articolo dell’11 maggio scorso ampiamente diffuso. Nell’articolo Acot cita il “Rapporto Stern” (ottobre 2007) a firma di un economista ex dirigente della Banca Mondiale in cui si ammoniva che «se non avessimo fatto nulla per contrastare il surriscaldamento globale, l’economia dei paesi industrializzati e dunque l’economia mondiale, sarebbe crollata» e che era «da prevedere il moltiplicarsi di sanguinosi conflitti per la sopravvivenza».
Per quanto se ne parli, scriva, studi (persino nelle scuole elementari), legiferi con disegni di legge come quello approvato dal Parlamento italiano nell’aprile 2007 e che inserisce nel codice penale gli “ecoreati” (reati a livello ambientale), e a livello internazionale con Carte, Trattati, Dichiarazioni destinati a tradursi in Convenzioni, ossia leggi sovranazionali, ancor oggi l’eco-emergenza pare essere questione marginale, che compete gruppi sparuti di esperti visionari e allarmisti, e il popolo non meno visionario e allarmista, dei cosiddetti no global.
Se ancor oggi è così, come poteva apparire oltre venti anni fa Campanello d’allarme per il XXI secolo, il “profetico” (ed esaurito) libro pubblicato in Italia per Bompiani nel 1985, in cui Daisaku Ikeda dialoga con Aurelio Peccei, economista e imprenditore italiano di fama mondiale e fondatore del Club di Roma, su questioni di assoluta priorità del nostro tempo?
Quest’anno ricorre il centenario della nascita di Aurelio Peccei (1908-1984) che, nell’aprile di quarant’anni fa presso la sede dell’Accademia dei Lincei alla Farnesina, fondava assieme allo scienziato scozzese Alexander King e a vari premi Nobel, leader politici e intellettuali, il Club di Roma. Due anniversari cui le premesse appena enunciate conferiscono una rilevanza ancora maggiore per l’irrinunciabile attualità dei valori universali che il Club persegue. E che, stando al suo fondatore, ha il merito «di essersi per primo ribellato all’ignoranza suicida della condizione umana».
Organizzazione non governativa non profit, il Club di Roma è una sorta di cenacolo di umanisti di tutti e cinque i continenti dediti alla missione di analizzare i cambiamenti della società contemporanea, per individuarne i punti critici e proporre soluzioni alternative nei diversi scenari possibili.
Aurelio Peccei, torinese, prima che un economista e un matematico, è stato un grande pensatore, capace di intuire, prevedere e tracciare con puntualità e lucidità inquietanti i parametri dello sviluppo sostenibile. È del 1972 il suo studio, realizzato con scienziati di un importante istituto del Massachusetts (USA), “I limiti dello sviluppo” dove già si colgono tutti gli elementi di quello che sarebbe stato il suo testamento spirituale. Prima che sia troppo tardi (in italiano: Campanello d’allarme per il XXI secolo), il libro pubblicato nell’anno della sua morte, che si è dimostrato – a cominciare dal suo titolo – quanto mai premonitore. L’inascoltato ammonimento di Peccei è limpido ed elementare: non abbiamo un problema di risorse. Abbiamo un problema con l’uso che facciamo delle risorse. Peccei sposta l’attenzione dal piano della quantità a quello della qualità, e quindi del valore.
Alla domanda che lo ha sempre assillato sul dove stiamo andando, Peccei risponde suggerendo la necessità di «una vera e propria mutazione, un nuovo modo di vivere per l’uomo che vuole stare in armonia con la realtà che lui stesso, continuamente, manipola, trasforma e crea». Sono questi peraltro alcuni dei principali punti dove la sua visione incontra quella buddista, il filo conduttore dell’illuminata e illuminante conversazione tra l’economista pensatore italiano e Daisaku Ikeda, presidente della SGI, nel libro Campanello d’allarme per il XXI secolo.
Come ogni grande sguardo che ha saputo vedere oltre le apparenze, in un futuro distante ma pur sempre a venire, anche quello del fondatore del Club di Roma e dei suoi esponenti è stato non poco travisato, criticato e contestato. Critiche alle quali Peccei ha instancabilmente continuato a replicare con esemplare e sconfinata fiducia nelle potenzialità umane: «Non è impossibile promuovere una rivoluzione umana capace di modificare il corso del nostro presente».
Questa attenzione al futuro si identificò con un forte impegno nell’educazione. Peccei dedicò gli ultimi anni della sua vita allo sforzo di riunire un gruppo internazionale di pensatori giovanissimi, tutti al di sotto dei trent’anni, convinto che nessuno più e meglio di un giovane abbia lo slancio e l’energia necessari per dare gambe e ali a un sogno così luminoso e necessario. Il suo sogno si sarebbe concretizzato nel 2000, quando in seno al Club di Roma si costituì il Think Tank 30 (letteralmente serbatoio pensante o pensatoio) a raccogliere una sfida non più rimandabile.
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dal Libro Campanello d’allarme per il XXI secolo
Bompiani, 1985, fuori catalogo
Daisaku Ikeda: Peccei, un amante del dialogo
«In questi ultimi anni, nella sua qualità di fondatore del Club di Roma, Aurelio Peccei ha viaggiato infaticabile da un paese all’altro del mondo, impegnato nella sua missione tesa al bene futuro dell’umanità. Ogni qualvolta si trovava in Giappone, aveva la bontà di farmi visita e quando a mia volta io ero in Europa faceva di tutto per raggiungermi a Roma o a Parigi. Una volta è arrivato a Firenze guidando personalmente l’automobile, al solo scopo di incontrarmi. In tutte queste circostanze, non ho mai mancato di sentirmi vivamente colpito dal vigore giovanile impresso sul volto sorridente di quest’uomo che dedicava gran parte del suo tempo e delle sue energie alla discussione delle azioni da intraprendere per approdare negli anni futuri a una più meditata e avanzata civiltà dell’uomo. Nonostante fosse assorbito da molteplici affari e impegni, questo dialogo lo entusiasmava. Dopo aver registrato su nastro le sue risposte alle domande che avevo formulato, si prendeva la briga di rivedere e ritrascrivere a macchina le sue osservazioni registrate in forma più estesa e compiuta» (dalla “Prefazione all’edizione italiana”, pag. 5).
Aurelio Peccei: Abbiamo un asso nella manica
«[…] alla fine la forza delle circostanze ci costringerà a interrogarci, operando un’attenta e sincera disamina di noi stessi. A quel punto, oltre a gettare luce sui nostri errori e le nostre deficienze, noi scopriremo – con grande vergogna per non esserci arrivati prima, ma al tempo stesso con un sentimento di gioiosa sorpresa – che in noi si nasconde un prodigioso tesoro di risorse mai sondate e mai utilizzate. Esiste in ogni singolo individuo un patrimonio di capacità e di qualità rimasto a tutt’oggi in letargo, ma che può essere finalmente portato alla luce e sfruttato al fine di correggere il processo di deterioramento della condizione umana. Come il Club di Roma ha più volte asserito è assai probabile, per non dire certo, che questo potenziale umano dimenticato, ma disponibile, così ricco e promettente, si riveli in grado di ovviare ai nostri limiti e alle nostre manchevolezze. Può diventare l’asso nella manica suscettibile di capovolgere la situazione. Le innate risorse vitali, l’intrinseca intelligenza propria a ogni essere umano, dal più facoltoso o dotato di singolari virtù intellettuali al più indigente ed emarginato, costituiscono – ancorché attualmente noi lo si sperperi e se ne faccia un uso malproprio – l’ineguagliabile retaggio della nostra specie. Non vi è alcun dubbio che le nostre doti latenti di comprensione, immaginazione, compassione, solidarietà e creatività, che la nostra basilare capacità di apprendimento, che le nostre abilità o qualità neglette o inutilizzate non meno delle energie morali che fanno parte della nostra sostanza umana, possono essere stimolate, sviluppate e mobilitate a scopi realmente benefici e vantaggiosi. Basta soltanto farvi appello» (“La rivoluzione umana – Opinioni di Aurelio Peccei”, pagg. 141-142).
«[…] Qual è il destino che ci attende? È un interrogativo che ci assilla da tempo immemorabile, che si situa al di sopra della nostra comprensione e che, con ogni probabilità, non avrà mai una risposta defintiva ed esauriente. Ciò non toglie che la rivoluzione, nei termini da me descritti, sia un imperativo imprescindibile. Essa soltanto ci potrà elargire un punto di osservazione più elevato dal quale spingere il nostro sguardo avanti; essa soltanto avrà modo di illuminarci, svelandoci ciò che il futuro tiene forse in serbo per l’umanità; essa soltanto potrà farci comprendere che, a conclusione di un processo che ha visto crescere in misura stupefacente la specie umana in termini di numerici, di potere di sapere, colmando tutti gli spazi della sua dimora terrestre ed esercitando il suo totale dominio sulla stessa, per la prima volta dobbiamo sobbarcarci responsabilità a lungo termine e lottare per lasciare in retaggio alle generazioni future un pianeta che offra più consolanti condizioni di vita e sul quale operi una società più governabile» (pagg. 148-149).